Richard Nixon, a cinque anni dallo scandalo

Richard Nixon, a cinque anni dallo scandalo Richard Nixon, a cinque anni dallo scandalo Il «ritorno dall'Elba» del presidente Watergate DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — Nel quinto anniversario delle proprie dimissioni, avvenute il 9 agosto del '74. all'apice dello scandalo Watergate, Richard Nixon ha meditato una sorta di «ritorno dall'Elba-, la fuga dall'esilio di San Clemente in California verso New York, cuore del potere economico e culturale americano. Per 750 mila dollari, oltre 600 milioni di lire, ha acquistato un lussuoso appartamento al numero 19 Est della 72esima strada, all'angolo con Madison Avenue, dopo aver venduto per due volte tanto la villa «Casa pacifica», cosi chiamata dall'oceano su cui si affaccia, conosciuta un tempo come la Casa Bianca della costa occidentale. Nel trasferimento da San Clemente a New York, l'ex presidente vedeva il preludio di una ripresa dell'attività politica, il simbolo della sua resurrezione civile. La metropoli gli era stata sempre generosa. Accoltolo dopo la sconfitta subita ad opera di John Kennedy nelle elezioni del '60. lo aveva restituito vittoriosamente alla vita pubblica 8 anni più tardi. L'opposizione dei coinquilini al suo ingresso nel palazzo, motivata sia da ragioni di sicurezza, sia dallo scandalo Watergate. ha indotto Nixon a rimandare il piano. L'ex presidente ha annunciato che per ora non lascia la California per New York. Ma il «ritorno dall'Elba» avverrà lo stesso, forse in altra forma. A 65 anni, egli non ha rinunciato alla rivincita. Dimenticata l'ignominia, riacquistata la salute, acquisito vigore dalla debolezza o inefficienza di chi oggi governa e siede in Parlamento, anela alla propria riabilitazione, nella fede ossessiva di non aver sbagliato. Di fronte a lui. più che nel '74, l'America è divisa. Più realista del re, una parte, la minore, continua a sostenere la legittimità del suo comportamento: un'altra lo condanna, ma rimpiange il carattere imperiale della sua presidenza: la terza, la maggiore, lamenta che egli non sia stato punito, e che il suo spettro si possa ripresentare alla Nazione. Richard Nixon è un maestro della rinascita politica, ma la forza delle istituzioni americane, i principi della libertà e democrazia sono tali che una sua ennesima scalata al potere verrebbe comunque contenuta. Una sua eventuale riabilitazione sarebbe parziale e controversa, e aggraverebbe l'infelice momento dell'elettorato. Tuttavia, è innegabile che stia accadendo ciò che il 9 agosto del '74 tutti ritenevano impossibile: ossia che la sua autorità cresca di nuovo, e la sua voce riceva qualche ascolto. Quando l'ex presidente si è recato in visita dallo Scià nel Messico, denunciando «il tradimento» di Carter nei confronti dell'alleato, o quando ha sostenuto che la guerra del Vietnam non doveva essere perduta. l'America è rimasta scossa. Nel partito repubblicano, ha ancora un largo seguito: e almeno un candidato alla Casa Bianca, quel John Connally che fu suo ministro del Tesoro, se eletto, si riallaccerebbe idealmente alle sue posizioni. Nel quinto anniversario dello scandalo Watergate, il tentativo di autorecupero di Nixon ha suggerito rievocazioni e riflessioni. L'ex giornalista Clawson, il secondo dei suoi due fedelissimi (il primo è l'aiutante di campo Brennan, un colonnello tuttora al suo fianco), ha pubblicato un resoconto inedito dell'ultimo giorno della presidenza. Sino all'ultimo minuto, vi fu chi cercò di dissuadere Nixon dalle dimissioni: l'inchiesta della Camera per il suo «incapacitamento» o impeachment, presieduta dal deputato democratico Peter Rodino, un italo-americano del New Jersey, veniva seguita alla televisione dalla Casa Bianca, e gli «amici» tra gli inquirenti venivano forniti di controargomentazioni e controprove con un «filo diretto» telefonico. Ma prevalse l'opinione dei «legalitari»: il generale Haig, l'unico con cui il presidente era in contatto, poi comandante supremo della Nato, il ministro della difesa Schlesinger, ora zar dimissionario dell'energia di Carter, William Simon, subentrato a Connally al Tesoro. «Lo guardai darci l'addio nel salone est» scrive Clawson. «Portava gli occhiali; cosa che non aveva mai fatto in precedenza. Parlò di sua madre, e mi sentii imbarazzato per lui. Era il primo presidente della storia americana a dimettersi, e pensai che probabilmente non v'era modo di farlo con grazia: lo seguii sul prato, sino all'elicottero. Pareva diventato vecchio, sali gli scalini, si voltò, alzò le braccia a V, il segno della vittoria che gli era abituale». L'America reclamava la testa di Nixon, reo di spionaggio politico e di menzogna di fronte al Con¬ gresso, ma egli non aveva ammesso la propria colpevolezza, e non l'avrebbe ammessa mai. Da quanto Clawson narra, non traspare che una sola volta Nixon abbia percepito la tragedia del suo popolo per lo scandalo Watergate. L'ex giornalista lo rivide a San Clemente prima del perdono del presidente Ford. Lo trovò non sconfitto né pentito. «Continui a camminare sull'orlo del precipizio» gli disse Nixon «perchè sei affascinato dal fatto che non perdi l'equilibrio». Sul Neiv York Times. Peter Rodino ha compiuto l'analisi più acuta degli effetti del Watergate sulla psiche americana. «Lo scandalo avrebbe dovuto rafforzare la nostra fiducia nelle istituzioni, poiché il sistema aveva superato bene la sua più grave crisi costituzionale. Dal dramma e dallo scoramento della vergogna inflittaci dal presidente avremmo dovuto trarre la determinazione di migliorare la nostra vita politica. Siamo invece precipitati nel cinismo e nell'alienazione, sia verso i singoli che verso l'autorità costituita». L'incubo, ha asserito Rodino, ha lasciato ferite non ancora risanate.«7vbn abbiamo abbandonato il Watergate alle nostre spalle. Abbiamo un Congresso che non crede nel presidente, le ostacola, un elettorato che non crede nei partiti, li evita. L'indifferenza popolare spinge chi fa politica a combattere innanzitutto per la propria sopravvivenza», e. c.