Per questi motivi Roberto è condannato e anche il gioielliere ha le sue colpe
Per questi motivi Roberto è condannato e anche il gioielliere ha le sue colpe La sentenza per la rapina nell'oreficeria di via Cecchi Per questi motivi Roberto è condannato e anche il gioielliere ha le sue colpe I giudici spiegano perché ritengono che il giovane (e non il fratello) abbia partecipato al colpo e perché Freyria porti qualche responsabilità per la sparatoria in cui fu ucciso un cliente -La corte d'assise di Torino condanna Claudio Crapanzano a 25 anni e 2 mesi di carcere, Walter Nelli a 24, Roberto Di Falco a 27 anni e 10 mesi. Un anno e 4 mesi a Nunzio Ferrante, Antonio Di Falco e Sergio Freyria». Le ultime parole del presidente Barbaro si perdono tra le urla di gioia degli imputati in gabbia. E' la sera del 6 giugno scorso. Si conclude cosi il processo per la morte di Mario Cavagnino, il cliente ucciso durante una rapina all'oreficeria Freyria di via Cecchi 27, la sera del 2 febbraio di 3 anni fa. La sentenza, giunta dopo 7 ore di camera di consiglio, ha accolto sostanzialmente la versione degli imputati e disatteso completamente le richieste dell'accusa pubblica e privata. Ora, a due mesi di distanza, i giudici (pres. Barbaro, a latere Mitola, cane. Sacco) hanno depositato le motivazioni. In 54 cartelle dattiloscritte hanno riassunto con precisione analitica il tragico fatto ed 1 motivi che portarono a quella decisione. Sono le 19,10 del 2 febbraio di tre anni fa. Nel negozio c'è il ti tolare, Sergio Freyria, la commessa Maria De Mestilo, il cliente Mario Cavagnino, 53 anni, nel retro la moglie dell'orefice, Franca Gilardi. Suonano alla porta due giovani. Freyria ordina alla commessa di far scattare il meccanismo d'apertura e intanto, accorgendosi che sono tipi sospetti, affeira la «Colt 38. special. I due infatti sono banditi. Irrompono nell'oreficeria e si sentono chiù dere la porta alle spalle: il loro complice fuori capisce che sono intrappola. Nel negozio si scatena l'inferno. Un malvivente spara, l'orefice si getta a terra e risponde al fuoco. In pochi istanti si vuotano i caricatori di tre pistole: dell'orefice e dei due rapinatori. Questi riescono a raggiungere l'uscita (uno è ferito ad una gamba) dopo aver spaccato a colpi di proiettili il vetro della porta. Mario Cavagnino è colpito mortalmente. I banditi scappano ma la loro auto, una «Giulia 1300. rubata, non parte. Armi in pugno salgono su un taxi, arrivano in lungo Dora Napoli dove cambiano ancora auto. Crapanzano è arrestato all'ospedale di Piacenza dove è andato a farsi medicare la ferita alla coscia. Poi gli inquirenti risalgono a tutta la banda. Una istruttoria difficile, complessa. Gli imputati offrono spiegazioni contraddittorie, confessioni confuse, e poi ritrattate, piene di ambiguità e falsità. Roberto Di Falco confessa alla polizia di aver partecipato alla rapina, davanti al p.m. ritratta, accusa il fratello Antonio. In aula infine ammette di aver fatto il colpo con Crapanzano e Walter Nelli. Questi ultimi confermano di essere entrati nel negozio. Ma fuori della porta chi c'era? Il nodo da sciogliere per i giudici e che era diventato nelle arroventate udienze del processo il motivo dominante riguarda proprio i due fratelli. Roberto sostiene di essere lui il terzo uomo ma né le parti civili, né il p.m. Giordano credono alla sua versione. Soprattutto perché a vedere Antonio sull'auto della banda, pochi minuti prima della rapina è stata proprio la madre, E aveva testimoniato o meglio fatto testimoniare davanti al giudice istruttore il marito: • Era Antonio-. La donna non si presenta però in aula a confermare la versione, il marito non chiarisce il dubbio. Un dubbio risolto dai giudici in camera di consiglio. Roberto è stato riconosciuto, dicono i giudici, dal tassista e da un altro testimone. E' vero che ha detto molte bugie ma nelle linee essenziali la sua prima confessione alla polizia è valida. Infine non esistono elementi precisi per condannare Antonio e non basta certamente sostenere che non ha un alibi per addossargli il «colpo.. Quindi, oltre alle posizioni chiare di Crapanzano e Walter Nelli (che hanno ammesso la partecipazione alla rapina) c'è l'autoaccusa di Roberto. Perché non credergli, visto che la confessione gli costa poco meno di trent'anni di carcere? C'è poi il Freyria. L'orefice, dicono i giudici, è stato imprudente. Ha contribuito a cagionare la morte del cliente proprio perché nonostante i sospetti sul giovane fermo davanti alla porta (al punto che prima di far scattare il meccanismo d'apertura si armò) lo fece entrare senza preoccuparsi della presenza del cliente, disarmato e indifeso. Ultimo dubbio: chi ha ucciso il Cavagnino? I giudici hanno accolto la tesi dei periti Ghio e Nebbia: il colpo è partito dalla pistola del Crapanzano. Comunque la questione non è rilevante perché le conseguenze giuridiche per i tre rapinatori non sarebbero cambiate: hanno agito con dolo diretto, sono loro i responsabili dell'omicidio. Nino Pietropinto
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