Cavour e Mazzini erano cugini di Stefano Reggiani

Cavour e Mazzini erano cugini CHE COSA DIVIDE ANCORA I LIBERALI DAI REPUBBLICANI? Cavour e Mazzini erano cugini Le polemiche dei giorni scorsi hanno fatto affiorare le divergenze storiche, ma anche i punti di somiglianza - Un dibattito con i due segretari nazionali, Oddo Biasini e Valerio! Zanone, sulle ascendenze culturali - Una proposta dello storico Salvadori: perché i due partiti non si uniscono? Farebbero opera di chiarezza politica - La discussione è aperta | j 1 | | l ) j j ! ! j \ ROMA — In una città di pigre memorie politiche e di evanescenti fantasmi storici, il dissidio recente e provvisorio tra repubblicani e liberali (-no il pli al governo, potrebbe alterare gli equilibri tra i partiti »J ha mosso idealmente nomi illustri. Cavour e Mazzini, Cattaneo e Giolitti, Gobetti e i Rosselli. Insomma: è vero che i repubblicani sono più progressisti dei liberali? Che peso ha l'eredità culturale su due partiti che scendono insieme, ma non sempre concordemente, dall'Unità nazionale? Si tratta di due partiti che hanno ancora solide ragioni per sentirsi diversi o delle pagine di una stessa storia laica e borghese? Certo, le discussioni di questi giorni (che forse sono coi state il posto a Pandolfi, come presidente del Consiglio) hanno rinverdito fugacemente un contrasto storico fondamentale e tratto dagli scaffali vecchie frasi, proclami, le polemiche preliminari di una trasformazione che segnava, per Mazzini, « una nuova epoca-, oggi si direbbe un cambiamento epocale. Ecco la Giovane Italia che ha per scopo «l'insurrezione e l'educazione», e le mise in pratica, nei suoi limiti, tutte due. Ecco Mazzini che riflette sulle rivoluzioni fallite nell'Italia divisa: «Mancarono i capi. Mancarono prima d'animo, poi di scienza politica: prima della fede in sé. nelle, moltitudini che reggevano, poi di consiglio rivoluzionario, di spirito logico e del segreto che suscita i milioni di difensori a una causa. Leviamoci da codesto fango. Parliamo all'Italia, parliamo alla gioventù che fremeva e che freme». Era quasi un secolo e mezzo fa. Diceva Mazzini- «La rivoluzione che si avvicina dovrà fare pel proletariato, per le classi popolari, per gli uomini del lavoro ciò che le rivoluzioni passate fecero per il borghese, per le classi medie, per gli uomini del capitale. Lavoro per tutti: ozio e fame per nessuno». Respingeva le proposte dei socialisti, propugnava la formula: «Capitale e lavoro nelle stesse mani». Chi erano i nemici di Mazzini? Ha scrìtto uno storico del prì: «Il partito moderato, il rappresentante del vecchio liberalismo decadente e inanimato. Esso raccoglieva tutti gli elementi retrivi del Paese». Nel 1946, dopo la seconda guerra mondiale, «il partito repubblicano espose le sue idee sul passato e sull'avvenire. La monarchia aveva arrestato nel 1860 il cammino della democrazia, l'attuazione della Repubblica, ponendosi — come scrisse Giuseppe Ferrari — alla testa della rivoluzione col disegno della controrivoluzione». Dopo il referendum che abrogò la monarchia, restava il problema sociale: «Il partito repubblicano ne promuoverà la soluzione, ispirandosi alla dottrina e agli insegnamenti dei suoi pensatori e maestri». Eraunimpegno. grande partito liberale, chiamando a farne parte tutte le persone che, quantunque avessero potuto differire sopra questioni secondarie, consentivano però nei grandi principi di progresso e di libertà. Stimo di avere cosi innalzata una barriera abbastanza alta onde la reazione non venga mai a superarla». Magari lo sbrigativo riassunto di un opuscolo del dopoguerra, quando il pli era indicato come -il partito dei signori-: «L'Italia liberale, S che i fascisti per derisione chiamarono Italietta, portò il I tricolore in Somalia, in Eritrea, in Libia e nelle isole del- j l'Egeo. Era presente su tutti i grandi mercati e aveva con- ! cessioni in Cina. Tutta la rete ferroviaria italiana e migliaia di altre importanti opere pubbliche furono co- ; strutte durante governi libe- I rali. La misera Italietta liberale, nella grande guerra, fece scendere in campo oltre 70 divisioni. Il fascismo nel 1940 non disponeva che di una ; quarantinadi divisioni». Insomma, le benemerenze < di repubblicani e liberali non sono sempre state coinci- \ denti. Ma adesso vai la pena sottolinearne la diversità o j bisogno decidere che si tratta di due partiti irrìmediabil-. ■ mente affratellati? Ne parliamo con i segretari nazionali, il repubblicano Biasini, il li- ! berale Zanone. Biasini: «Noi abbiamo una nostra identità. Il pli è legato ai canoni classici, il pri sente vicine le esperienze della sinistra democratica, il New Deal di Roosevelt come il laborismo inglese». Zanone: «La rinascita liberale non è conservatrice, è voglia di cambiare. Il pri in- ! vece soffre dei difetti del Partito d'Azione, ha una si- ■ cumera dei progettismi. co- j me avrebbe detto Gobetti, nutre l'idea che esista una minoranza illuminata superiore agli altri. Questo rende tutto il partito un poco acido e supponente». Biasini: «E' La Malfa che ha fatto compiere al partito il salto di qualità verso la sinistra democratica, rinunciando definitivamente ali miti mazziniani. Del mazzinianesimo resta l'impulso etico politico». Zanone: «Capisco che il pri ha ancora una natura composita, resistono alcuni filoni popolari in Romagna, nelle Marche, fra Toscana e Lazio; il grosso è nei ceti medi produttivi delle grandi città. Ma il pli quei voti può portarglieli via. ci scommetto Biasini: «La composizione del nostro partito in luoghi come la Romagna è stata da principio simile ai socialisti, ai comunisti, con gli stessi gruppi sociali. Di qui la polemica diretta con i grandi partiti, mentre è naturale che persista una sorda contrapposizione ideologica coi liberali. Eppure abbiamo potuto collaborare prima con la de, poi coi socialisti nel centro-sinistra». Zanone: «Facciamo un esempio: il rapporto con 1 radicali. Il pli ritiene di avere buoni rapporti con loro, il pri è insofferente. Siamo noi 1 libertari; i radicali sono un poco come dei figli scappati di casa, i nostri giovani hanno simpatia per ì radicali, anch'io ho appoggiato alcune loro battaglie. Vogliamo continuare con le differenze? La Malfa era un vero Crispino, lui che voleva la pena di morte contro i terroristi. Noi liberali siamo rimasti strettamente garantisti, non abbiamo appoggiato le misure eccezionali che volevano per esempio la denuncia di tutti i nuovi locatari per censire i possibili covi terroristici ». Che resta dei maestri? Che cosa leggono i liberali, che cosa leggono i repubblicani? Zanone: «Io ormai non ho più tempo per leggere nulla, ma a suo tempo ho letto i classici e tradotto Keynes. Credo che adesso sia Amendola l'autore più attuale tra pli e pri. E d'altra parte un repubblicano come Spadolini è molto legato per studi all'eredità liberale di Giolitti». Biasini: «Se vogliamo guardare negli scaffali alti della biblioteca, forse Cattaneo per noi ha più peso di Mazzini. Di Mazzini è rimasto il valore storico e la singolare preveggenza di alcune idee, come la cogestione prefigurata nella frase "capitale e lavoro nelle stesse mani" ». Questi nomi, sbotta Zanone, sono «roba da museo»; ma è con la cultura politica che siamo giunti all'elenco delle somiglianze traprì eplì. Zanone: «E' vero, abbiamo in comune i principi fondamentali, spesso condividiamo le letture, siamo due partiti solo per ragioni storiche, le distinzioni destra e sinistra tra noi sarebbero un turpiloquio». Biasini: «La polemica dei giorni scorsi è stata l'acme, il punto massimo oltre il quale non si deve andare. Se vogliamo usare un'immagine fantastica, Cavour e Mazzini dopo l'unità d'Italia si sono idealmente incontrati. L'eredità dei due partiti è una distinzione che converge». Zanone: «Allora, basta coi bisticci». non è più quella di una volta, il mare non ha più i vecchi fari ideologici, c'è da parte di tutti i partiti un rifugio nel pragmatismo e da parte dei giovani un rifiuto delle ideologie codificate. Che fare? Intanto, un poco di chiarezza nelle divisioni politiche; sarebbe bene che i partiti omogenei si unissero». Per esempio, il pri e il pli? «SI, perché no? Sarebbe un gesto utile, culturalmente giustificato». Il pri e il pli come un partito laico liberaldemocratico, che raccoglie i ceti medi produttivi. Ma è un'ipotesi possibile, oltre le controversie di politica stretta? Cai vour, Mazzini, la storia forse stanno per la divisione; le necessità del Paese e la cultura spingono per l'unione. Ecco un dibattito allettante per gli intellettuali vicini ai due partiti; per uno storico come Spadolini, per un meridionalista come Compagna, per un politologo come Matteucci. E anche per il nuovo ministro della Pubblica Istruzione Valitutti, che si trova ad affrontare la crisi della scuola con la sua biblioteca di classici liberali. Stefano Reggiani