L'embolia gassosa nemico in agguato
L'embolia gassosa nemico in agguato Per chi pesca con l'autorespiratore L'embolia gassosa nemico in agguato Il pericolo che minaccia ì subacquei muniti di autorespiratori ad aria compressa — e che non tocca invece i tuffatori in apnea e coloro che fanno ricorso a bombole di ossigeno puro, le quali peraltro presentano i loro inconvenienti — si ha al momento della risalita in superficie dopo una permanenza più o meno lunga in profondità. Se la risalita avviene troppo rapidamente, può determinarsi nell'organismo un'embolia gassosa, vale a dire può accadere che una bollicina di azoto, liberatasi nel circolo sanguigno, venga ad occludere un vaso più o meno grande. La gravità dei danni dipende dall'ubicazione e grandezza del vaso interessato e dal settore dell'organismo irrorato da quel vaso. Si possono avere intorpidimenti, insensibilità, paralisi motorie, perdita della conoscenza e nei casi più drammatici anche la morte, soprattutto quando sia stata colpita un'arteria cerebrale e all'embolia iniziale, non completamente risolta, sia venuto ad aggiungersi, come accade non raramente, un coagulo sanguigno, o trombo. La cosa da farsi quando un subacqueo viene colpito da un | principio di embolia per risalita troppo rapida, è di farlo ritornare per qualche tempo — naturalmente con un altro autorespiratore — alla profondità da cui era risalito. Di solito, basta la profondità di dieci metri. Se l'intervento è pronto, non si avranno conseguenze negative. Le disgrazie accadono per guasti tecnici, in genere all'autorespiratore. In questi casi l'unico rimedio è far ricorso, il più presto possibile, alla cosiddetta camera di decompressione o camera iperbarica. Di queste camere ne esistono, nelle principali località di mare, da settanta a ottanta in tutta Italia e ci risulta che non sono tutte pienamente efficienti. Abbiamo visto la camera iperbarica che si trova a Torino, presso l'Istituto di anestesiologia e rianimazione diretto dal professor Ciocatto. E' un cilindro d'acciaio lungo circa tre metri e del diametro di uno. Lungo le pareti si aprono oblò che permettono di vedere all'interno. La pressione interna può essere regolata a comando. L'infortunato viene immesso nella camera cosi da riportarlo nelle condizioni di pressione che aveva a dieci o venti o trenta metri j di profondità e gli si fa ripetere la salita in superficie (si| ululandola mediante progresI siva e lenta diminuzione della pressione) cosi che l'embolia ' si sciolga. Il medico di turno ci spiega che cosa si fa praticamente quando viene portato un infortunato colpito da embolia tipica dei subacquei. Solitamente il paziente presenta di¬ sturbi caratteristici, che vanno da semplici dolori articolari sino a uno stato di coma. Gli accompagnatori sono quasi sempre in grado di dire come è avvenuta la disgrazia, profondità del tuffo, tempo di permanenza, rapidità della risalita in superficie. Ciò dà al medico una prima indicazione, e si regola quindi la pressione della camera in cui immettere il paziente Le camere iperbariche sono ad ossigeno oppure ad aria compressa. Quelle ad ossigeno arrivano a tre atmosfere e vengono usate per i! trattamento della cancrena gassosa e nei casi di gravi intossicazioni da ossido di carbonio; quelle ad aria compressa possono arrivare a sei atmosfere e si usano più specificatamente per gli interventi nelle embolie. Sei atmosfere corrispondono a una profondità di 60 metri, già rilevantissima per un subacqueo: il trattamento dura da mezz'ora a parecchie ore, secondo i casi, l'infortunato viene riportato alla pressione normale con molta maggiore lentezza di quella d'una normale decompressione. Molte volte il sub colpito si riprende bene, altre volte gli restano disturbi secondari e lievi paralisi. In questi casi occorre avviare una delicata fisioterapia di riabilitazione. Umberto Oddone
Persone citate: Ciocatto, Umberto Oddone
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