Perché sono colpevoli Freda e Ventura (senza nome i mandanti della strage) di Silvana Mazzocchi

Perché sono colpevoli Freda e Ventura (senza nome i mandanti della strage) Nella sentenza di Catanzaro le prove contro i neofascisti Perché sono colpevoli Freda e Ventura (senza nome i mandanti della strage) I giudici ammettono: «Gli elementi disposti a dare uno sbocco politico agli attentati si annidavano nello stesso apparato statale» - Duri giudizi sulle «protezioni scandalose» concesse a Giannettini (anch'egli condannato all'ergastolo, ma l'unico imputato in carcere) - I dubbi sull'innocenza di Valpreda DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CATANZARO — Dieci anni fa qualcuno tentò di pilotare il terrorismo in quanto «per finì propri era interessato al controllo dell'eversione». Quelli che vollero le bombe del '69 e i 16 morti di piazza Fontana per schiacciare la sinistra nel paese e provocare le condizioni favorevoli ad una setta reazionaria, sono rimasti però sema volto e sema nome», sebbene sia stato provato che 'gli elementi disposti a dare uno sbocco politico agli attentati si annidavano nello stesso apparato statale». La grave ammissione di impotenza, di non aver saputo cioè arrivare ai mandanti della strage, è la più importante tra quelle contenute nella motivazione della sentenza depositata ieri mattina nella cancelleria della Corte d'assise di Catanzaro dai giudici che la emisero il 23 febbraio scorso. Ci furono tre condanne all'ergastolo: Guido Giannettini (in carcere). Franco Freda e Giovanni Ventura, fuggiti all'estero. Quattro e due anni vennero rispettivamente assegnati agli uomini del Sid, al generale Gianadelio Maletti e al capitano Antonio Labruna, accusati di avere aiutato a fuggire all'estero Giannettini e Marco Pozzan, assolto dal reato di strage. Furono emesse altre pene, altri proscioglimenti e, infine, il giudizio più contraddittorio: l'assoluzione con la formula dubitativa per Pietro Valpreda, l'anarchico che pagò con anni di carcere quella strumentalizzazione della strage voluta dagli stessi mandanti rimasti sconosciuti, che riuscirono a deviare le indagini sulla pista rossa. Valpreda e il suo gruppo sono stati condannati per associazione per delinquere. I tanti «perché» di queste pene, le ragioni dei proscioglimenti e quelle che hanno convinto i giudici che un dubbio debba tuttora pesare sul capo di Valpreda sono contenuti in 1067 pagine raccolte in sei volumi. Le ha scritte il giudice a latere Antonini, a partire dall'indomani dell'emissione del verdetto, in 165 giorni di frenetico lavoro. Il risultato è stato controfirmato dal presidente della Corte. Scuteri. Si legge in questo documento quanto già le cronache del processo avevano registrato: che uomini politici e generali tacquero e si contraddissero per proteggere Giannettini. «Resta oscuro e inquietante — è scritto nella sentenza — il motivo per il quale una fonte informativa del Sid, sia pur particolare come Giannettini, fosse ancora così scottante a distama di anni, da indurre uomini di governo e personaggi della vita pubblica nazionale a negare ad ogni costo la collaborazione testimoniale a questa Corte». Il giudizio della magistratura si fa più pesante ancora quando si ammette che «la stessa improvvisa scomparsa, j 1avvenuta con perfetta scelta \ di tempo e di modalità di ese- [emione alla vigilia della sen- j tema di questa Corte, degli '■ imputati Freda e Ventura non : può non lasciare perplessi. '< Non esistono prove — si dice I — pur tuttavia questo evento \ si pone come omogeneo rispet- ! to alla serie di fughe e di ma- j nome occulte che hanno osta colato per anni la ricerca della verità». Le prime 387 pagine della motivazione sono dedicate alla ricostruzione dei fatti: le bombe, gli attentati, la strage del 12 dicembre, le indagini, il processo. Si portano le testimonianze dei presidenti del Consiglio e dei ministri dell'epoca (Tanassi, Andreotti, Rumor), dei generali e dei militari. Si racconta del generale Maletti, incriminato e giudicato per falsa testimonianza, di Tanzilli, di Henke. Il comportamento di Maletti è definito «in perfetta sintonia con gli ambigui silenzi, e lacune mnemoniche, le contraddizioni, le smentite e i reciproci contrasti che avevano caratterizzato varie testimoniarne raccolte nell'ambiente politico». Seguono le considerazioni sulle posizioni processuali dei condannati e degli assolti. Freda e Ventura. « Un com- presso di gravi, numerosi, uni- I voci e concordanti indizi di-\ colpevolezza», hanno portato I la Corte d'assise ad affermare I che «è pienamente raggiunta I j la prova della partecipazione di entrambi ai tragici fatti del 12 dicembre '69». Di questi indizi nel documento ne sono elencati quindici. Fra i più importanti ci sono questi: Freda acquistò in quell'anno 50 timers della stessa marca e della stessa ditta distributrice di quelli \ usati per la strage di Milano. [Anche le borse, destinate al j trasporto degli ordigni, sono '■ dello stesso tipo, marca e colo : re di quelle acquistate da Fre '< da a Padova due giorni prima I del 12 dicembre '69 ed altre \ borse simili — ricorda il docu ! mento — furono trovate nel j rifugio di Freda. Contro i due imputati ci sono inoltre le confidenze e le testimonianze di Angelo Ventura — fratello di Giovanni — e di Guido Lorenzon, dalle deposizioni del quale partì l'indagine sulla pista nera. Per quanto riguarda Freda. infine, è dato atto che la sua è una concezione aristocratico-nazista» e tale teoria lo portò a scrivere che «l'eliminazione dei nemici è resa necessaria non per odio ma per igiene»; nella sentenza il suo ruolo viene strettamente collegato a quello svolto da Giovanni Ventura. «Alle premesse ideologiche dei gruppi operativi non fu davvero estraneo, ma consapevolmente e attivamente partecipe, Giovanni Ventura, legato a Freda per rapporti di occulta collaborazione, nonostante la manovra con cui entrambi hanno tentato sempre durante il dibattimento di porsi su sponde politiche opposte». Guido Giannettini. E' l'anello di collegamento tra la cellula di Freda e Ventura e coloro che sono rimasti «senza volto e sema nome». «Le protezioni scandalose a lui concesse — scrive la sentenza — costituiscono la prova definitiva che egli non agi per proprio conto e che anche Freda e Ventura si sentirono autorizzati a confidare in autorevoli appoggi provenienti da quel medesimo apparato statale alla cui sovversione essi tendevano». Giannettini è condannato | perché svolse un ruolo di prij mo piano nell'associazione sovversiva e perché assicurava «un avallo politico-militu! re che non poteva non essere ] accolto dai suoi correi come garanzia d'impunità, ossia coline fattore d'istigazione». L'altezza del suo ruolo — ag| giungono i giudici — spiega processualmente, sotto il profilo del concorso morale, il legame che unisce Giannettini all'attività di Freda e soprattutto a quella di Giovanni Ventura, con il quale egli era in diretto contatto. Marco Pozzan. Definito «fedele seguace di Freda e depositario di importanti segreti tanto da suscitare l'interesse del Sid», Pozzan tuttavia è stato assolto dall'accusa di strage per «la mancama di elementi probatori a suo carico e per la sua posizione subalterna nell'associazione sovversiva». Maletti e Labruna. Il documento attacca duramente l'ex responsabile del servizio «controspionaggio» del Sid. Pur ricordando che Maletti non ricopriva alcun ruolo nel servizio all'epoca della strage, si legge nella sentenza che in seguito egli «non avrebbe potuto essere o ritenersi in alcun modo autorizzato legittimamente da alcunché o da chicchessia a coprire Giannettini». E ancora: «Maletti non ha esitato a sacrificare l'accertamento della verità per privilegiare l'acquisizione di notizie sulla destra internazionale che Giannettini offriva al Sid». Il capitano Antonio Labruna è agganciato a Maletti sotto il profilo del concorso nel favoreggiamento di Giannettini e Pozzan avendo svolto soltanto la parte esecutiva nelle operazioni di espatrio e di copertura dei due imputati. Valpreda e gli anarchici. Il nocciolo del dubbio per i giudici è stato quale attendibilità dare alla testimonianza del tassista Cornelio Rolandi, ormai defunto, che sostenne. cmbdserpcdc(aqcsnsndpmlimnslsttdSratraatpochi giorni dopo la strage, di ; caver accompagnato Valpreda in piazza Fontana il 12 dicem- j bre '69. Il questore di Milano. Guida, fu processato per aver mostrato a Rolandi, già prima della ricognizione, una foto di Valpreda, fatto, questo, che ne inficiò il valore. I giudici i sostengono nella motivazione (■ della sentenza che Rolandi è. nonostante ciò, «un teste attendibile», anche se ricono- scono che Guida sbagliò nel mostrargli la fotografia, e concludono che «rimane non risolto a carico di Valpreda il pesante elemento di dubbio costituito da quella ricognizione». Altro elemento che oscura l'innocenza di Valpreda, secondo il documento, è l'alibi dell'anarchico per quel 12 dicembre che si basa «soltanto su un'unica discutibile testimonianza, della zia Rachele Torri». La testimonianza è definita «una base inadeguata, per cui l'alibi non può ritenersi sufficientemente provato». A spiegare la condanna per associazione per delinquere del gruppo di Valpreda e del provocatore Mario Merlino i giudici dicono di aver provato che il gruppo «XXII Marzo» perseguiva «propositi delittuosi mediante un violento attivismo che non aveva chiari scopi politici» e che « Valpreda e Merlino appaiono palesemente promotori, organizzatori e capi di questa associazione». Uno dei difensori di Valpreda, l'avvocato Fausto Tarsitano, ha definito «erroneo ed in¬ spasbiacsacsrraaftStctzucgmpctcccongruo» il proscioglimento I per insufficienza di prove di I Valpreda ed ha accusato di j «debolezza» la motivazione j per quanto riguarda l'accusa I di associazione per delinquevi re. Silvana Mazzocchi ! ■ Catanzaro. Franco Freda con i suoi avvocati in una foto scattata nel '77 durante il processo

Luoghi citati: Catanzaro, Milano, Padova