Dentro i forzieri del Vaticano

Dentro i forzieri del Vaticano LE FINANZE E I FINANZIERI PONTIFICI DA PIO IX A BENEDETTO XV Dentro i forzieri del Vaticano Ventiquattr'ore dopo Porta Pia il gen. Raffaele Cadorna, su pressante appello della Santa Sede, occupò la Città Leonina per proteggerla dalla «plebaglia» in tumulto, ma si imbatté in una sorpresa che solo oggi, dopo oltre cento anni, trova spiegazione in un nuovo saggio edito da Monda-1 dori Era il 21 settembre 1870. I soldati italiani, raggiunto il Vaticano dalla sponda sinistra del Tevere dove si erano fermati per un riguardo a Pio IX. scoprirono la cassa dello Stato pontificio nella Zecca che non era compresa, come adesso, nei confini vaticani. C'erano, ben allineati, sei milioni e mezzo di lire dell'epoca: verghe d'oro e d'argento, contanti, altri valori. Perché il Papa non li aveva tempestivamente messi in salvo? Cadorna ipotizzò che Pio IX volesse utilizzare l'occupazione della Città Leonina (da lui stesso richiesta segretamente) e il sequestro dei fondi pontifici per dimostrare al mondo la «dura prigionia» impostagli dagli invasori. Molti storici hanno tentato altre spiegazioni, ma quella vera la offre il giornalista Benny Lai. esperto «vaticano logo», nella monografia Finanze e finanzieri vaticani tra l'SOO e il 900 - Da Pio IX a Benedetto XV (pag. 303. lire 10.000): essa è accompagnata da un denso volume di «Atti e Documenti» (pag. 208, lire 8000), in gran parte inediti, come il racconto dell'occupazione di Roma, fatto dal segretario di Stato, card. Giacomo Antonelli. nei rapporti ai nunzi. Era stato proprio Antonelli a dimenticare «volontariamente- la cassa nella Zecca «per ottenere dagli occupanti un trattamento più mite-: lo confidò il cardinale, come Lai ha scoperto in undici anni di ricerche negli archivi segreti vaticani, negli archivi italiani e. soprattutto portando in luce le carte di mons. Enrico Folcili, responsabile delle finanze vaticane sotto Leone XIII. e di Ernesto Pacelli, presidente del Banco di Roma, cugino di Pio XII e finanziere di fiducia di tre papi. L'episodio della Zecca pon- racConto di Lai. un esempio di tificia è uno dei molti esempi che nel volume provano l'ini- mediato stabilirsi dopo il 20 settembre di sotterranei lega- mi e interessi fra lo Stato an- ticlericale e invasore e la San-ta Sede legittimista e privata del potere temporale. Leggendo l'appassionante serietà scientifica e di stile scorrevole dato da un giornalista agli storici di mestiere, ci si domanda se la «Questione Romana... solennemente chiusa nell'interesse del fasci- smo 111 febbraio 1929. si siamai aperta. Tre mesi dopo Porta Pia. l'Italia fissò una rendita annua di tre milioni e 225 mila lire come appannaggio del Papa (che non li riscosse). Nel '29 su questa base fu concordata la somma di un miliardo liquido e 750 milioni in titoli che risarcì la Santa Sede. Sin dal 1860. con l'Unità d'Italia — come rileva Lai — la fine degli Stati Pontifici aveva creato difficoltà insupera bili per l'erario papale. Anto nelli. allora, ebbe un'idea ge niale: quella di raccogliere fondi per il Papa nel mondo cattolico. Nacque cosi l'«Obo lo di S. Pietro» al quale Lai dedica molte pagine di minu1 ziosa analisi storico-finanzia i ria, trattandosi di un cespite I tuttora fondamentale nelle ' risorse vaticane. E' singolare la constatazio-ne che l'.Obolo» aumenta quando la politica papale ap-i Stati reazionari. j poggia i mentre diminuisce quando sostiene gli Stati progressisti: j nei primi sette anni -1860-'67|— aveva accumulato ben 64 milioni, per scendere a livelli ! molto bassi con la svolta poli- I tica di Leone XIII. e risalire nuovamente con Pio X, autoritario malgrado la personale mitezza, politicamente vicino agli Stati forti e conservatori. Vi è un altro aspetto centrale nella documentata mo- i nografia che inquadra la in- solita ricerca nel periodo sto rico. L'occupazione italiana di Roma segnò la fine di una amministrazione pontificia di tipo medievale per passare a una moderna politica degli investimenti, che integrarono le finanze vaticane nel capitalismo. Fu Leone XIII ad affidare a mons. Folcili il compito di investire le sostanze della Santa Sede nel modo più redditizio «unendo all'attività del gioco in Borsa, quella assai proficua della concessione dei mutui-. Così il Vaticano, come accadrà in questo dopo guerra, trasse grandi utili dallo sviluppo urbanistico di Roma. Caduto in disgrazia e * greto da una commissione di cardinali, il povero mons. Folcili fu sostituito da Ernesto Pacelli, il vero «confidente» di Leone XIII. Gli investimenti si diressero alla nascente industria romana, con la creazione nel 1896 della «Società molini e pastifici Pantanella». dove lo Stato, anticlericale, era in realtà azionista a fianco del Vaticano. La collaborazione sconosciuta fra i due poteri ufficialmente avversari si estese in altri campi, ma soprattutto si perfezionò nel Banco di Roma, presieduto dal Pacelli: il Vaticano, nel 1897 possedeva 5510 azioni sulle diecimila in cui era diviso il capitale, e lo Stato aveva la sua parte. Pacelli si sforzò, riuscendovi, di riportare in Italia investimenti pontifici ! da altri Paesi, specialmente ; presso i Rothschild francesi (che curano tuttora gli interessi della Santa Sede). { Cosi, Leone XIII creò in assoluto riserbo il nucleo dell'attuale Istituto per le Opere di Religione (la Banca Vaticana), costituendo un deposito «ad pias causas* nel 1887 ma conosciuto fuori solo dopo il 1900. Quando Pacelli nel 1902. d'accordo con Giolitti. cercò di convincere Pio X a trasferire al Banco di Roma i capitali depositati da Rothschild, si senti rispondere: «El ghe dica al so ministro che ogni qualvolta i papi gà lassa i ebrei per i cristiani, i gà perso tutta so sghei-. Gli intrecci finanziari non solo del Vaticano, ma soprattutto di banche cattoliche, condizionarono in parte la politica della Santa Sede. Cosi Lai documenta in modo rigoroso e per la prima volta le | responsabilità vaticane nello ' ; spingere l'Italia alla guerra di | Libia, patrocinata dal Banco | di Roma per espandersi, ani che se si risolse in «un cattivo affare- che nel 1915, sotto Benedetto XV. costrinse Pacelli ; a dimettersi e il Vaticano a salvare il Banco di Roma. I buoni contatti Chiesa-Stato ; portarono Pelloux e Salan|dra, poi Giolitti a ottenere i dalla Chiesa il consenso ad '< accordi elettorali, come il pat! to Gentiloni. che annullavano di fatto il divieto papale ai cattolici di essere eletti o elettori («non expediU). Pacelli iera l'intermediario, forte del I suo peso finanziario nelle Due Rome. «Possiamo sperare, gli do■ mandava il capogabinetto di Pelloux. che il Venerando Santo Padre, che tanto bene .vuole all'Italia la quale con altrettanta effusione di affet-' to lo contraccambia, si induca a permettere (...) che i cattolici dicano la loro parola per l'ordine?-. Realpolitik da entrambe le parti, ma anche segno dei tempi. Lamberto Fumo

Luoghi citati: Italia, Libia, Roma