Studenti in Urss, élite senza potere di Livio Zanotti

Studenti in Urss, élite senza potere UN'INCHIESTA INEDITA A MOSCA; LA FAMIGLIA RUSSA È IN CRISI Studenti in Urss, élite senza potere Sebbene un operaio guadagni il doppio di un medico, nel Paese della dittatura del proletariato trionfa il modello dell'intellettuale come riscatto dai lavori manuali - Lo Stato scoraggia la corsa al titolo di scuola superiore, ma i giovani vivono l'esclusione dall'università come una catastrofe - Rifiutano i modelli del perbenismo ufficiale; pensano soprattutto a se stessi DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA — II vero «modello», in carne e ossa, è lì, sul palcoscenico semibuio: declama un'ode in memoria di Pablo Neruda, un'altra contro il suicidio. Ha modi di poeta e mente di arrìngapopolo, la «dacia» tra i boschi e il passaporto in tasca (l'estero a portata di mano: che sogno.1). Il «modello» si chiama Evgenij Evtuscenko. Basta osservarlo, e osservare il suo pubblico, stasera, qui nell'au,i magna del Politecnico di Mosca, per comprendere se non tutto certamente molto dei giovani moscoviti, sintesi emblematica delle nuove generazioni della Russia urbana, speranza e tormento del regime, seme della famiglia nucleare sovietica. La sala vastissima è affollata dagli studenti dei vari corsi; saranno un migliaio, forse più, non c'è una sedia libera e molti, in fondo, stanno inpiedicontro laparete. Ascoltano composti e sembrano tutti uguali nel silenzio uniforme. Ma a guardarli meglio non è così. Molti hanno la cravatta, i capelli appiccicati sulla testa, gli occhiali appesantiti da spesse lenti di miopi precoci. Alcune rugasse vestono graziosi abitini a fiori, fatti in casa, copiati dai modelli occidentali Da una parte, gruppo una dozzina di giovani in jeans, magliette colorate con vistose scritte in inglese («1 love me», «to be or not to be»; allusioni contestatrici?), lunghe chiome incolte, i professori li guardano di sbieco. Concluso il recital, c'è la ressa per gli autografi davanti al camerino del divo. Per questa élite senza potere che sono gli universitari in Urss il poeta di successo rappresenta l'equivalente di Rivera, Marcuse e i Beatles messi insieme. La pittoresca pattuglia dei capelloni sghignazza un poco ma fa la coda come gli altri; finalmente arrivano a stringere la mano del poeta uno per uno, gli fanno i complimenti: «Ecco uno che ci sa fare», commentano poi tra loro. Sono tipi analoghi a quelli che Veblen battezzò i riuniti, fanno I «cultori di svaghi barbarici», Molti suoi colleghi sovietici, più severi, oggi li chiamano teppisti; pur senza spingersi a dire con Martin Lutero: «Vorrei un figlio morto, piuttosto che un figlio teppista». In Urss il Sessantotto è l'anno della Cecoslovacchia non quello della rivolta studentesca, evoca Praga non Berkeley e Nanterre. Ma tra questi giovani è un anno come un altro. Il loro rifiuto per i modelli del perbenismo ufficiale, per i comportamenti di regime propagandati dal «Komsomol» (l'organizzazione giovanile del partito che ha circa 28 milioni di iscritti) si maschera d'indifferenza. Pensano soprattutto a loro stessi e al presente, immaginano la libertà come i protagonisti di Easy Rider che non hanno mai visto, non come Lenin che hanno studiato. «Voglio una motocicletta, poi un'altra motocicletta, e an- csslLrha«dsgmm cora una motocicletta», ha scritto uno di essi alla Komsomolskaja Pravda in una letterarestata famosa. Un gruppo di psicologi di Leningrado ha cercato di verificare il significato che hanno per ragazzi di 16-18 anni parole quali «probità», «collettivismo», «coscienza del lavoro». E' risultato che soltanto il 35-40 per cento degli intervistati sapeva determinare più o meno correttamente i relativi concetti. Il figlio unico «Purtroppo non si insegnano in tutte le famiglie», ha osservato il sociologo Serghiei Krìlov, ex viceministro dell'Interno, ex generale di divisione, ex capo dell'accademia del ministero dell'Interno, da poco scomparso tragicamente. «Colpa delle insufficienze organizzative e di educazione, dell'influenza ideologica straniera e delle sopravvivenze del passato», aggiungeva come spiegazione. «Lei ha letto La notte dopo la maturità di Vladimir Tendrjakov?», mi domanda un giovane conoscente, figlio di insegnanti ed insegnante egli stesso in un liceo della capitale. Da studente era il primo della classe, tutto scuola, famiglia e «Komsomol»: lo avevo interpellato per farmi dire qualcosa delle aspirazioni, dei sentimenti, della vita dei ragazzi che studiano, non bevono, non fanno i perdigiorno nei vicoli della città vecchia, aspirano a una carriera, sono cioè cittadini ligi, rappresentano la maggioranza e l'antidoto agli Huligani, capelloni e riottosi, negletti e inconsapevoli interpreti delle teorie dei bisogni. Poiché non conoscevo il romanzo, me ne ha letto lui stesso qualclie brano. L'autore è uno dei sopravvissuti di Stalingrado. Racconta l'improvviso esplodere della vita tra un gruppo di ragazzi che hanno concluso le medie superiori. Alla cerimonia di consegna dei diplomi di maturità, la ragazza più brillante dell'istituto viene invitata a parlare a nome dei compagni. Ma tra la costernazione di preside e insegnanti la studentessa smette di colpo la sua docilità e dichiara: «La scuola mi ha fatto apprende i ] re tutto, tutto tranne una cosa: che cosa mi piace, che cosa io amo davvero...». E nella discussione che ne segue uno dei compagni, temperamento e talento d'artista, spiega: «Ci lodavano per l'ubbidienza, ci punivano per l'indocilità (...) io sono di quelli che non sopportano il collare e il guinzaglio...». Per il professor Bestugev Lada e i suoi assistenti all'Istituto di sociologia ogni guaio risale all'attuale famiglia monofiliale russa. So- \ stengono che una volta di fi j gii se ne facevano molti e che ne morisse qualcuno appariva naturale nella sua fatalità. Adesso i genitori ne hanno uno solo, non possono neppure concepire di perderlo e lo curano, lo proteggono, lo vezzeggiano fino a viziarlo. «Accade in tutti i Paesi economicamente sviluppati ed è una j sciagura, perché frena la creatività dei ragazzi, la loro spontanea audacia: essi fremono come galli in gabbia, si sentono ingozzati a forza; mentre desidererebbero esprimersi da adulti quali ormai sono e protestano come possono contro tale situazione. I genitori non lo capiscono e fanno di tutto perché il \ figlio ottenga scuola, occupi la migliore il posto più prestigioso nel lavoro e co- munque eviti la fatica fisica». dice Bestugev Lada. Nel Paese della dittatura del proletariato trionfa il modello dell'intellettuale, come riscatto dal lavoro manuale. Come paradosso non c'è male! «L'aureola di San Fannullone aleggia sulle nostre teste», griderebbe raggiante Paul Lafargue. Ma il genero di Marx non gode di buona stampa tra gli ideologi del comitato centrale e l'esaltazione dell'«ozio* in quanto strumento di progresso non ha mai trovato posto nell'etica sovietica. In Urss il lavoro manuale è pagato il doppio di quello intellettuale, un operaio guadagna il doppio di un medico. L'azienda dei trasporti pubblici di Mosca fatica però a reperire autisti, sebbene li paghi 320 rubli mensili (circa 400 mila lire); mentre I i laboratori di ricerca tecnico-scientifica e gli uffici amministrativi degli enti rigurgitano di domande per posti dacentorubli. C'è la corsa in massa al titolo di studio superiore. All'università e agli istituti equiparati si accede per concorso e in media vi entra un candidato ogni sei-sette. Una falcidia, dunque. La maggioranza degli ammessi. (68-70 per cento) beneficia di un presalario variante tra i 45 e i 70 rubli al mese (50-80 mila lire). Per mantenerlo bisogna superare il minimo dei voti e comunque non farsi sorprendere in atteggiamenti contestatori. Una volta terminati gli studi, lo Stato assegna a ciascuno l'occupazione competente che per i primi tre anni non può comunque essere cambiata II lavoro è spesso duro. Come la prendono i neolaureati? E gli esclusi? La risposta è del professor Krìlov: «Troppo frequentemente quanti restano fuori dai cancelli dell'università sentono l'esclusione come una catastrofe, la frustrazione dei loro programmi di vita. Se a questo si aggiunge l'insoddisfazione per il nuovo lavoro, i giovani che non hanno ricevuto una sufficiente educazione credono di aver perduto la prospettiva dell'esistenza». E l'insoddisfazione di numerosi universitari per la rigidità dei programmi e poi per le possibilità offerte loro dall'impiego talvolta è anche maggiore, potremmo aggiungere. Il loro sgomento esistenziale non facilita davvero l'inserimento nella società. Tra di essi il consenso verso il regime è assai scarso, arrivando a punte di aperta rottura. Dura selezione Bestugev Lada, che non nasconde certe nostalgie per i valori della famiglia patriarcale, contadina e ben gerarchizzata, ricorda a questo punto la funzione moderatrice che svolgeva e il suo valore sociale «non minore di quello della famiglia di un professore o di un medico oggi». Non tiene conto che la filosofia del «me ne frego» («ja nicevo nie znaiu»A denunciata e condannata dal membro candidato del «Politbjuro» Mascherov come un vizio della gioventù urbana, è anche1 un'eredità contadina. Un retaggio del principio «la mia casa è recintata» («moi dom okrugion zaborom»A vale a dire ciò che accade fuori non mi interessa, tipico della vecchia morale campagnola russa, precipitata in città con l'urbanizzazione. In un Paese che in sessan I Vanni è passato dall'86 per | cento di analfabetismo a una scuola dell'obbligo decenna ' le, l'altro paradosso cui in de finitiva si assiste è la crisi dell'assioma illuminista secondo il quale a una più ampia diffusione della cultura corrisponderebbe automaticamente un maggiore livello civile dei singoli e della comunità. Si potrebbe discutere sulla qualità dell'istruzione di massa sovietica, sul suo acritico nozionismo, e ci sarebbe davvero molto da dire. Fino a negare, come fanno alcuni, che possa definirsi cultura. Sta di fatto, come dice Bestugev Lada, «siamo arrivati alla svalutazione dell'istruzione superiore e specializzata». E, almeno nelle intenzioni dei programmatori sociali, la reazione è tutt'altro che ideologica. Il progetto è quello di rivalutare i mestieri. Ma tramontata ormai nei fatti ogni idea di nuova ripartizione del lavoro e riconosciuta l'inefficacia del volontarismo, non resta che ricorrere una volta di più agli stimoli materiali: aumentare ulteriormente il livello di vita degli operai rispetto a quello degli intellet-. tuali. La realtà di mercato riafferma i suoi diritti. Così la proposta, già in parte posta in pratica, è di alzare ancora di più le barriere da superare per accedere agli studi universitari, fare ancora più rigorosa la selezione, soprattutto nelle materie che chiamiamo umanistiche. Conclude Bestugev Ladai «Noi speriamo che un giovane impari ad aspirare ad essere un maestro, non importa se tornitore o professore, ingegnere o autista. Perché adesso assistiamo invece al decadere perfino del prestigio dell'ingegnere, che cede il passo a quello delle discipline umanistiche, filosofia, sociologia, psicologia. Ora filologi, sociologi, psicologi servono poco; di essi nella vita si affermano soltanto quelli dotati di eccezionale talento. Gli altri trascinano un'esistenza priva di prospettive. Anzi, sarò più chiaro: gli altri semplicemente non servono». L'università di massa e la riqualificazione dei titoli non sembrano compatibili neppure in Urss. Livio Zanotti Mosca. Volti di ragazze a una manifestazione. All'Università accede in media, per concorso, un candidato su sei o sette