Il testamento del Papa triste

Il testamento del Papa triste PAOLO VI: «PENSIERO ALLA MORTE», Il testamento del Papa triste Paolo VI non è stato, riconosciamolo, un Papa popolare; nella sua parsimonia di parole e di gesti, nella austerità della sua persona fisica, del suo volto, nella mancanza di gesti ieratici (come quell'altare le braccia al cielo di Pio XII). e soprattutto nella tristezza che, specie negli ultimi anni, si. scorgeva incombere su di lui, non galvanizzava il popolo. Il suo quasi immediato successore, Giovanni Paolo II, non ancora sessantenne, sportivo, vigoroso, che sa mescolarsi alla folla, largheggiare nei gesti di benevolenza, accogliere le richieste più remote da quelle che per secoli si rivolgevano ai Pontefici (la domanda di sconosciuti che sia lui a battezzare un bambino) si è reso immediatamente assai più popolare. Nell'insegnamento della Chiesa si trovano accenni alla gioia e al dolore; ma la gioia per la Chiesa è l'alto apprezzamento della vita, la gioia di essere in pace con Dio, di abbandonarsi a lui; da secoli le gioie sono quelle dei Fioretti di S. Francesco, e si chiamano rinunce, al più. godimento dell'opera della creazione: sorella acqua, fratello fuoco, gioia del cinguettio degli uccelli. Da secoli il corpo è stato negletto, mortificato, si è pensato che a Dio fosse grata la rinuncia. Oggi c'è una reazione, e si possono anche trovare passi del Vangelo che la giustifichino; più agevole conquistare gli uomini non mostrando loro la vita come una serie di giornate di cui nessuna veramente di festa. Paolo VI, vissuto per gran parte della sua vita in mezzo ai giovani, ben sapeva tutto ciò, e dicono che nella stretta intimità dei familiari accettasse an che la celia, specie per far sor ridere i bimbi: ma intimamente apparteneva al cattolicesimo della rinuncia, della Via Crucis; e considerava con estrema apprensione le sorti della cattolicità. Le bellissime pagine che vengono ora alla luce con la pubblicazione del Pensiero alla morte mostrano nella sua interezza la figura di questo Papa dell'Orto del Getsemani. L'umiltà; rivolgendosi a Dio chiede: «perché bai chiamato me, perché mi hai scelto? così inetto, così renitente, così pove ro di mente e di cuore». Sa le difficoltà in cui naviga la Chie sa; e scrive: «più ancora che la stanchezza fisica, pronta a cedere a ogni momento, il dramma delle mie responsabilità sembra suggerire come soluzione provvidenziale il mio esodo da questo mondo, affinchè la Provvidenza possa manifestarsi e trarre la Chiesa a migliori fortune». La Provvidenza ha tanti modi d'intervenire, «ma quello della mia chiamata all'altra vita pare ovvio, perchè altri subentri più valido e non vincolato dalle presenti difficoltà. Sono un servo inutile». Che avesse la coscienza di non essere popolare — c'erano ahimè dei buoni cattolici che con qualche impazienza lo chiamavano «Paolo mesto» — traspare là dove dice di aver sempre amato la Chiesa, che per essa, non per altro, gli pare di aver vissuto. «Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse: e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all'estremo momento della vita si ha il coraggio di fare»; ha amato la Chiesa tutta, anche «nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici», su cui emerge il «suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità». Papa triste, ma grato a Dio di averlo chiamato alla vita, perché «questa vita mortale è nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, Ja sua fatale caducità, un fatto ■bellissimo, un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio e in gloria»; bella la vita dell'uomo e degno di esaltazione e di felice stupore il quadro che la circonda: «questo mondo immenso, misterioso, magnifico... panorama incantevole... riflesso della prima ed unica Luce», del Dio creatore. Nella sua vita e in quella di quanti hanno avuto pari fortuna, l'avvenimento più grande fu l'incontro con Cristo, la Vita. Sentendo prossima la morte, si pone le eterne domande: «io, chi sono? che cosa resta di me? dove vado?... che cosa devo fare?quali sono le mie responsabilità?»; ma credo che non parli per se stesso, bensì per tutti gli uomini, quando prosegue: «ssrep «vedo che rispetto alla vita presente è vano avere speranze: rispetto ad essa si hanno dei doveri e delle aspettative funzionali e momentanee; le speranze sono per l'aldi là». Questo Pensiero alla morte fu scritto tutto di mano del Papa; non è detto se nella previsione del Pontefice avesse a venire pubblicato o se fosse uno sfogo spontaneo, un colloquio con Dio (ogni uomo avvezzo a scrivere, che ama più lo scrive- re che il parlare, ha questi sfoghi, questo bisogno di mettere sulla carta suoi pensieri, sue tristezze, sue effusioni). Ma è un grido così spontaneo, l'espressione di una fede così profonda, che può commuovere anche il non credente. E' una ricchezza che non doveva rimanere celata. Paolo VI credeva nelle infinite vie della Provvidenza: nulla escludeva; così che un pontificato del tutto diverso dal suo, che riabilitasse il corpo umano, pur esso creazione di Dio, e incitasse i fedeli a rendere quanto possibile, nei limiti del lecito, lieta la loro vita: le vacanze non solo periodo di raccoglimento spirituale, di tempo per meditare, ma anche di gioire: gli sport salute per il corpo, godimento di quanto — mare, ombre di boschi, rocce per gli arrampicatori, nevi per gli sciatori, gioia del variare ogni giorno per gl'irrequieti, gli antichi viandanti, oggi muniti di rapidi | mezzi di spostamento — può j allietare. E un più profondo j amore dei fratelli, per cui an! che i malati, i vecchi, quelli cui • è preclusa ogni gioia, si allieti| no vedendo il godimento altrui. Per lo storico del cristianesi| mo è una rappresentazione senza precedenti, ma mutano i tempi e con essi i mezzi di conquista delle anime; per quanto arduo possa apparire, è pur possibile che la religione del sorriso richiami agli schietti valori cristiani quelli che se n'erano allontanati scorgendo in essi soltanto la religione della rassegnazione. Se di cose di qua in ciel si cura, papa Montini gioirà di questa riconquista di anime. Ma per chi non può più mutare la propria religiosità, la figura di Paolo VL con la sua tristezza, la sua umiltà, la sua speranza di ciò che la Provvidenza avrebbe operato nel suo successore, resta la figura indimenticabile, alla cui intercessione ricorrerà al momento della propria morte. A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Giovanni Paolo Ii, Montini, Paolo Vi, Paolo Vl, Pio Xii