Il direttore artistico un terribile mestiere di Massimo Mila

Il direttore artistico un terribile mestiere UN MISTERO NEI TEATRI D'OPERA Il direttore artistico un terribile mestiere Se la compilazione del cartellone per una stagione d'opera lirica consiste principalmente in un processo di rotazione automatica fra i titoli del repertorio, come qui s'è altra volta descritto (cfr. «La commedia del cartellone», La Stampa, 29 marzo, pag. 3), allora se n'ha da dedurre che il mestiere di Direttore artistico sia il più facile, e magari il più superfluo, di questo mondo? Tutt'altro, prima di tutto per la misteriosa confusione in cui sono ancora avvolti le attribu-, zioni e t compiti di questo personaggio, di cui è recente l'istituzione legale, e perciò imprecisa la configurazione. Fino alla legge Corona, poteva esserci e poteva non esserci. Vaso di coccio tra vasi di ferro, costretto a fare i conti col Sovrintendente, col Consiglio d'Amministrazione, con l'economo, coi cantanti, coi direttori d'orchestra, coi registi, scenografi, coreografi e ballerini, con l'opinione pubblica e con la criticn musicale, in molti teatri il Direttore artistico è soltanto una figura di comodo, chiamata ad avallare, con l'autorità d'un nome professionalmente stimato, la responsabilità di deliberazioni altrui. A questo scopo era richiesto e impiegato già prima che la legge ne rendesse la presenza obbligatoria. Ma anche a prescindere dalla scomoda incertezza del suo ruolo, e anche a supporre l'ipotesi abbastanza utopistica di un Direttore artistico che goda di tarta bianca e possa svolgere la propria opera sorretto dalla fiducia incondizionata delle altre forze impegnate nella conduzione del teatro, quello del Direttore artistico nei teatri d'opera italiani resta un mestiere difficile, a volerlo far bene, per non dire terribile. La sua difficoltà nasce in gran parte dall'usanza italiana della libera circolazione dei cantanti, direttori e registi da un teatro all'altro per brevi contratti men che stagionali, anzi, generalmente per una sola opera, sì che per ogni titolo in cartellone si deve sempre formare ex novo una compagnia. In altri Paesi, e particolarmente in Germania, si segue l'uso delle compagnie stabili. Non è qui il caso di rispolverare la vecchia questione dei vantaggi e degli inconvenienti connessi con l'uno e l'altro dei due sistemi. Quello delle compagnie stabili permette una meditata programmazione a lunga scadenza, da realizzare attraverso un accurato lavoro di educazione artistica, di vero e proprio allevamento d'una compagnia, intesa come una squadra, con tutti i suoi doppi, sostituti e rincalzi. Rischia d'altra parte di assopirsi in un abitudinario conformismo di consuetudini municipali. Può essere controproducente vedere la stessa artista, anche ottima, essere una sera Violetta, la sera dopo Mimi, e poi Melisenda o Leonora. E per di più incontrarla al mattino sul tram o per strada mentre va a far la spesa. L'altro sistema, quello all'italiana, delle compagnie di volta in volta formate, riposa per buona parte sulle eccitanti risorse dell'improvvisazione individualistica e propone ogni volta un rinnovato motivo d'interesse per la diversità del cast esecutivo. E' chiaro che uno dei due sistemi pone l'accento piuttosto sulle opere e l'altro sui cantanti, ma non è detto che con questo la questione sia senz'altro decisa. Verdi, in una lettera a Boito a proposito della scelta d'un nuovo direttore d'orchestra per la Scala, dopo la malattia di Franco Faccio, poneva il dilemma: «O Cantanti per le opere: o le opere per i Cantanti», e raccomandava: «Le compagnie stabili complete per tutta la stagione». Ma in altra lettera, fino a quest'anno inedita, non si na- scondeva la realtà, per lo meno italiana: «Quando il Teatro è quasi spopolalo, i pochi che assistono sono principalmente attirati dalla Orchestra, dalla musica, da dettagli et. et. Tutto questo sparisce davanti al grosso Pubblico, la cui attenzione è rivolta quasi interamente su quelli che agiscono! ». Certo è che col sistema all'italiana il mestiere del Direttore artistico diventa uno dei più difficili del mondo, tanto da far dubitare se una persona sola possa esserne in grado. Gli si richiede infatti il possesso di qualità contraddittorie che, a eccezione di casi miracolosi, si escludono a vicenda. Il Direttore artistico deve proporre le opere da mettere in cartellone, e per questo gli si richiede cultura, spregiudicatezza e originalità di gusto, aggiornamento europeo e locale a un tempo, per far si che la tale opera, di repertorio o meno, tirata fuori al momento giusto, nelle circostanze opportune di attualità, invece di cascare nel vuoto astrattismo della rotazione automatica (l'anno scorso il Rigoletto, quest'anno II Trovatore, l'anno venturo La Traviata), risponda per contro a bisogni culturali sentiti, sia su piano locale, sia entro la più ampia vicenda del gusto e dei suoi rivolgimenti in campo nazionale o mondiale. Per questa parte del suo lavoro il Direttore artistico dev'essere un uomo di cultura e un ingegno libero dal mortifero conformismo della routine teatrale. Ma il suo compito non si esaurisce in un bell'elenco di opere, il più possibile originale e intelligente. Egli deve preoccuparsi anche della possibilità e del modo di eseguirle. E per ] questo dev'essere, invece, un mago della routine, quel che si dice una vecchia volpe del palcoscenico, esperto di tutti i ruoli operistici e dei cantanti che li interpretano, capace di. ricordare al momento giusto il tal comprimario sentito a Reggio Emilia o a Stoccarda o al Covent Garden, che si integra mirabilmente con gli altri elementi che ha qui sottomano; deve dosare la sua compagnia con un fiuto che soltanto il mestiere può dare, facendoti intuire che il tal cantante che hai sentito far malissimo Figaro in certe circostanze, potrà riuscire un buon Rigoletto, immesso in altro contesto esecutivo. Intuire, fiutare nell'aria le affinità elettive che amalgamano certi artisti, siano essi cantanti, direttori, registi, sceno¬ grafi, e le incompatibilità che possono a volte far nascere un disastro dal più costoso reclutamento di divi. Essere cosi addentro nella conoscenza del mondo teatrale e dei suoi personaggi, da saper proporre al direttore d'orchestra e al regista, proprio l'opera giusta, quella che loro hanno voglia di. fare, quella che meglio si addice al loro temperamento, alla loro preparazione e perfino ai loro attuali interessi artistici. Per metter su in questo modo una stagione di tre mesi, occorrerebbe passare gli altri nove dell'anno sempre in giro per i teatri del mondo, annotando nella memoria figure e possibilità di artisti, senza alcuno scopo preciso, ma perché vengano poi fuori al momento opportuno, estratti da un inesauribile schedario mentale. Essere perennemente informato delle condizioni del mercato lirico e perfino delle vicissitudini dei singoli: il tal tenore ha fatto una brutta bronchite, un altro beve troppo, la tale sarà incinta d'otto mesi al momento della mia Mignon. E' un mestiere che rassomiglia un poco a quello del Commissario unico della Nazionale di calcio, sempre in giro per gli stadti ad osservare atleti da combinare nel suo mosaico: con la differenza che campo d'osservazione è il mondo intero, e con tutte le maggiori difficoltà che comporta cantare un'opera di Mozart o di Verdi, invece che tirar calci in un pal- lone Massimo Mila S N

Persone citate: Boito, Franco Faccio, Garden, Mignon, Mozart, Scala, Verdi

Luoghi citati: Germania, Reggio Emilia, Stoccarda