Nuove fiamme minacciano l'Ulster di Arrigo Levi

Nuove fiamme minacciano l'Ulster IN IRLANDA, LA PROVINCIA PIÙ' INSANGUINATA DEL CONTINENTE Nuove fiamme minacciano l'Ulster Tra i protestanti, all'intransigenza del reverendo Paisley si oppone la moderazione del canonico Arlow, un protagonista del movimento ecumenico - Egli vede imminente un drammatico aumento della violenza e sollecita un intervento politico del governo inglese per sbloccare la situazione: «C'è un annoj di tempo, forse meno» - Propone un referendum consultivo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BELFAST — Religione e politica, in Irlanda, vanno sempre insieme. Oggi le Chiese se ne dolgono; ma l'intreccio strettissimo tra valori religiosi e valori politici ha radici profonde nella storia irlandese. Troppo a lungo la lotta per l'indipendenza dal dominio inglese fu tutt'uno con la difesa del cattolicesimo; mentre la lotta dei protestanti nlsteriani per l'unione con la Gran Bretagna s'identificava con la difesa delle loro libertà religiose dall'«assolutismo papista». Oggi tante cose sono cambiate: l'«Irish Council of Churchesn, che comprende tutte le principali sètte protestanti, ha intrecciato un dialogo intenso e una stretta collaboratone con la Chiesa cattolica irlandese: l'ecumenismo è una farsa presente, anche se meno viva che nel resto d'Europa, e opera attivamente per la riconciliasione tra le comunità; insieme, le Chiese hanno anche prodotto un eccellente rapporto sulla «Violenza in Irlanda». ■ Ma inevitabilmente l'ecumenismo si qualifica anche come una forza politica e non solo spirituale. Non a caso, dell'-Irish Council of Churches» non fa parte la «Libera Chiesa Presbiteriana di Ian Paisley, leader del partito «democratico unionista», espressione dell'intransigenza ulsteriana, politica e religiosa. Il fatto stesso che l'Ulster non abbia mai avuto uno spessore culturale paragonabile a quello dell'Irlanda cattolica e repubblicana, e sia relativamente povero d'intel- lettuali, fa si che il posto dell'intellettuale sia spesso occupato dal sacerdote. Questi finisce talvolta per diventare principalmente un politico, come il reverendo Paisley, i cui valori cristiani sono quantomeno arcaici, eco di età lontane. Altre volte il sacerdote si sforza di guardare al di là dell'immediato futuro, rendendosi ben conto che «la violenza e il terrorismo non sono la malattia, ma sol- | tanto il sintomo»; la malattia è la divisione degli spiriti, I frutto di antichi pregiudizi che possono essere combattuti e vinti soltanto da un'azione culturale-religiosa, oltre che politica. Il giudizio elle ho riferito ! sulla violenza è del Canonico : William Arlow, segretario I dell'«Irish Council of Churj ches». Arlow è il sacerdote ■ protestante che ha accompaI gnato il Primate d'Irlanda O'Fiaich a Roma, per essere al suo fianco il giorno dell'in! vestituracardinalizia. Incontrando Arloiv, che è tra i protagonisti del movij mento ecumenico e forse il j massimo rappresentante del protestantesimo moderato, I mi proponevo di farlo parlare \ sulle prospettive più lontane i che si offrono all'Ulster e alj l'Irlanda; gli ho chiesto quali ' fossero i fattori interni o j esterni che, nell'arco di una o due generazioni, potranno modificare i dati di fondo l della crisi irlandese, quei dati j culturali e umani che sono la : radice del problema, la causa , prima della violenza. Ma, come spesso accade nelle interviste, e più in gene\ rate nei colloqui umani, ho trovato Arlow — per così dire | — «su un'altra lunghezza d'onda». Era, ovviamente, del tutto d'accordo sul fatto che, alla fin fine, a decidere del ! futuro dell'Ulster saranno i , modi e i tempi dell'evoluzio\ ne civile e culturale; ma gli premeva soprattutto parlare dell'oggi, dell'immediato futuro. Questo è comprensibile, \ in una situazione critica e tesa come questa dell'Ulster, dove si ha l'impressione che j ; 1 j ! i [ | un errore tattico, un «passo falso» politico, saranno paga- \ ti e ripagati, non già per anni, ma forse per generazioni. Cosi il Canonico Arloiu, che j è una delle personalità più j vigorose e attraenti che ho ; incontrato nell'Ulster (difficile, in una situazione umana i cosi tesa, non parteggiare, non nutrire forti slanci di simpatia o antipatia...), teneva soprattutto a proporre la. tesi, con la quale, nella limitatezza delle mie conoscenze, concordo in pieno, che sia urgente un'iniziativa politica inglese, per sbloccare una si- ' tuazione che egli vede altrimenti avviata a un drammatico aumento della violenza. Arlow pensa che il nuovo govèrno Thatcher abbia non j più di un anno di tempo, e anzi meno, per prevenire un peggioramento della situazione: in ciò l'opinione di Ar1 low coincide con quella dei paisleyani, che sono i suoi vej ri antagonisti, ma che offro! no un'identica «lettura» della \ gravità crescente della crisi. Altrimenti si avrebbe una ; «scalata» della violenza che imporrebbe al governo inglese di agire, ma in condizioni assai peggiori. Ma che cosa dovrebbe fare Londra? Arlow propone che i la Gran Bretagna chieda alla popolazione dell'Ulster di scegliere, in un referendum consultivo (se esso non desse chiari risultati, la sovranità 1 tornerebbe a ricadere sempre sulla Camera dei Comuni), fra tre — non due — alternetìve: rimanere nel Regno Unito, ma accettando il «power sharing», ossia un gover- j [ no comune di protestanti e cattolici che dia piene garanzie alla minoranza; l'indipendenza — ina allora Londra taglierebbe ogni aiuto economico e richiamerebbe l'esercito, che oggi mantiene la pace —; oppure l'unione con la Repubblica dell'Eire. Arlow pensa che Paisley sarebbe aggirato e spiazzato e che la gran maggioranza degli ulsteriani, protestanti e cattoli| ci, sceglierebbe la prima soluzione, ossia il «vivere e governare insieme», nell'ambito del Regno Unito. Non sono convinto che il governo di Margaret Thatcher, preso da troppi problemi interni, prenderà molte [ iniziative in tempo utile: an' che perché oggi la questione irlandese lascia indifferenti gli inglesi. Ma delle varie ipoj tesi o scenari o proposte che \ mi sono sentito enunciare a Belfast, il «piano Arlow» mi sembra di gran lunga il più razionale e ilpiù ingegnoso. Credo inoltre che alla fine l'Ulster andrà in quella direzione, e che sarebbe un gran peccato se Londra, per pru] denza o per distrazione, indugiasse troppo, o facesse solo proposte modeste e inadeguate, che non impedirebbe| ro l'esplosione di violenza che Arlow e molti altri temono. I Lo stesso esercito inglese è ! convinto che, senza nuove ! iniziative politiche, la violen! za e il terrorismo non potranj no essere ridotti a un livello inferiore a quello attuale: tanto vale muoversi ora. Concludo dicendo molto brevemente di quella che è stata forse l'esperienza più bella e appassionante di questo viaggio nell'Ulster: la visita al «Centro di riconcilia1 zione» di Corrymeela. Questa comunità esiste da quasi i quindici anni; fu fondata da un altro sacerdote protestante. Ray Davey. che si ispirò a simili comunità religiose, e particolarmente all'«Agape» valdesìana: toccò infatti al pastore Tullio Vinay di essere l'ospite d'onore all'inaugurazione di Corrymeela, il 30 ottobre 1965. A Corrymeela mi ha indirizzato uno dei giornalisti più autorevoli e più impegnati dell'Ulster, Alf Me Creary del Belfast Telegraph, il maggiore e il più liberale dei giornali dell'Ulster. A Corrymeela. situata in un angolo splendido della costa nordirlandese, di fronte alla Scozia, in una gran casa bianca su alte scogliere, ho parlato sia col Reverendo Davey che con l'attuale direttore della Comunità, Derick Wilson, un intellettuale moderno e aperto, che rappresenta tutta una comunità di studiosi. Corrymeela accoglie ragazzi, giovani, famiglie, gruppi sociali di tutte le denominazioni, e comunica loro un «messaggio di riconciliazione» che è, ovviamente, anzitutto spirituale, ma anche politico: perché, dice Davey, «nell'Irlanda del Nord non si può star fuori della politica». Corrymeela nasce nel 1965, prima dell'esplosione di violenza; è dunque arrivata troppo tardi, o troppo presto* «Quello che abbiamo fatto finora a Corrymeela. dice ancora Davey, è solo la fine del principio». Wilson spiega: «Abbiamo creato non certo un movimento di massa, ma una network, una rete di persone, non decine ma molte centinaia, che la pensano in modo nuovo, ciascuno dei quali può influenzare la sua comunità». Debbo aggiungere che vi sono altre iniziative di questo genere nell'Ulster, e che offrono, insieme, motivi di speranza. A Corrymeela ho incontrato persone un po' straordinarie: come Maura Kiely, il cui figlio diciottenne fu ucciso dal terrorismo e che ha fondato un gruppo di famiglie egualmente colpite dalla violenza, per portare a ciascuna una parola di solidarietà e di speranza. Parlandole, vedevo, al di là di Corrymeela, al di là persino dell'Europa, un panorama oscuro, pensando a casi e persone vicine e lontane che hanno sofferto, in questo stesso modo, indicibili tragedie, per un accanirsi di violenze die non conosce confini. Ho anche riflettuto sulla forza degli uomini, su come sia insopprimibile l'ansia di fraternità e di giustizia, che nella più tragica delle circostanze permette ancora di sperare. Questa è la storia di Corrymeela, una storia tutta irlandese, tutta europea, una storia del nostro tempo. Arrigo Levi (FINE - Gli altri articoli sono stati pubblicati il 15, 18, 24 e 27 luglio). Belfast. La tradizionale parata degli «orangisti», la fazione più irriducibile tra i protestanti dell'Ulster (Grazia Neri)