Anna Frank, il volto del vero olocausto di Luigi Firpo

Anna Frank, il volto del vero olocausto FU DEPORTATA IL 4 AGOSTO 1944 Anna Frank, il volto del vero olocausto Il mese di giugno, se fosse viva, avrebbe compiuto cinquantanni. Cosa mai sarebbe diventata con il suo carattere volitivo e sensibile, la sete di esperienza umana, la voglia di scrivere e di parlare alla gente, l'amore per la vita? Rileggere, oggi, il diario di Anna Frank, cioè le confessioni di una ragazzina di famiglia agiata, fra i tredici e i quindici anni, che si sente incompresa e sola, e identifica una ideale «migliore amica» (che non ha) con il proprio quaderno (Kitty, 10 chiama) e con esso si confida a cuore aperto, significa anzitutto rivivere dall'interno, grazie all'immediatezza viva delle notazioni, una crisi dell'adolescenza. Io sboccio tormentato di una donna in erba. Lo stile è così fresco e sicuro, che m'era persino venuto il sospetto che si trattasse di una sapiente manipolazione editoriale, se non altro di una riscrittura di mano esperta: ma questa precoce fioritura spontanea, con le sue ingenuità e i suoi eccessi, disarma qualunque malizia. Si segue così, giorno per giorno, il mutarsi di un essere delicato e risentito al tempo stesso, di una bambina esuberante, piena d'allegria e di gioia di vivere, abituata al successo nella scuola e tra i compagni, pronta a scherzare su tutto, che d'improvviso si vede costretta all'isolamento e alla penuria e scopre in sé un'altra personalità «più pura e più profonda", seria, vibrante, ricca di "ita interiore. Perché Anna è una bambina ebrea tedesca cresciuta ad Amsterdam, dove i genitori erano migrati fin dal 1933, credendo di sfuggire alla persecuzione nazista al riparo di una troppo fragile frontiera. Con la guerra e l'occupazione germanica è troppo tardi per tentare una nuova fuga, e il padre Frank escogita un rimedio disperato. Sopra gli uffici e il magazzino della sua ditta esiste un alloggetto affacciato sul retro, cui si accede da una porticina che è possibile dissimulare con un rozzo scaffale girevole zeppo di raccoglitori per corrispondenza. Fidando sulla discrezione e l'aiuto di dipendenti fedeli,( lassù i Frank si trasferiscono in gran segreto, padre, madre, la sorella maggiore iMargot e Anna; e lassù divideranno il loro precario rifugio - tre stanzette, un bugigattolo, una latrina, distribuiti su due piani — con altri quattro infelici: il macellaio Van Daan con moglie e figlio e il dentista Dussel. Otto in pochi metri quadrati, con provviste e vestiario insufficienti, condannati spontaneamente alla reclusione e all'ansia quotidiana di essere scoperti. Non far rumore, velare le luci, non usare il gabinetto se non di notte per non rivelare la propria presenza a chi va e viene dabbasso. Giorno dopo giorno, per venticinque eterni mesi, Anna sente crescere intorno a sé la mancanza d'aria, il silenzio, la paura, che è paura di un passo che s'avvicina, dei ladri che visitano gli uffici nella notte e potrebbero tradirli, delle bombe inglesi che squassano la città. L'inquietudine li «fa a pezzi", ma anche il senso di vivere in una trappola-prigione, con punte di claustrofobia. Allora la bambina, presa dall'angoscia, non sa più ridere: rammenta il tempo spensierato, quando aveva dolciumi, soldini, ammiratori, e i piaceri dell'intelligenza facile, dell'allegria, dell'arguzia. Con infatuazione da reclusa sente il bisogno di immergersi nella natura, sogguarda da finestre socchiuse cieli e nuvole notturne, sogna il verde dei prati da cui è segregata, sospira alla luna. Tra festicciole innocenti e tristi e improvvisi spaventi, con gli occhi cerchiati per mancanza di sonno. Anna sopporta il cibo sempre più scarso, insipido, puzzolente, il frusciare di grossi ratti in solaio, le scarpe e la biancheria sempre più strette, il dover raccogliere gli escrementi di tutti in una latta. 11 fetore, la sporcizia, la promiscuità. Dall'esterno giungono echi del vivere disperato della città: furti, vandalismi, fame, deportazioni, prezzi alle stelle per la borsa nera, ragazze che scompaiono. Cresce fra i reclusi l'intolleranza reciproca. la tensione di tutti contro tutti, fatta di piccoli puntigli, di suscettibilità misere, invadenze, attriti da coabitazione; i discorsi si fanno ripetitivi; le discussioni nevrotiche, spesso attizzate da radioLondra, sono vaniloqui; gli adulti rivelano grettezze, stupidità, miserie dell'animo. In quel clima odioso Anna è chiamata a vivere quella solitudine scompensata e ansiosa che è, per tutti, la giovinezza. Da un lato, riesce a restare la bambina chiacchierina e spensierata «col suo argento vino addosso", qualche volta saccente, testarda, sgarbata, insofferente dei rimproveri, ma ricca di umorismo e di allegria, che rifugge dalle tristezze ( "ma devo piangere tutto il giorno?'*), dalle notizie tragiche, dall'angoscia, e ama la vita, pronta al riso, a divertirsi con piccole cose, a recitare la sua parte di «pagliaccio e briccona della famiglia". Dall'altro, si delinea in lei la' personalità in boccio, la coscienza dell'io che matura: un mondo psichico complesso e sensibile, sorretto da una forte capacità di autocritica. Ora im-, pertinente e gaia, ora malinconica, annoiata, fantasticante, sottilmente introspettiva, si confida al suo diario ("la carta è più paziente degli uomini'1). Se non esprimessi così pensieri e sentimenti, scrive, «sarei già morta soffocata", mentre, parlando all'immaginaria Kitty. «posso studiarmi come un'estranea". Come accade ai giovanissimi, lo scontento per l'immaturità si esprime in un desiderio di assoluto. L'incomprensione degli adulti, le durezze della madre, le ispirano il bisogno di autenticità nei sentimenti, la rivendicazione delle proprie autonome opinioni, una «infinita bramosia di tutto ciò che è bello e buono". Disserta così, con fervido candore, sui problemi immani della guerra, dell'arduo destino di Israele, della felicità, della bellezza, del dovere morale, della presenza di Dio. Anche se qualche volta si scoraggia, si sente stanca di vivere e giunge a Invocare una rapida morte, in realtà l'ottimismo non l'abbandona e, con esso, il desiderio di migliorarsi. Così legge e studia con impegno, perfeziona la stenografia, combatte con l'algebra sgradi-, ta, segue un corso di latino per corrispondenza, divora imponenti libri di storia. Sa di «saper scrivere", sogna di diventare giornalista, pensa di narrare l'odissea a lieto fine degli otto reclusi in un libro che intitolerà La casa sul retro. e giudica quell'esperienza «un'avventura pericolosa ma romantica e interessante". Sembra incapace di odio: «Se Dio mi concederà di vivere, annota. lavorerò nel mondo e per gli uomini... Per prima cosa occorrono coraggio e giocondità". Nelle sue ritrosie, nella ricerca di confidenza intima, nell'aspirazione a «un amore grande e devoto", trapela anche il suo farsi donna. Affiorano le prime civetterie e le prime schermaglie: con timida vanità cerca di acconciarsi i capelli, di sbianchirsi con acqua ossigenata la peluria sul labbro. La reclusione acuisce l'emozione della pubertà e i primi turbamenti d'amore, che tenerissimi la colgono per l'unica persona dell'altro sesso che le stia accanto: il goffo Pieter Van Daan. debole e senza carattere. Tutta di lei è l'iniziativa, e «terribile" il desiderio del primo bacio, che non arriva mai (arriverà solo dopo venti mesi. "fra la guancia e l'orecchio'1): ma subito sopravvengono scrupoli, tormenti, esami di coscienza, che in realtà preludono al distacco, dettato da un consapevole senso di superiorità. Dopo due anni di quella pena. Anna è colta come da un presagio: «Odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure": ma subito si riprende: «Debbo conservare intatti i miei ideali... Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione... Ritorneranno l'ordine, la pace e la serenità". A lei quella serenità fu negata. Il 4 agosto 1944 la polizia tedesca irruppe nel rifugio e deportò tutti gli occupanti. Nel campo di sterminio di Belsen bastarono sette mesi di degradazione e d'orrore a distruggere quella giovane vita con tutto il suo bagaglio di intelligenza, di moralità, di affetti e di speranze. Holocaust ha rievocato lo sterminio di sei milioni di ebrei, ma la stessa dimensione smisurata sembra risolversi in I anonima ecatombe. I milioni ; non hanno storia né volto. Grazie al suo diario ritrovato tra i rifiuti e le cartacce nel nascondiglio violato, conosciamo Anna Frank come una di noi. i come una persona cara. Basta | la sola sua morte a rendere ine- | spiabile la colpa dei massacratori, a farci misurare intero l'or-1 rore dell'umanità oltraggiata in ciascuna delle vittime, una per una. Forse solo così il destino di questa adolescente esce dall'intollerabile assurdo e assume il senso decifrabile di una testimonianza perenne. Luigi Firpo

Persone citate: Anna Frank, Pieter Van Daan, Van Daan

Luoghi citati: Amsterdam, Israele