Ho visto Leo David nella clinica dove si spera solo nel miracolo

Ho visto Leo David nella clinica dove si spera solo nel miracolo A Innsbruck nel reparto neurologico del prof. Gergtenbrand Ho visto Leo David nella clinica dove si spera solo nel miracolo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE INNSBRUCK — Un destino terribile ha voluto che Leo David venisse a combattere il grande sonno della mente proprio qui ad Innsbruck, do-' ve freschi sono i ricordi di un recente passato olimpico, ai' piedi di quelle nevi che lui avrebbe voluto sfidare e vincere nel suo breve sogno di atleta. Giace staccato dal mondo in una stanza a sei letti della clinica neurologica universitaria diretta dal prof. Franz Gersienbrand, dalle cui finestre si scorge il dolce pendio della montagna. E' una palazzina di quattro piani, color, terra bruciata, di foggia tipicamente austriaca. Ci sono pìccole torri, fiori ai davanzali, rose rampicanti sulla facciata di pietra. La stanza dì Leo è a,l secondo piano, contrassegnata dal numero 213. E' ampia, bianca, la grande porta-finestra è spalancata all'aria frizzante del mattino. Ci sono entrato alle 12,30 di ieri in compagnia di Davide David, 11 padre di Leo, dopo avere indossato il camice bianco ed essermi chiuso alle spalle, insieme alla porta, la semplice felicità del quotidiano. Leo David, martedì sera, è stato sottoposto a nuova tra-, cheotomia, ma le condizioni cliniche generali sono buone, non ha febbre, ha sopportato bene il viaggio di trasferimento dall'Ospedale Maggiore di Novara. Giace supino, immobile, parzialmente coperto da un lenzuolo sotto le mani di una giovane fisioterapista che massaggia piano le membra rigide e smagrite da cinque mesi di grande sonno. Ha il capo leggermente! piegato a sinistra, ogni tanto un battito di ciglia, un movimento ritmico delle labra. Il volto di bambino è pallido, minuto, gli occhi assenti sono spalancati, dolci e teneri nella loro cecità. Dal capo, avvolto in candida garza, una sonda di drenaggio del liquido cerebrale scende verso la vena iugulare, il collo esangue è solcato di ferite. Guardo le gambe magre, ormai prive di muscolo, le dita delle mani irrigidite, il piccolo torace che sì solleva al ritmo del respiro, tutto questo giovane corpo che lotta in silenzio contro la tremenda forza del sonno eterno. Papà Davide parla al figlio. Piano, con dolcezza, gli sussurra all'orecchio tenere frasi. Forse attende un segno, un altro battito di ciglia, una prova che le parole sono scese giù, sin nel profondo della coscienza chiusa alla vita: «Leonardo — mormora — Leonardo. Forza, svegliati. Sono papà, Leonardo». Ma Davide David, dopf cinque mesi, ha imparato a non nutrire la speranza con illusioni ingannevoli. Sa che ci vuole tempo, che i miglioramenti ormai devono seguire ritmi diversi da quelli che desidera il cuore: «E' terribile — dice — stare qui ad aspettare senza poter essere d'aiuto. Si prova una inesprimibile sensazione di impotenza, uno struggimento senza fine. Vor- rei che almeno tutto questo servisse allo sport Nella stanza piena dì luce la fisioterapista continua il suo lavoro. Sul polso destro di Leo, a guisa di braccialetto, una gentile infermiera americana ha legato con un filo di corda le tante medaglie che sconosciuti visitatori, ai tempi di Burlington, avevano voluto donare al giovane sciatore. Le mani della fisioterapista scorrono svelte e sapienti sul corpo di Leo, papà Davide accarezza la guancia del figlio e sorrìde, quasi a voler trasmettere forza e fiducia ai suoi oc- chi spenti. Alla mente, in que- ; sti momenti, tornano in chi scrive gli attimi felici dì una giovane vita: lo sguardo ri- j dente di Leo dopo la vittoria ' di Oslo, la fresca ingenua sicurezza con cui il ragazzo si preparava ad affrontare il mondo per vincerlo: «A volte \ — dice il padre — non so più quello che voglio, quello che è j meglio. Se è giusto che viva così, che muoia. Darei la mia ì vita per vederlo ridere ancora. \ Quando gli parlo, ho l'impressione di cozzare contro un | muro. Un giorno mi è sembrato che capisse, che cercasse di comunicare con me. Ma forse I era scio la speranza che pren- dem il sopravvento sulla ra- gione. Non voglio illudermi non devo». Appese al lettino stanno le cartelle cliniche di Leo, temperatura, condizioni generali del paziente. Adesso il prof. Gerstenbrand farà altre analisi, studlerà bene la situazione prima dì passare alle cure vere e proprie, consìstenti in una serie di stimoli ai centri nervosi. Cambìerà anche l'alimentazione di Leo, nel tenta- jtivo di migliorarne le condì- ;zioni fisiche. Poi sarà il tempo ;a decidere. Carlo Coscia

Persone citate: Carlo Coscia, Davide David, Franz Gersienbrand, Leo David

Luoghi citati: Innsbruck, Novara, Oslo