La preistoria a sei e il futuro a sedici? di Jacqueline Grapin

La preistoria a sei e il futuro a sedici? La preistoria a sei e il futuro a sedici? (Segue da pagina I) gore nel 1973. cui si aggiungono numerosi accordi parziali stipulati con Bruxelles vìa via che cambiava la regolamentazione europea, più i molteplici accordi bilaterali firmati da ciascun Paese in funzione delle sue necessità. Va da sé che un Paese come la Svizzera, che dispone di 83 accordi utili con la Comunità, fra cui uno di libero scambio, e che è riuscito a dominare l'inflazione e a conservare un certo equilibrio economico e politico, preferisca conservare un sistema di scambio nel quale di volta in volta può imporre il suo punto di vista e che gli permette di sottrarsi agli obblighi di una Comunità più vasta dove bisognerebbe essere più concilianti. E' lo slesso caso dell'Austria, che si adatta benissimo a una posizione necessariamente neutrale, sotto l'aspetto politico, nei confronti dell'Est. Eccettualo il Portogallo, nessuno dei Paesi attualmente membri dell'Efta pensa seriamente a chiedere l'adesione alla Cee. Che cosa ci guadagnerebbero? I norvegesi, con il referendum del 1972. hanno risolto definitivamente la questione. Anche se progredisce l'Idea europea, per impulso dei loro governi, essi si tengono per il momento a questa considerazione immediata, che é molto soddisfacente esportare nella Cee circa il 60 per cento del loro prodotti senza avere le incongruenze di appartenere a una comunità in cui coesistono i ricchi e i poveri con politiche comuni. Fra tutti i Paesi dell'Erta, il più tentato dalla Cee é indubbiamente la Svezia, i cui ambienti conservatori sono sempre stati favorevoli a un avvicinamento col Mercato comune, poiché assorbe quasi l tre quarti delle vendite svedesi all'estero. Ma la neutralità svedese, se non è di per sé un fine politico, resta una realtà obiettiva. Cosi ciascuno di questi Paesi ha tutte le sue buone ragioni per restare sulle proprie posizioni. La migliore di queste ragioni consiste nel fallo che l'Europa del sedici é già un fatto acquisito. In questi piccoli Stati dove s'importa la sopravvivenza, non si rimpiange certo di sfuggire al Mercato comune agricolo: ciò permette di acquistare meno caro altrove. E' In queste condizioni che i satelliti del Nord Europa osservano, un po' beffardi, la procedura d'adesione della Grecia, della Spagna, del Portogallo, o quella di preadesione da parte della Turchia. Negoziati paralleli a quelli della Cee si svolgono naturalmente fra i nuovi aderenti e i Paesi dell'Efta per armonizzare le posizioni degli uni e degli altri. La sola differenza é che le seconde discussioni procedono meglio delle prime. Cosi. all'Ef ta basteranno alcune settimane per concludere con la Grecia, un accordo quasi Identico a quello che la Grecia ha laboriosamente definito con Bruxelles. E' quest'idea d'armonizzazione dunque che. più d'ogni altra, respinge i Paesi dell'Efta di concezione anglosassone: Idea che — detto en passoni — spiega anche le sfuriate della Gran Bretagna a Bruxelles. Quali sono quindi gli schemi sui quali si può fare assegnamento? Occorre, per immaginarli, riflettere su quali saranno le forme d'articolazione sull'attuale Cee sia dei Paesi mediterranei sia di quelli associati nell'Efta. di cui l'Europa dei Nove non e soltanto il primo cliente, ma anche un importante fornitore che ha interesse ad avviare nei loro territori un quarto circa delle sue esportazioni. Come sempre, le probabilità si collocano verosimilmente fra uno schema ottimistico, quello di un'integrazione europea indolore a dodici nella quale verrebbe a innestarsi il commercio dei Paesi dell'Efta contentissimi: e uno schema pessimista, quello di una integrazione a dodici cosi difficile da provocare il rinascere di misure protezionistiche nei principali Paesi della Comunità, e da far crollare per tutti, compresi i prosperi satelliti del Mercato comune, il bell'edificio libero-scambista pazientemente costruito a furia di accordi dopo la seconda guerra. Questa eventualità, evidentemente, conduce a un indebolimento dell'Europa. Fra i due schemi, che cosa c'é? Nelle cancellerie dell'Europa unita già s'invoca l'avvento di una -Europa a due velocità- che. nel peggiore dei casi, potrebbe dar luogo a due Europe diverse, e nel migliore restare In simbiosi. E' verosimilmente su questa idea che si fonda il tentativo di messa a punto di un sistema monetario europeo nel quale si trovano -quelli che seguono- mentre gli altri ne restano fuori, poiché evidentemente il paradiso dell'industrializzazione avanzala e dell'alta competitività internazionale é riservato a coloro che vorranno e potranno fare lo sforzo di mantenersi nel plotone di testa, al livello degli Stati l'in!] e del Glap|K>ne. Ma questa Europa a due velocità non avrà piuttosto tutta una serie di velocità? Sarà differenziata in cerchi concentrici, come i gironi infernali della Divina Commedia dantesca con al centro la Germania e i satelliti del marco tedesco (fra cui la Francia), e intorno, il resto, in ordine decrescente di possibilità e di solidità economica? O si tratterà di un'Europa più o meno divisa orizzontalmente ne! mezzo, con al Nord la sua parte Industrializzala e al Sud la sua parte prevalentemente agricola, con la Francia che farebbe da cerniera strategica? Nell'orientamento che si profila, diventa sempre più evidente che sarà la situazione economica di ciascun Paese, molto più che la sua appartenenza legale alla comunità europea, a determinare ormai la rete di relazioni, in rapporto agli altri e dinanzi agli altri. Conservare il centro, questo é |>erciò il problema. I Paesi dell'Efta. indirettamente, ruotano attualmente intorno a Bruxelles. Il loro principale timore é di trovarsi satellizzati, emarginati, vicini a un'Europa nella quale parteciperebbero a certi progetti, ma senza avere voce in capitolo: il guaio di essere -membro del Club-. Più saranno numerosi i progetti ai quali parteciperanno, e più la loro integrazione sarà di fatto grande. Si ha un bel dinche cosi si riveleranno le forze e le debolezze di un'Europa industriale da una parte, e agricola dall'altra. Saranno abbastanza saggi da formare una grande Europa, visto che la piccola Europa é morta? Se non lo saranno bisognerà rassegnarsi, nella migliore delle ipotesi, a una zona di libero scambio aperta a lutti i venti, voluta un tempo da Washington: o. nella peggiore, a diventare nuovi Balcani che implorano neutralità dai due Grandi. Jacqueline Grapin