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{Figure e fatti {Figure e fatti di Giovanni A rpino Memoria per il divino Landolfi La quotidianità vomita bocconi di dolore, le cronache delle gazzette ripetono la liturgia delle vacanze, volutamente rosee a dispetto dei morti, dei veleni, degli assembramenti caotici. E" un •gioco atroce*, per usare' una definizione di Tommaso Laminili, il più grande, il meno conosciuto poeta italiano di questo secolo. E' scomparso una settimana fa. non sono mancate belle pagine di rimpianto e di elogio, ma quanto ha scritto resta chiuso negli scrigni del tempo, che lo sguardo degli uomini d'oggi non sa scrutare. Restio, aristocratico, sdegnoso, principe del buio. Laminili fu Landolfi solo tra gli amici. Amici di libro, perché molti (compreso il sottoscritto) mai lo incontrarono. Però la sua presenza di verbo, di dettato, di stile, di aneddoto, bastava, tra due di quegli amici, a far scaturire discorso; si parlava di e con Landolfi. citando, ricordando, ora un verso, un racconto, ora la sera in cui sali su una carrozza, a Firenze, e al vetturino che gli chiedeva la destinazione, rispose: .81 va a Montecarlo». Ebbi una breve corrispondenza con il «divino Tom». Talora solamente telegrafica, ad esempio per un paio di raccontini destinati ai ragazzi d'una collana editoriale appena nata. Lui abitava, allora, ad Arma di Taggia. per accostare anche fisicamente il casinò di Sanremo. Rispondeva, nei telegrammi o nelle lettere, con smozzicati e gentili monosillabi. Lavorare e cioè scrivere era per lui il destino, data la sua concezione della sacralità della letteratura. Afa palpava fisicamente nel frutto annerito di questo destino il senso del Nulla. Anche l'idea della morte costituiva illusione, scompenso e non compenso, tradimento e non approdo. Chi ha amato Landolfi. al di là d'una rara cerchia di lettori? La sua immagine è già una pietra tombale sui torrentelli escrementizi delle nostre lettere: lui. che detestava le fotografie, essendo bellissimo, lui che rifiutava le notere'le apologetiche sui risvolti di copertina, lui che non si presentava ai premi letterari, cosa direbbe, vedendo lo scempio della Parola, oggi, l'esposizione delle pudende autobiografiche, lo sconcio del mercato, dove si ostenta la tiratura come a un concorso di miss da spiaggia, tanti centimetri qui e tanti là? Quasi nessuno ha ricordato gli articoli di critica letteraria, cosi dotti e arrischiati e beffardi, che Landolfi scrisse tra il 53 e il 58 sul Mondo di Pannunzio: un fenomenale esempio di penetrazione intellettuale e di magistero stilistico, sia che quella penna trattasse un amore di Cechov sia che si impegnasse a frugare tra le miserie d'una Sagan di turno. «L'indifferenza e l'ultimo terrore», suona un verso landolfiano del '77. e naturalmente non si riferiva agli altri, alla distrazione mondana, badava — come sempre, con bisturi accanito — a frugare nei Discari del Landolfi autore e uomo, che sentiva venir meno »lo spavento delle notti», quindi una umana e ancora fruttifera angoscia. La lezione della moderne solitudine che Landolfi ha offerto dopo averla consumata sembra cenere persa. Per molti tacere di Landolfi è utile, è proficuo, un modo di evitare confronti, esami inevitabili bocciature. Per moltissimi, la prodigiosa conoscenza del vocabolario landolfiano è già un peccato. Proprio perché questo vocabolario è scoglio, sapienza, strumento filosofico, natura di scrittore che intorno ad un aggettivo si dilania. Abbiamo consumato settantanni di questo secolo riservando a Landolfi uno spazio minimo. E lui. cosi pronto alla beffa, non può certo riderne: perche l'opera e tutto, e sempre ti racchiude, e solo attraverso di lei puoi esistere e resistere. A chi parla di falsi impegni, di •scrivere verso 11 basso comprensivo», di adattare la nobiltà letteraria ad esigenze immediate, a coloro die confondono il sacrificio necessario a una pagina con la velleità di volerla scrivere, noi risponderemo sempre: Landolfi. Proprio perette il suo sdegno di essere al mondo lo portò alla più nera satira di questo mondo e alla più solitaria sfida col pròprio cuore: «Nessuno pianse più amaramente / 11 suo futuro nulla». Vorrei poter credere in un Altrove in grado di ospitare, per un attimo. Leopardi e Landolfi. gli unici davvero degni di abitarlo. La loro felicità consisterebbe nel non aver testimoni e nell'essere testimoni del tutto, anche del »Slgnore. Inventato dai poeti .' per comodo d'invocazione». Afa qui ogni parola si perde, si perda: lo esige la viltà del momento.

Luoghi citati: Firenze, Montecarlo, Sanremo, Taggia