La piccola borghesia di Marino Moretti
La piccola borghesia di Marino Moretti COME UN NARRATORE PUÒ' AIUTARE L'INDAGINE DEGLI STORICI La piccola borghesia di Marino Moretti Troppo poco si è scritto, alla morte di Marino Moretti, su ciò che rappresenta la mole dei suol scritti, sulla testimonianza di un'epoca che costituiscono. Non sono un critico letterario, e non usurpo un mestiere non mio (se pure farei riserve quando su un giornale romano Oluseppe Longo parla di Moretti come dell'ultimo grande narratore Italiano); ma uno storico, sia pure di terz'ordine. credo di esserlo. E l'indirizzo predominante tra gli storici, da parecchi decenni — in Italia particolarmente sentito l'influsso di Febvrc e di Bloch — è quello di non interessarsi più tanto del massimi personaggi, di guerre e conquiste, quanto di come vivevano e come sentivano le popolazioni. Per 11 .come vivevano», documenti non mancano: registri parrocchiali sulla durata della vita, contratti, particolarmente agrari, prezzi, valore mutevole della moneta, dimensioni delle proprietà Immobiliari, tassi d'Interesse, prestazioni feudali, una certa luce la danno. Molto più difficile è il comprendere come sentivano, e 11 si compiono i più grossi errori, attribuendo aspirazioni, bisogni spirituali, rancori, senso concreto di giustizia espllcantest non In una vaga parola ma in una certa visione sociale, a generazioni che mai pensarono a nulla di ciò: si finisce col voler proiettare il pensiero, le aspirazioni contemporanee, a generazioni remote. Cogliere 11 .come sentissero» queste generazioni, è ben più arduo, le fonti mancano: le poche rivolte che serpeggiano qua e la non ci dicono affatto se fossero opera di piccole minoranze esasperato, o rappresentassero soltanto la cresta sull'onda di un generale sentire di classi odi popoli sofferenti: qui l'opera dello scrittore, non solo del memorialista, ma del narratore, del romanziere, può aprirci un varco: naturalmente da vagliare criticamente, ponendo quell'opera a confronto con altri dati — ad esemplo la criminalità e le giustificazioni addotte dai rei, in certi secoli, e le eresie ispirate da sdegno per la vita e le ricchezze del clero od in genere dei potenti —j ma varco di cui non si può fare a meno. Manzoni, che di senso storico era largamente provvisto, se pure talora la tesi da difendere gì'Impedisse di farne buon uso (penso ad alcuni passi del Discorso su alcuni punti della storia longobarda in Italia) non ci rappresento popolani nè piccoli borghesi lombardi animati Intorno al 1630 da odio contro la Spagna nè che pensassero a governi rappresentativi o abolizione della nobiltà. Ma per restare ai tempi più vicini, non credo si possa scrivere da storici sul primo decennio della terza repubblica francese senza aver presenti scrittori che oggi 1 giovani più non leggono, Enrico Bordeaux, Renato Boylesve. Alfonso Daudet, lo stesso, spesso irriso, Giorgio Ohnet. E, per limitarsi all'Italia, si può proprio serenamente scrivere dell'Italia o meglio del sentire della borghesia italiana, al Nord e al Sud. senza ricorrere al pur dimenticato Vittorio Bersezio. agli scritti giovanili di De Amicis, a Federico De Roberto, se pur quest'ultimo dovesse nutrirsi piuttosto di cose apprese dalla generazione precedente, e non di sensazioni vissute? Mi sono capitate tra le titani in quo:.ti giorni Le vergini delle rocce di D'Annunzio che da anni non rileggevo: un giovane d'oggi farebbe sberleffi ad ogni pagina: Canneto Bene e Dario Fo riterrebbero troppo agevole, impresa da lasciare a più modesti riduttori, tramutarle in farsa. E credo molesto a tutti quel nietzianesimo deteriore. Eppure rileggendo quelle pagine pensavo (oltre al destino di D'Annunzio ch'ebbe la fortuna di realizzare sia pure per un giorno, il volo su od Vienna, la grande impresa che con estrema vaghezza evocava il suo Cantelmo) non tanto a Crispi, quanto a ciò eh? avevo sentito bambino, da mio padre e dai suoi amici, della fanfara di risveglio che attraverso i discorsi e certi concitati atti di Crispi essi credevano di avere udito, in una Italia mortificata ancora da Custoza, dalla più recente vicenda dì Tunisi. Torniamo a Moretti, che non ebbe la popolarità del suo quasi coetaneo Ouldo Oozzano (l'ultimo poeta ch'ebbe una vasta eco popolare con le signorine Felicita e le norme Speranza, riconobbe Croce, pure lungi dal I sopravvalutare 11 poeta), ma che gli fu pari nel descrivere le sensazioni, la modestia intellettuale, il grigiore della società del suo tempo. 11 primo decennio di secolo. Am¬ bienti diversi. Oozzano si muove tra 1 «signori» del Piemonte del suo tempo, 1 piccoli ricchi, che non hanno bisogno di lavorare, i giovani che fantastlcano ed amano con I sensi e non col cuore (e ricorderei volentieri pur Carola Prosperi, che appartenne alla famiglia de La Stampa). Moretti che guardò a un più largo spazio di tempo, attingendo a cose che doveva aver sentito dalla voce del suoi essendo bambino, il mondo In cui si muovevano Cavallotti e Olindo Ouerrini. dipinse con i colori più schietti e con vivo senso poetico una Romagna pacifica del primi quattordici anni del Novecento. Il lento ascendere della piccolissima borghesia in cui nasceva — il padre ragioniere di una cittadina la madre maestra —, l'umanità d i questa classe nel rapporti- con 1 più umili. E ancora, nella sua generazione, gli amori spesso casti, ma sempre con un alone di poesia, mal con l'incubo del sesso: e, non pra- ticante o se mai agnostico in I religione, deliziosi quadri di buoni preti, di giovani sacer doti di cui le mamme vanno orgogliose. Ripeto: non intendo giudicare lo scrittore, se pure quando avevo poco più di vent'anni le sue Poesie scrit te col lapis furono da me lette e rilette, sempre sentendomele congeniali: ma mi limito a dire che se ci saranno storici dell'inizio di questo secolo che vogliano scrutare in quella che fu nelle varie regioni la piccola borghesia Italiana, bisognerà non dimentichino l'opera di Moretti. A.C. Jemolo
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