La tregua nucleare necessaria ai russi di Arrigo Levi

La tregua nucleare necessaria ai russi La tregua nucleare necessaria ai russi DAL NOSTRO INVIATO VIENNA — Ieri, nella seconda giornata del vertice, gli americani hanno ottenuto il primo risultato concreto che si proponevano di raggiungere a Vienna: un incontro diretto, il primo dalla fine della seconda guerra mondiale, tra i due ministri della Difesa e i due capi di Stato Maggiore, Brown e Ustinov, Jones e Ogarkov: l'argomento è stato il futuro negoziato Salt-3. «E* stato fondato un club», secondo il commento di un analista vicino a Brzezinski. La tesi di Carter che il nuovo trattato Salt-2 debba formare «la cornice fondamentale entro la quale ridurre le tensioni e i conflitti nel mondo» e la tesi di Brzezinski che questa conferemo debba costruire nuovi canali di comunicazione tra le due superpotenze, più importanti di qualsiasi solenne dichiarazione di principi, sembrano dunque aver trovato da parte russa un primo sostanziale accoglimento. Nelle ultime ventiquattr'ore del vertice si sta però ancora decidendo la precisa misura degli impegni che le due parti assumeranno per mettere in moto meccanismi di cooperazione che frenino e neutralizzino gli inevitabili scontri e confronti tra le due superpotenze. I russi hanno risposto al tono businesslike degli americani con un tono delovòi, che vuol dire sempre 'da uomini d'affari: Nel brindisi all'ambasciata americana Breznev ha ammesso con franchezza che c'era stato un peggioramento nei rapporti tra le due potenze dall'epoca dell'accordo Salt-1 e della Carta di Mosca; ma non ne ha dato la colpa all'America o a Carter, si è limitato a dire che era «peccato» che le cose stessero così, e ad affermare che, «dopo aver percorso un cosi lungo e difficile cammino» per arrivare a Vienna era indispensabile andare avanti sulla strada della cooperazione. Se Carter è spinto lungo questa strada dalla necessità di rafforzare la sua immagine e il suo prestigio di statista, e di offrire al Congresso americano assicurazioni che rendano possibile la ratifica del trattato Salt-2 (da essa dipende la sua rielezione), Breznev è a sua volta motivato dalla sostanziale inferiorità economica e tecnologica dell'Unione Sovietica. Il Salt-2 — mi dice uno degli autori americani del trattato — codifica un fatto che per molti americani è traumatico, ossia la nuova vulnerabilità degli Stati Uniti, per la prima volta nella loro storia, e la parità con l'Urss. Ma i sovietici non possono farsi troppe illusioni su questa proclamata »parità». Essi ■sanno bene che corrono sempre il rischio che, in una gara senza regole e senza confini, torni a verificarsi un -balzo in avanti» americano ineguagliabile da parte russa. I sovietici sono costantemente in pericolo di essere 'bruciati dagli americani», come lo furono quando proposero, incauti, la corsa alla Luna. Per i sovietici gli accordi di limitazione degli armamenti rappresentano il modo per realizzare gli obiettivi strategici stabiliti ad un co¬ sto sopportabile, grazie ai vincoli che questi accordi pongono allo sforzo di riarmo americano. I sovietici hanno sicuramente già sospeso o congelato, in attesa della ratifica da parte del Congresso, tutta una serie di costosissimi progetti militari-industriali che dovrebbero rilanciare, ad un costo eco-, nomico e politico forse intollerabile, se il Salt-2 cadesse al Congresso americano. E' grazie alla debolezza politica di Carter e alla debolezza economica e scientifica dell'Unione Sovietica, che può scaturire da questo vertice un programma di cooperazione politica oltreché strategica. Questo programma urta però contro le obiettive profonde differenze di interessi e contro i contrasti ideologici. Di questi contrasti hanno parlato nei loro colloqui sia Carter sia Breznev. Il tono è stato molto pacato. Ma questo non dice se, particolarmente da parte sovietica, si sia disposti ad impegnarsi ad una maggiore moderazione in quelle che gli americani chiamano le «zone di turbolenza» nel mondo. Un tale impegno è forse politicamente difficile, ma necessario se i russi non vogliono compromettere gli accordi strategici che garantiscono, ad un costo elevato ma sostenibile, la loro posi¬ zione di superpotenza. Cito la battuta di un membro della delegazione americana: «Noi americani siamo gli ultimi amici al mondo che restino ai russi. Non possono inimicarsi anche noi». Nel rapporto russo-americano la cooperazione strategica rimane un veicolo fondamentale. Vi è già un organismo (la «Salt standing consultative commission»; che può servire da base per quei contatti intensificati che gli americani chiedono, e che potrebbero emergere dall'incontro di ieri tra i ministri della Difesa e i capi di Stato Maggiore. Gli americani ricordano il precedente dell'incontro di Glassboro tra Johnson e Kossighin (giugno 1967), quando Johnson rivelò a Kossighin pubblicamente — facendo parlare anche McNamara, allora ministro della Difesa — quali fossero le armi terribili che gli americani avevano in cantiere. Quell'incontro fu il punto di partenza di un processo politico che condusse agli accordi Salt-1 del 1972. Qui a Vienna è toccato a Brown e Jones di dare un analogo avvertimento a Ogarkov e Ustinov. La prospettiva di pericoli immensi può ancora indurre le superpotenze ad atti di cooperazione. Arrigo Levi

Luoghi citati: America, Brzezinski, Mosca, Stati Uniti, Unione Sovietica, Urss, Vienna