Una lunga notte illuminata di ricordi

Una lunga notte illuminata di ricordi "QUADERNO A CANCELLI", IL LIBRO SCRITTO DA CARLO LEVI DURANTE LA CECITÀ' Una lunga notte illuminata di ricordi Non potendo guardare fuori, guardava dentro di sé, e viaggiava nella notte tra le luci della memoria. 'Quaderno a cancelli-, il libro che appare ora da Einaudi (pagine 233, lire 7000), Carlo Levi 10 ha scritto nel 1973 in un letto della clinica San Domenico di Roma. Aveva 71 anni. Era stato ricoverato all'improvviso e operato per 11 distacco della retina all'occhio destro. Sereno e forte — •olimpico», come qualcuno 10 ha definito — aveva conosciuto per la prima volta la malattia, simile a una crepa che attraversa le cose, una spaccatura nell'universo. La vicenda era cominciata con un'immagine poetica «uno neve supposta e allegramente scioccamente sperata-. In un gennaio romano quasi tiepido allo scrittore pare, all'improvviso, che nevichi: è il male che lo ha colpito alla vista, annebbiando 11 paesaggio, sgretolandone i contorni. Seguono visite, controlli, poi l'operazione, la lunga immobilità, il buio della cecità. E, alla fine, il riaffiorare alla luce: come chi, in fondo a una galleria, comincia a intravedere il cielo. Nella piccola stanza dell'ospedale, supino, gli occhi bendati, Carlo Levi tenta di uscire dalla sua prigione con la fantasia. E1 immobilizzato, ha la testa bloccata da un cuscino a forma di mezzaluna. Chiede un foglio di carta, una penna e disegna. Prima in bianco e nero, poi anche a colori. 'Passami il rosa, il verde, l'ocra- dice all'amico e allievo Gian Paolo Berto e in quella notte forzata fioriscono le tinte della memoria. * * Per scrivere ricorre a un espediente. Si fa costruire un telaio di legno con delle cordicelle tese fra le due sponde: serviranno a guidare la sua mano mentre con la matita traccia le parole. Di qui 11 titolo 'Quaderno a cancelli- che è anche un richiamo (dicono i curatori dell'opera Alberto Marcovecchio e Linuccia Saba) a 'Quaderno di prigione-, scritto nel 1935 a Regina Coeli. Due oscurità diverse, momenti drammatici di una vita. Queste pagine di Levi che escono postume, decifrate spesso a fatica, sono un diario intimo, un discorso rivolto a se stesso. Una cascata di immagini e ricordi, di sogni e pezzi del passato. La parola dilaga, come un'onda lasciata Ubera, e precipita di foglio in foglio cercando assonanze e analogie. Ogni tanto vi si affacciano le voci della clinica: gli amici, una suora che parlando in piemontese gli riporta alla memoria l'infanzia, i rumori che scandiscono giornate tutte uguali. 11 mondo della cecità è una specie di faccia nascosta dell'universo. Levi, uomo solare, qui percorre con angoscia e ironia una notte melmosa, senza spazio e senza tempo. La malattia ha rotto l'idea dell'invulnerabilità e suggerisce l'immagine di un guerriero ferito che fissa un avvoltoio mentre compie le sue «curve celesti». Un guerriero (birmano? circasso?) abbandonato sullo spalto di chissà quale castello, che non sa più che cosa dovesse difendere e conquistare. E poi perché guerriero? La realtà è rovesciata, come se le fosse caduta la retina: può essere anche del tutto vuota, una spiaggia deserta dove l'unica impronta è quella della Futilità. Lui si sente solo perché «se non vedi non sei visto-. Crolla quel senso dell'immortalità, già scosso in passato dalla scomparsa della madre. «Mio madre è morta più non importa - essere immortale-. Il tono sembra sollevarsi durante il decorso della malattia. Al paziente mettono l'«occhialino», una specie di lente con un foro che gli consente di vedere solo in una direzione. Levi scherza amaramente su quello spiraglio di luce dove appaiono dettagli, particolari di un affresco sfuggente. -E' una realtà vista dagli uccelli, che non girano l'occhio, ma la testa e sopperiscono a questa visione parziale con l'estrema velocità dello spostamento...-. E aggiunge: 'Forse cosi vedono i serpenti, senza quei correttivi: strumenti mitologici della divisione e della dissociazione, della rottura dell'unità, servi e simboli della divisione di classe e della proprietà privata, è naturale che per essi il Reale non possa essere che diviso, dissociato, spezzato, disgregato, isolato-. * * C'è anche un rapido autoritratto: 'La suora Ar. mi porta a vedermi in un grande specchio al pianterreno, durante l'esercizio della passeggiata. Con l'occhialino nero da laser, la tuta nera, le scarpe gialle e nere, la grande testa, la barba, non mi riconosco... Sembro certo un po' Hemingway, che quando non aveva la barba era un tricheco, con la barba un cacciatore di trichechi, poi suicida...-. Nella degenza affiora un'altalena di umori. -Ma. orasi torna all'occhialino... e alla immobilità, e poi al, buio, al nulla, alla anestesia, al coltello invisibile, al freddo non sentito, al cerchio cerchiato, al tempo fermo e nero...-. Gli devono fare una seconda operazione, lui odia il ripetersi delle cose, si tormenta, il dubbio si fa strada. « Una minima ruga - mette in fuga - la vita-. Negli ultimi tempi vede bene da un occhio, ma con l'altro, il destro, ha un'immagine distorta. Un difetto, spiegano i medici, dovuto a difficoltà di cicatrizzazione. Quando esce dall'ospedale non sembra più lo stesso. Ha lasciato dietro di sé la lunga ombra, la sua vitalità ha riempito di significati anche i giorni della malattia, lo riscalda l'affetto di persone care. Eppure il mondo per lui è cambiato. Morirà l'anno dopo, prima di poter rileggere e correggere quegli scritti. Gli era rimasta dentro come un'incrinatura. L'uomo generoso e combattivo di 'Cristo si è fermato a Eboli- aveva scoperto, nel labirinto della cecità, le invisibili crepe dell'esistenza: là dove si affaccia il buio senza fine. Erne9to Gagliano

Persone citate: Alberto Marcovecchio, Carlo Levi, Einaudi, Gagliano, Gian Paolo Berto, Hemingway, Linuccia Saba

Luoghi citati: Eboli, Roma