Ghali: «L'Egitto non è isolato»

Ghali: «L'Egitto non è isolato» INTERVISTA AL CAIRO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI SADAT Ghali: «L'Egitto non è isolato» «La nostra leadership tra gli arabi continua a dispetto degli uomini del rifiuto» - Gli egiziani vogliono la «piena partecipazione» degli Stati Uniti ai negoziati «per l'autonomia di Gaza e della Cisgiordania» - «Intendiamo avere buone relazioni con l'Urss: è una superpotenza, la sua approvazione è necessaria per ottenere la pace globale» - Il ruolo dell'Europa DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE IL CAIRO — L'accesa polemica tra Washington e Gerusalemme sul ruolo che gli Stati Uniti dovrebbero svolgere nella trattativa fra Egitto e Israele per l'autonomia ai palestinesi rende più difficile, se possibile, questo fondamentale negoziato. E, poi, tanti altri interrogativi ingombrano il futuro politicostrategico del Medio Oriente. Proviamo a sciogliere i «nodi» con il ministro di Stato per gli affari esteri egiziano: il prof. Butros-Ghali internazionalista di chiara fama, esponente illustre d'una antica famiglia copta. Sul ruolo degli americani checché ne dicano a Gerusalemme, Bùtros-Ghali si richiama agli accordi di fine marzo: «A Washington abbiamo firmato due trattati: uno per la pace tra Egitto e Israele, l'altro sui negoziati per la piena autonomia di, Gaza e della Cisgiordania. In1 forza del secondo trattato,: gli Stati Uniti si impegnano a svolgere il ruolo di full partners nelle differenti tappe del negoziato. Piena partecipazione, dunque, adesso e domani allorché si dovrà rendere esecutivo l'accordo raggiunto». Qualcuno, nel mondo arabo, sostiene che l'Europa è «la grande assente». Il prof. Butros-Ghali non è d'accordo. «E' con grande soddisfazione, dice, che ho letto, proprio a Roma, la dichiarazione dei Nove. Il mio governo la giudica "estremamente positiva", in particolare là dove riconosce il diritto dei palestinesi "ad avere una patria". Io penso che aver ribadito questo punto è di un'importanza capitale; non meno importanti la condanna di certe dichiarazioni israeliane, incompatibili con lo spirito del trattato di pace e con gli accordi di Camp David; la ferma condanna della politica degli insediamenti nei territori occupati. «Superfluo aggiungere come, nel contesto europeo, l'Italia, non fosse altro pei ragioni geopolitiche, sia chiamata a svolgere un'azione tutta particolare. I miei incontri a Roma col presidente Andreotti e col ministro degli Esteri Forlani hanno rafforzato questa nostra convinzione». I rapporti tra II Cairo e Mosca non sono proprio idilliaci. Chiedo al ministro che politica intenda perseguire l'Egitto nei riguardi dell'Unione Sovietica. 'La nostra politica è basata sul non allineamento, risponde, sicché intendiamo avere buone relazioni anche con l'Urss. Per quanto concerne il ruolo di Mosca in Medio Oriente, noi siamo pronti a contemplare l'idea di una conferenza internazionale appunto perché l'Urss possa far sentire la sua voce. Poiché puntiamo a una soluzione globale della crisi, siamo favorevoli a una conferenza sul tipo di quella di Ginevra, ovviamente ancorata a un ordine del giorno preciso. Indipendentemente da questa idea, in conformità agli accordi di Camp David, l'insieme dei trattati che finalizzeranno la pace dovrà essere ratificato dal Consiglio di Sicurezza, di cui l'Urss fa parte. Un modo per ottenere, all'ultimo stadio del negoziato, l'approvazione dell'Urss». Sarà un po'difficile... «Senta, sta di fatto che lpsribagdtsaspPanapdnatgamnzgrmQcbsi l'Urss è una superpotenza, al pari degli Stati Uniti, e che la sua approvazione è necessaria se vogliamo una pace globale. Da parte nostra non v'è alcuna preclusione nei riguardi di Mosca». Parliamo un po' del cosiddetto 'isolamento» dell'Egitto. Non pensa lei che le decisioni del vertice di Bagdad abbiano in certo senso offuscato l'immagine dell'Egitto, pregiudicato il suo ruolo di Paese leader del mondo arabo? «Non penso che le decisioni illegali adottate a Bagdad abbiano scalfito l'immagine politica dell'Egitto nel seno della Comunità internazionale, in generale, e in seno alla Comunità araba in particolare. Non penso che l'Egitto sia isolato perché su tre arabi uno è egiziano: su 120 milioni di arabi, quaranta sono egiziani. L'Egitto è un terzo del mondo arabo e se aggiungiamo il Sudan ecco che rappresentiamo, insieme, la metà del mondo arabo. Quindi non si può assumere che una metà del mondo arabo isoli l'altra metà. Se mai son le due parti che si sono isolate... «Ma io voglio aggiungere che la "militanza" dell'Egitto continua: noi abbiamo un milione di tecnici nel mondo arabo. E l'Egitto ospita almeno centomila arabi tra studenti, giovani ufficiali, accademisti etc. Dunque la leadership dell'Egitto continua a esercitarsi a dispetto dei clamori dei refusards, come io chiamo gli uomini del rifiuto». Ma codesto isolamento è da considerare un fatto transitorio ono? «Per essere onesti è difficile rispondere alla sua domanda. La sola cosa che posso dire è che permanenti sono i conflitti interarabi. Noi abbiamo avuto pressoché trenta conflitti interarabi nell'ultimo trentennio. E penso che ne avremo degli altri. L'importante è che questi conflitti non si internazionalizzino, che rimangano locali. E finché rimarranno tali sarà possibile regolarli piuttosto rapidamente e pacificamente». Ma sul piano pratico il boicottaggio deciso a Bagdad ha nuociuto o potrà nuocere agli sforzi dell'Egitto per evolversi sul piano sociale e tecnologico? «Ancor più difficile rispondere a quest'altra domanda. Siamo infatti solo al principio dell'operazione voluta da certi Paesi arabi. Posso dire, tuttavia, che grazie agli aiuti degli Stati Uniti, dell'Europa e di altre potenze amiche, intendo la Cina, noi potremo superare facilmente quei problemi che potrebbero insorgere a causa della politica negativa dei refusards». Se i negoziati sull'autonomia ai palestinesi dovessero fallire, che accadrà? Il processo di pace continuerà o no? •Se i negoziati sull'autonomia non daranno risultati, nel quadro del calendario previsto —12 mesi —, cercheremo altre procedure. Fra l'altro pensiamo a una conferenza internazionale. Faremo di tutto per mantenere il momentum dei negoziati. In ogni caso le dirò che siamo sicuri di poter superare le varie difficoltà». Lei è dunque ottimista quando pochi o nessuno, lo sono... «SI, sono ottimista. E ho un punto a mio favore: sono stato ottimista durante gli ultimi 18 mesi e il mio ottimismo è stato confermato dai fatti. Nel momento più difficile della trattativa, quando un po' tutti dicevano è il fallimento lo son rimasto ostinatamente ottimista. Continuo ad esserlo». Qual è, secondo lei la ca¬ ratteristica precipua dell'Egitto di Sadat in questo, per molti versi drammatico, momento della sua storia? «Innanzitutto la perennità. C'è una continuità nella politica egiziana, non è mal cambiata. Nel 1948, prima della Rivoluzione, l'Egitto ha chiesto la creazione di uno Stato palestinese In Cisgiordania e Gaza, laddove gli hascemiti — la Giordania e l'Iraq —, volevano VAnschluss. In quanto a Sadat, il presidente ha fatto una straordinaria rivoluzione culturale, stravolgendo i rapporti con Israele. Ribaltandoli. Sadat ha trasformato un confronto militare in un confronto diplomatico, di civiltà. Un confronto dialettico che è, appunto, una vera e propria rivoluzione culturale. Ed è proprio la difficoltà, per certi Paesi arabi, di comprendere questa rivoluzione che li porta a schierarsi su posizioni di rifiuto. Codesta incapacità a comprendere determina due reazioni. La prima è la paura, la seconda è la diffidenza. Insomma, l'Egitto è la mamma, certi Paesi arabi 1 figlioli; e i figlioli non capiscono quel che è accaduto. La storia gli passa sopra la testa e hanno ! paura.. Igor Man Butros-Ghali ed il collega Israeliano Moshe Dayan, durante l'incontro avvenuto a El Arish, nel maggio scorso (Telefoto)