Le ultime scintille dell'indio Neruda di Francesco Rosso

Le ultime scintille dell'indio Neruda INCONTRI E PROSE DI VIAGGIO Le ultime scintille dell'indio Neruda La prosa di Pablo Neruda ha la travolgente forza di una valanga, le parole si accavallano in furente abbondanza, talvolta quasi in disordine, altre come levigati ciottoli d'un torrente appena smossi da sussurri d'acqua. Gonfio, irruento. quasi mai pacato e sereno, poteva essere considerato l'espressione più chiara del Cile che l'aveva generato, ma ancor più di quella razza india, gli Araucani, contro cui si dissanguarono le schiere di Pietro di .'uldivia. il conquistador inviato da Pizarro a cercar l'oro ai lembi estremi della Terra. Pablo Neruda era rimasto Araucano, un meticcio che non rinnegava le antiche origini indie e nemmeno la formazione culturale castigliana. un uragano di parole, uno degli ultimi discepoli di Gongora con Garda Lorca. Rafael Alberti, Pablo Picasso, ch'egli continuamente richiama in queste ultime prose [Per nascere sono nato. Ed. Sugarcó) come testimonianza della sua esistenza titanica. Sono le ultime briciole di un lungo festino, faville, non scorie, che Matilde Neruda. la vedova, ultimo grande amore del poeta, ha raccolto dalla straripante messe che egli ha lasciato. Sono prose variamente datate, dal 1922 al 1971. nelle quali confluisce la testimonianza diretta sulla cultura europea e americana di oltre mezzo secolo. Pablo Neruda. al secolo Nettali Ricardo Reyes Basoalto. fu testimone irrequieto di molti avvenimenti e frequentatore assiduo degli artisti che hanno dato un'impronta incancellabile a questo nostro secolo. I suoi giudizi sono quasi sempre rivolti a scrittori, pittori, scultori di sinistra, cioè militanti nel partito comunista, che era il suo partito, ma egli non si accosta a mezze figure, i personaggi che evoca, specie negli anni che precedettero la morte, sono tutti di rilievo mondiale. Paul Eluard. Majakovskij. Picasso. Carlo Levi («Era un gufo, vedeva e dipingeva nel buio»), Alberto Sanchez panettiere-scultore. Rafael Alberti, e grande fra tutti Federico Garda Lorca. al quale dedica più di una pagina. II ricco, sensuale barocchismo di Neruda già si rivela nelle prose giovanili, specie nelle note di viaggio scritte per La Nacion di Santiago del Cile nel 1927. in cui sviluppa il suo pensiero sull'umanità descrivendo le terre del Lontano Oriente ch'egli ha visitato, note di viaggio di un letterato che guarda la vita di popoli miserandi, ne descrive le usanze, la loro umanità tutta istintiva (quali le pagine su Porto Said. sul sonno degli uomini di bordo, che non osa definire composita ciurma, sulla sontuosità dei templi indiani e di Ceylori) ma ancora si rifiuta di sentirli fratelli, come farà poi durante la sua maturazione politica che lo porterà a guardare verso Mosca soltanto, rifiutando la Pechino esaltata in anni precedenti. Ma da queste prose sparse nasce il Pablo Neruda più vero e scoperto, che non può distinguere fra poesia e militanza politica. Nel discorso pronunciato allo Stadio Nazionale di Santiago tornando dall'aver ricevuto il Premio Nobel per la poesia nel novembre 1971. ci sono parole quasi presaghe di quanto accadrà, e ancor meglio si avverte l'angoscia dell'anima sensitiva del poeta nella lettera che, un anno dopo, egli inviò al generale Carlos Prats, quando si dimise da ministro della Difesa il 31 agosto 1973. Pinochet già bussava alle porte con la violenza del dittatore; tredici giorni soltanto, e l'irreparabile sarebbe accaduto. Pablo Neruda era già morente, ma dal suo romitorio di Isla Negra sulle sponde tumultuose del Pacifico, seguiva l'inevitabile avanzare della catastrofe, e due giorni dopo l'occupazione di Santiago da parte dei miliziani di Pinochet. egli scrisse un'ode grondante rabbia e lacrime sulla perduta libertà della sua patria, ode che per vie misteriose giunse in Argentina, dove i giornali, ancor liberi, la pubblicarono integralmente. Neruda era già affetto dal male tremendo quando ricevette il premio Nobel, aveva lasciato il ruolo di ambasciatore cileno a Parigi, si era ritirato nel suo etemo di Isla Negra, ch'egli aveva trasformato in museo etnologico, raccogliendo gli attrezzi antichi e moderni che i cileni usavano per la fatica quotidiana del lavoro. Non si illudeva, sapeva di essere condannato ancor prima che lo portassero alla clinica Santa Maria di Santiago per un tardivo, ulteriore, ormai inutile intervento chirurgico. La morte di un poeta può anche imporre una sosta al terrorismo. Ero a Santiago in quei giorni in cui la morte mieteva ampia messe e constatai come i giornali fossero incerti sul come comportarsi. Annunciarono la morte del grande poeta quasi distrattamente. Soltanto il giorno successivo, giunti gli ordini dall'alto, incominciarono a scrivere sul «genio nazionale» con l'abbondanza propria della lingua spagnola malamente usata. Il giorno prima che morisse, la sua strana, deliziosa Casina di Santiago, sul Cerro San Cristobal. era stata devastata, fracassata, e quanto era esportabile era stato rubato, quadri e soprammobili, argenteria e statue, persino biancheria. Come molti, sono andato anch'io a vedere per l'ultima volta il poeta disteso nella bara in quella che era stata la sua residenza nella capitale. Composta e senza lacrime, gli stava accanto la moglie Matilde Urrutia. figura dolcissima avvolta in un silenzio che nessuno osava turbare. Intorno, la desolazione lasciata dai vandali. I giornali non dissero quando si sarebbero svolti i funerali, la popolarità di Neruda era tanta nel Cile intero che si temeva una marcia dei rotos. i derelitti che il poeta aveva più amato, dalle lontane barriadas al Cimitero Generale. Ma in quei giorni il terrore travolgeva Santiago e il Cile, alla casa di via Marquez del Piata non c'era molta gente, e anche al Cimitero Generale la schiera dei fedeli era alquanto sparuta. Era una grigia mattina della primavera antartica, con qualche goccia di pioggia nel cielo greve. Portata a spalle da alcuni amici, la bara fu deposta nell'ingresso del famedio del poeta Rosas, dove Neruda sarebbe stato temporaneamente sepolto. Improvviso, spontaneo e sommesso, echeggiò il canto dell'Internazionale, intonato dai pochi presenti. Rileggendo queste sue prose appena edite in Italia, mi ritorna alla memoria quel tristissimo giorno sul quale pareva piangesse anche il cielo. Neruda aveva subito lunghi esili durante la dittatura di Videla e di altri governanti conservatori, e in quelle lontananze gli ritornava sempre il Cile. «Nell'esilio — ha scritto —. l'aspra patria prende un colore di luna, la distanza e i giorni limano e addolciscono il suo lungo corpo, le sue pianure, i suoi monti e le sue isole». Non si poteva dire con meno parole la «folle geografia» del Cile, ch'egli lasciava per sempre, un esilio perenne del suo corpo, non dalla memoria di chi è rimasto. Quand'era ancora ad Isla Negra aveva steso il suo testamento ideale. «Bruciate il mio corpo e disperdete le mie ceneri fra le onde dell'Oceano Pacifico», aveva imposto. Non ho più seguito la storia del Cile, perciò non posso dire se le sue volontà siano state rispettate: ma ovunque egli sia. nella tomba di Santiago, o nella propria di Isla Negra, o tra i flutti del Grande Oceano tempestoso che egli amava, per i cileni Pablo Neruda continuerà ad essere un nume tutelare. Francesco Rosso