Le Langhe ritrovano i loro canti e riti di Roberto Leydi

Le Langhe ritrovano i loro canti e riti TRA LE BANDIERE, I GRANDI SUCCESSI, I MOLTI ERRORI DEL FOLK ITALIANO Le Langhe ritrovano i loro canti e riti Alcuni giorni fa, su La Stampa, si parlava del cosiddetto folk, si cercava cioè di capire quale fosse la situazione attuale di un movimento musicale che ha avuto un peso non dominante ma non trascurabile nella vita musicale italiana (soprattutto per fasce giovanili) a partire dalla fine degli Anni Cinquanta e che ancor oggi reclama di essere considerato vivo e vitale. Il quadro, molto In generale, l'abbiamo visto, ma alcune considerazioni meritano ancora d'esser fatte. E' chiaro che se si cerca di capire «dove va il folk* non hanno peso, se non come necessario punto di riferimento, i resti magari gloriosi del passato. E ancor meno peso hanno le figure marginali, anche se in qualche caso attivissime, che fanno molto bene 11 loro mestiere, con l'appoggio determinante del Festival dell'Unità o delle case discografiche. Rimangono allora sul tavolo pochi elementi. XI discorso è più chiaro, ma egualmente non è, a mio giudizio, senza dubbi. Per esemplo: 1 cosiddetti «gruppi di base». Io stesso ero convinto che 11 folk revival dovesse, diventando un fenomeno non più elitario ma di massa (o quasi), incamminarsi per due strade ben distinte. Da una parte il suo sfruttamento commerciale (e io non ho nulla contro la distribuzione commerciale della musica quando è fatta senza Inganni e senza furberie), dall'altro il suo «ritorno» all'interno delle realtà popolari. Si pensava che il folk revival urbano avesse assolto il suo compito che era stato quello di accendere interessi e attenzioni, di mettere in movimento iniziative, di imporre (secondo le regole inevitabili della società In cui viviamo, in cui sono la metropoli e 11 centro e non già le periferie a fare «opinione pubblica» e a proporre modelli) a livello nazionale un problema e alcune ipotesi di soluzione. Che, di conseguenza, dovesse o diventare «mestiere» musicale, o dissolversi, lasciando il passo alle iniziative locali, legate a realtà precise e riconoscibili, a motivazioni profonde nel quadro di una generale ansia di identità e di diversità Si immaginava, che sull'esempio del folk revival urbano, metropolitano, di vertice, potessero nascere (o, meglio, rinascere) vocazioni comunitarie, aprendo la strada all'affrancamento delle periferie dalla schiavitù di un consumismo culturale banale, omologante, irreale in quanto buono per tutte le realta E qualcosa, in questa dire¬ zione, davvero è avvenuto. E vorrei citare due casi soltanto, entrambi piemontesi: quello di Magllano Alfieri, nelle Langhe, e di Bajo Dora, nel Canavese. A Magllano un gruppo di giovani ha cercato di opporre alle seduzioni del lavoro operaio e della vita in città, viste anche come emancipazione culturale, in quanto tutta la nostra società propone il contadino come «villano», di fronte al cittadino, la riconquista della dignità culturale del mondo contadino. Essi partivano dalla constatazione che spesso non erano esigenze economiche a spingere i giovani a lasciare le campagne, ma piuttosto era l'Illusione di uscire, diventando operaio a Torino, dal ghetto degli «ignoranti» per definizione (appunto i «paesani»). " Lavorando in questa direzione è nato il Gruppo Spontaneo di Magllano Alfieri, impegnato a recuperare in proprio e in prima persona la cultura del paese, al fine di dimostrare che se esistono una cultura e una dignità operaia, non per questo non esistono una cultura e una dignità contadina. I risultati sono stati straordinari e il Gruppo non soltanto ha ritrovato i canti e i riti delle Langhe, ma anche ha saputo radicarli di nuovo nel paese e nei paesi attorno, nella gente e fra la gente. Slmile l'esperienza del Coro bajolese, guidato da Amerigo Vigliermo. Anche qui il problema non era di «fare del folk; di cercar la via delle ribalte teatrali o la scorciatoia verso un successo nazionale, ma invece, molto seriamente, di aiutare i canavesanl a riconoscere il perché della loro insoddisfazione innanzi ai risultati (del resto giusti e irrinunciabili in buona parte) della vita «moderna», della società consumistica. Non era certo, per Vigliermo e il Coro bajolese {come per i giovani di Magliano), un problema né di nostalgia (la vita contadina di ieri, fatta di miseria, lavoro e spesso fame, lascia poco spazio al rimpianto), né di rifiuto del presente, verso un sogno reazionario di perduta «età dell'oro». Era un disegno diverso é avanzato, teso a far emergere ciò che, nonostante le apparenze, c'era sotto la crosta del conformismo consumistico: il sentimento che si può benis simo convivere con la grande patria e la piccola patria, con l'Europa (e magari il Mondo) e il Canavese e che mantene re una propria identità non significa, oggi, essere esclusi dalla partecipazione totale alla realtà del mondo moderno. Ebbene, a queste due esperienze è toccata la sorte di non riuscire, se non a prezzo altissimo, nel segno di una difesa continua e di un rifiuto che all'esterno può sembrare (ma non è) o arroganza o miopia provinciale di contatti con la fascia ufficiale e la realtà dominata dalla concezione metropolitana sentiti come contaminanti, a svolgere un lavoro effettivamente rispondente alle giuste intenzioni. Esemplare il caso di Magliano Alfieri che, non molte settimane fa, ha creduto di poter ospitare un grande raduno di folk, organizzato in ambito cittadino. Il raduno c'è stato, sono arrivate migliala di giovani, sono arrivati folk singer e musicanti popolari (urbani, naturalmente, non «veri» come i giovani di Magllano), un successo. Ma è stato subito chiaro che i «padroni» erano quelli venuti di fuori, carichi della loro arroganza e della loro competenza di «cittadini», ben capaci a muoversi nel meccanismi organizzativi e politici della musica ma incapaci di vivere con umiltà, con discrezione, con prudenza, con partecipazione umana e «storica» l'incontro con il Gruppo di Magllano (e, ciò che più conta, con gli uomini e le donne di Magliano). E il Gruppo Spontaneo è sta¬ to sul punto di venir travolto, di veder crollare, nella cagnara di una piccola Woodstock langarola, li lavoro di tanti anni. E allora ecco riaffiorare la vecchia diffidenza provinciale e contadina E la vita del Coro bajolese? Viva emozionante nei rapporti con la gente, ma difficile con il mondo esterno in generale e quello delle pubbliche amministrazioni in particolare. Un rapporto anche qui difensivo, tessuto di ombrosità e diffidenze, di ritrosie e di rifiuti, pur nella constatazione che nel tessuto della nostra società, cosi com'è costruita, senza quel rapporti è la fine: o l'isolamento nevrotico, o la fuga nella follia. E allora, anche da questa parte nel quadro del folk, sconforto, preoccupazione? Non lo so con certezza. Quanto sere che in questo gioco più grande, molto più grande, dei suoi protagonisti, energie vive e iniziative attive forse si spengono, certo deviano. Ma, forse, stiamo vivendo uno di quel difficili momenti (e la cosa può riferirsi, per la verità, a buona parte della cultura e, anzi, della vita italiana di oggi) In cui tutto sembra spento e, invece, per vie segrete, sta formandosi qualcosa di nuovo. Roberto Leydi

Persone citate: Alfieri, Amerigo Vigliermo, Bajo, Magliano, Vigliermo

Luoghi citati: Magliano Alfieri, Torino