C'erano una volta le Pantere nere di Ennio Caretto

C'erano una volta le Pantere nere COME VIVONO IN AMERICA GLI EX LEADER DELLA PROTESTA C'erano una volta le Pantere nere Cleaver, che té fondò, fa l'assessore e il conferenziere; Angela Davis non parla più di rivoluzione, ma di partito; Rap Brown, autore dello slogan «Brucia, ragazzo, brucia», ha aperto una drogheria - A 25 anni dal giorno in cui Washington abolì la 'segregazione nelle scuole, i cambiamenti sono più superficiali che profondi, ma le minoranze di colore sembrano rassegnate DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — Questo mese Angela Davis, la «pasionaria nera» che cinque anni fa figurava sull'elenco dei ricercati della Fbi, ha vinto il Premio Lenin per la pace, in precedenza assegnato dall'Urss a un solo altro americano, il baritono Paul Robeson. Progetta di ritirarlo di persona a Mosca e di devolverlo all'Alleanza contro la repressione politica e razziale». All'Università statale di San Francisco, dove insegna Storia delle minoranze, il piccolo gruppo comunista di cui è a capo ha festeggiato l'evento con una nostalgica riunione degli ex leaders del '68. Angela Davis, un po' invecchiata, sempre bella, si è presentata coi capelli alla afro e il pugno chiuso, ma anziché di rivoluzione ha parlato di partito, e non ha proposto dimostrazioni di protesta, ma comizi. Quasi contemporaneamente, nel West End di Atlanta, la città di Jimmy Carter, Rap Brown ha aperto una drogheria all'angolo di due strade molto frequentate. Negli Anni Sessanta, Brown era il leader carismatico della contestazione, l'autore dello slogan «Bum, baby, bum» ^Brucio, ragazzo, brucia), il tribuno che scagliava contro la polizia le folle di colore. Oggi ha abbracciato l'islamismo, scelto un altro nome, Abdullah Al Amin, ed elaborato una sorta di filosofia della tolleranza. La sua metamorfosi è avvenuta in carcere a New York, dopo che era stato arrestato per rapina a mano armata. Dicono che venda sottobanco ai suoi fedeli incenso e una copia del suo libro. Muori negro, muori, riveduta nel nome dell'integrazione. Eldridge Cleaver, il fondatore delle Pantere Nere, s'è invece inserito nella politica locale, diventando assessore di una piccola comunità californiana. Dedica il tempo libero alle prediche e alle conferenze, facendo il pendolare con il Canada. Cleaver propone un modello dei!'«uomo nuovo nero» diverso da quello eroico e pionieristico: reli- gioso, e impegnato nella società civile. Mentre Huey Newton, il suo successore, si divincola nelle maglie della legge, che lo ha accusato di assassinio, Cleaver sogna la carriera più ortodossa, sull'esempio di Andrew Young, l'ex braccio destro di Martin Luther King, oggi ambasciatore all'Onu. Sconfessa la violenza, il terrorismo, gli attentati, •negazioni di Dio e dell'America», ripudiando il turbolento patrimonio del decennio precedente. Ad analogo tipo di trasformazioni sono stati soggetti quasi tutti gli altri protagonisti della rivolta negra dell'epoca di Kennedy e di Johnson. James Meredith, il loro antesignano, ferito nella famosa marcia del Mississippi, è un uomo d'affari prosperoso. Julian Bona è senatore dello Stato della Georgia, giornalista, e ha accesso alla Cosa Bianca. Anche le pochissime eccezioni, come Stokely Carmichael che ha scelto l'esilio a Conakry, in Guinea, creando un «partito panafricano rivoluzionario», sono in buoni rapporti col potere. Carmichael frequenta l'ambasciata Usa e ammette che non rimpatria per non pagare un debito di 50 mila dollari col fisco. E' uno degli ultimi fuggiaschi. La stragrande maggioranza, specialmente quella rifugiatasi nei Paesi comunisti, ha da tempo ritrovato la via di casa, e scontato ogni pena che gli era stata inflitta. Persino i movimenti più numerosi e articolati, come quello dei musulmani neri, hanno scordato l'antica militanza. Gli eredi di Malcom X e di Elijah Muhammad non predicano piit il black power e l'emarginazione bianca, ma il consenso popolare e l'intesa col governo. Il loro leader Wallace, figlio di Elijah, ritiene sconveniente criticare /'establishment e smitizzare Carter. Vede il movimento come una specie di cooperativa, aperta anche alle altre razze di colore, tesa a riforme economiche e sociali moderate. Il suo conformismo gli ha alienato non solo la sinistra dei black muslims. ma anche eroi del folclore quali Cassius Clay, già orgoglio della setta e suo miglior propagandista. «Un panorama come questo, dice Vernon Jordan, il capo della Lega nazionale urbana, una delle più forti associazioni negre, potrebbe fare pensare che la causa della protesta, la segregazione, sia scomparsa. E' falso. In realtà, nell'ultimo decennio abbiamo registrato più regressi che progressi. Ci siamo fermati di fronte ai grossi ostacoli, e la nostra condizione non è migliore che nel '69». Jordan parla di apatia, di processo involutivo, paura e divisione. «Molti di quegli attivisti erano nel torto, aggiunge. Ma costituivano l'avanguardia di un esercito che speravamo in marcia inarrestabile. Forse i mezzi che usavano erano condannabili. Ma essi additavano alle masse obiettivi che oggi sembrano perduti». Per Vernon Jordan, come per Angela Davis e molti altri, questo mese è il momento dei bilanci. Esattamente 25 anni fa, con un insieme di sentenze storiche, la Corte Costituzionale aboliva la segregazione nelle scuole. La campagna dei negri per la cittadinanza piena, «di serie y, i a l a o i l a o o , a A», era incominciata con la guerra, quando il sindacalista Philip Randolph aveva costretto il presidente Roosevelt a offrire alle minoranze di colore impieghi nell'industria paramilitare. Ma fu l'intervento della Corte a segnare la svolta decisiva. A una a una, le roccaforti bianche del «profondo Sud» crollarono sotto la spinta studentesca. Nel '60, allorché Kennedy conquistò la presidenza, i diritti civili costituivano ormai l'elemento unificante della parte più discriminata della popolazione. «Black is beautiful» divenne il motto della negritudine. A prima vista, il bilancio dell'ultimo quarto di secolo è positivo. L'adattamento al sistema degli antichi leaders neri sembra confermare l'avvento della pace sociale, e non mancano i dati incoraggianti. Qualche esempio. I sindaci di colore sono passati da 2 a 150 circa, e guidano città come Washington, Los Angeles, Detroit, Atlanta. Esistono trenta grandi istituti finanziari negri, due dei quali, la Freedom National e la Harlem Bank, figurano tra le 500 massime banche americane. Va di moda la «bourgeoisie noire», come si dice a Nuova Orleans, dagli industriali delle salsicce Parks al soprano Leontine Price, dall'editore di Ebony Johnson al reverendo Sullivan, che costruisce aeroporti. La percentuale degli studenti con istruzione superiore è quasi eguale a quella dei bianchi. Anche il clima generale pare più disteso. Il presidente Carter non rifiuta ma sollecita gli incontri e le fotografie con le comitive di colore, forse memore di essere eletto coi voti dei giovani, dei negri e delle donne, le tre fOTr. ze meno inquadrate nel sistema. Tuttavia, con qualche eccezione, ì cambiamenti sono più superficiali che profondi. Carter ha dei ministri donne, ma non neri: ha inserito i giovani alla Casa Bianca, ma i black counsellors se ne sono andati. Non punta sulla loro sparuta rappresentanza nel congresso: 17 in tutto. L'alta burocrazia di Stato e dirigenza industriale si comportano ancora nei confronti delle minoranze come un club privilegiato. Un decennio fa, la famiglia tipo negra guadagnava il 62 per cento della sua controparte bianca, ora è scesa al 56 per cento. Mentre Roots esalta le radici della negritudine, il bushing, o autotrasporto integrato, resta ' al centro delle polemiche scolastiche, e spesso degli scontri di quartiere. Vernon Jordan fa risalire alla «negligenza benevola» dt Nixon, termine che maschera 10 smantellamento delle. «Nuove frontiere» di Kennedy e della «Grande società» di Johnson, l'inizio della paralisi negra: «La nostra ricostruzione, dice, fu abbandonata prima di essere portata a termine. Restammo, restiamo a una disoccupazione due o tre volte superiore a quella media bianca. I nostri giovani, in genere, fanno solo 11 primo biennio all'università, e difficilmente entrano nei colleges più prestigiosi, anche per motivi finanziari». Vernon accusa Carter di aver abbracciato la diplomazia nixonìana: «Parla dell'età delle limitazioni, della consapevolezza, di altre fondamenta, ma è la stessa cosa». L'analisi del leader della Lega nazionale urbana è condivisa dai più autorevoli sociologi, e dai giornali riformisti, dal New York Times al Washington Post. Essi affer¬ mano che il momento psicologico delle minoranze di colore è caratterizzato dalla rassegnazione: «C'è stata una ritirata del governo, spiega Kenneth K. Park, dovuta a un riflusso conservatore da una parte, e a una caduta di mezzi dall'altra. E c'è stata la presa di coscienza delle varie etnie, da quella messicana a quella italiana, nonché degli altri gruppi, i gay, gli omosessuali per esempio, che ha finito per arginare la spinta negra. D'improvviso, le rivendicazioni sono scoppiate su ogni fronte, sopravanzando quella originale di colore». La polizia, con la dura repressione degli Anni Sessanta, ha sconsigliato l'uso della forza, e si è nascosto lo scontento. «Gravi errori di valutazione, a parere di Vernon Jordan, sono stati anche compiuti dalla leadership nera. Abbiamo creduto che il razzismo del Nord-Est fosse molto inferiore a quello del "profondo Sud". Non abbiamo capito che l'istruzione sarebbe stata una conquista sterile, se non sorretta dalla riforma della scuola invocata dai bianchi. Soprattutto, non abbiamo lottato contro la cultura oggi imperante, per cui l'assegno di disoccupazione o il colpo di fortuna, magari la truffa, sono meglio di un lavoro alienante e senza sbocco». Il compito più urgente, oggi, egli conclude, è ridare una fede ai giovani, toglierli dalla strada e dalle evasioni. Jordan e i sociologi concordano sul punto più importante, e cioè che questa è una fase di transizione, e leaders vecchi e nuovi potranno presto mobilitare le black masses. Delusi da Carter, disamorati del suo prammatismo, essi cercano un «perno politico», che raccolga la loro causa. Torna inevitabile, come ogni discorso negli Stati Uniti oggi, il nome di Ted Kennedy: «Sappiamo che non sarebbe sufficiente, dice Jordan, sappiamo che ci vuole una generazione nera più matura. Ma il momento non può essere lontano. Abbiamo sepolto la rivoluzione, ci libereremo della paralisi. Non importa se ci vorranno anni». Ennio Caretto Angela Davis negli anni della protesta e Rap Brown in una caricatura di David Levine