Far venire l'alba pedalando di Luciano Curino

Far venire l'alba pedalando CICLISMO DUNA VOLTA NELLA GRAN FONDO MILANO-ROMA Far venire l'alba pedalando Una competizione oggi eccezionale ma frequente al tempo dei «giganti della strada»: 660 km sulla punta di un sellino, circa centomila pedalate - Tutte le città e i paesi erano svegli sotto la luna, in un clima di festa popolare - La «mazzata sulla testa» e gli occhi che si chiudono quando spunta il sole DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ) PESARO — L'alba trovai corridori della Gran Fondo ciclistica sulla strada di Ce-', sena. Sono otto ore che si va avanti ed è il momento della, crisi. Ne vedi che pedalicchiano con aria stralunata. Come va? «Insomma...», rispondono con un filo di voce quasi spenta. Capisci che sono cotti e che presto abbandoneranno. Il vecchio Sivocci, che di Gran Fondo ne ha fatte tre e ha vinto quella del 1919, aveva avvertito: «n momento più balordo è l'alba. SI sente come una mazzata sulla testa e gli occhi che si chiudono». La Gran Fondo ciclistica vuol dire 660 chilometri, da Milano a Roma, sulla punta di un sellino. Più o meno centomila pedalate. Fatica da forzati. E' una competizione oggi eccezionale, ma frequente nel vecchio ciclismo eroico e romantico, quando i corridori si rabberciavano da soli le biciclette spezzate. E' nelle massacranti Gran Fondo che è nata la leggenda dei giganti della strada. Delle vecchie Gran Fondo si raccontano meraviglie. Ci fu, per esempio, quella volta, nel 1912, che dopo seicento chilometri Ganna vinse in volata su Gaietti, che non si rassegnò ma fece il quarantotto, li sul traguardo, e pretese la rivincita: altri seicento chilometri, subito. Naturalmente era follia e non se ne fece nulla. Correvano su strade polverose e martoriate dalle ruote dei carri, con sassi anche grossi. In una notte senza luci Tano Belloni fini contro un grosso sasso, cadde, si fratturò una spalla e si staccò quasi completamente un orecchio, e disse che voleva continuare la corsa, invece lo portarono all'ospedale di Verona. Quasi morivano di sonno. Si ricorda che Girardengo, «fermatosi ad un torrente per rinfrescarsi, cadde addormentato e non ci fu più verso di farlo proseguire». Le strade, oggi, sono buone e le notti piene di luci. La corsa è illuminata come un palcoscenico da auto attrezzate con speciali fanali. Ma la fatica resta fatica, il sonno ti casca addosso (« Dormirei un anno senza nemmeno rivoltarmi nel letto», si sente dire da chi abbandona) e all'alba viene il momento della crisi. I muscoli faticano e divorano calorie. Le ammiraglie, come sono dette le auto che assistono le squadre, traboccano di pezzi di ricambio, gomme, coperte. Ma soprattutto di cibo. Sull'ammiraglia di una squadra di cinque corridori vi sono: 50 chili di fru tta, cinque chili di miele e cinque di marmellata, casse di burro e formaggi, dieci polli e dieci conigli, 80 uova, 25 chili di pane, dieci litri di brodo, 25 di tè e 25 di caffè. Anche dieci litri di camomilla «ma servono solo dopo l'arrivo». Nelle corse in bicicletta «un uomo che non mangia è finito», dice uno incaricato di rifornire i corridori. Deve essere un massaggiatore o un meccanico. Precede la corsa e. alla luce dei fari dell'ammiraglia, sul lato della strada, aspetta i ciclisti per passargli il sacchetto col cibo. Sono molto bravi, lui a passare e quelli ad afferrare al volo, e si capisce che tra di loro c'è lunga abitudine. Dice l'uomo dei sacchetti: .«Li riforniamo ogni ottantina di chilometri. La loro fame non ha niente a che fare con l'appetito. E' fame nera, dolorosa, da furto». Dice di aver visto un corridore, in una tappa alpina, strappare dalle mani di uno spettatore un pacchetto di biscotti e addentarlo «senza togliere nemmeno la stagnola». Si parla aspettando i corridori nella campagna di Romagna. C'è molta luna, silenzio, profumo di tigli. Dice quest'uomo: «Gli zuccheri vanno bene per una corsa sotto 1 trecento chilometri. Anche troppa carne, nella prima parte della gara, non va. Produce azoto che brucia l'ossigeno. E allora, dove prenderle le energie? Dai grassi. Adesso gli dò burro e mascarpone».Dice: «La carne più tardi. Olà tritata, perchè non sono a. tavola, che masticano in pace». Ha la maglia della sua squadra e il berretto da ciclista portato con la visiera, dietro, forse è un meccanico e parla come un dietologo. Poi arriva la corsa. L'abbiamo vista prima, da Milano a Bologna,, e sono stati duecento chilometri di festa popolare, una folla che nemmeno al Giro era tanta. All'una, alle due di notte, le città e i paesi erano tutti nelle strade e in piazza come in un bel pomeriggio. Avevamo lasciato i corridori vivi come cicale ed euforici, anche emozionati non avendo immaginato tanta gente a quell'ora, perfino i bimbi e le donne. Una folla troppo affettuosa, 'esagerando, tanto che ha travolto il più giovane dei corridori, Orlando Maini, che era solo in fuga, sbattendolo contro un'auto. Il ragazzo è caduto e si è ferito, è ripartito ma dopo pochi chilometri ha dovuto abbandonare. Altri ritiri per stanchezza, per sfinimento. Hanno ceduto alcuni che avevano incominciato la corsa sema troppa convinzione, oppure troppo allegramente. Il gruppo che viene avanti, di tanto in tanto, si assottiglia. Le gambe (e tutti hanno nelle gambe anche i tremilatrecento chilometri di Giro d'Italia) vanno ancora, quasi come alla partenza, certamente per tutte quelle energie inghiottite lungo la strada. Ma c'è qualcuno che ciondola sul manubrio, sembra lì per crollare, si scuote e si guarda attorno come chi si è appena svegliato e non capisce dov'è, che cosa accade. C'è chi è acquattato di sbieco sul sellino. Facce smagrite e livide. Come va? «Bene» dice il bugiardo. Un altro risponde borbottando Dio sa cosa. L'uomo dei sacchetti dice: «E' il momento.peggi.ore. La difficoltà è quella di superare l'alba, quando subentra una fase di apatia». Pure Bartali dice che il momento più difficile è questo, perché «quando comincia a far chiaro gli occhi bruciano. Può anche capitare di vedere una cosa per un'altra». / fari delle auto illumindito. facciate di case, qua e là nella campagna silenziosa e quieta. E i corridori guardano quelle case con gli scuri 'chiu¬ si, pensano che là c'è gente che dorme in un buon letto. Ancora chilometri e ogni tanto la corsa ha un sussulto, si ravviva, qualcuno inarca le reni, sorprende tutti 'con uno strappo sui pedali, scappa e va a vincere un traguardo a premio, inseguito da qualche 'avversario. Presto tutti ritor\nano nel gruppo. C'è chi si | ferma, per una gomma forata. 0 altre ragioni, poi pedala come un matto per raggiungere ' gli altri, pedala come se fosse [spaventato, terrorizzato di 1 restare solo nella notte. i La notte, comunque, finiI sce, si fa chiaro e ora scorgi • bene te facce, vedi che per [qualcuno sta arrivando la \mazzata prevista da Sivocci. \Ancora paesi, cittadine, nuova folla che non è più di nottambuli ma di mattinieri. E \dopo altri campi di grano e ■all'improvviso il respiro deh mare. L'incantesimo di questo misterioso silenzio dopo la bufera di grida. Viene fuori il sole, la giornata è bella. Ora si va per, [paesi e città tutti svegli e in \strada a Imola rincorrono i corridori per regalargli cestelli di fragole', ad Acquala-, gna le ragazze gettano mazzi di ginestra. Ovunque accade qualcosa e la grande festa popolare continua, mentre il gruppo continua ad assottigliarsi. Alle sei, dopo nove ore di bicicletta, i corridóri vedono un cartello affisso a un albero: li informa che sono a metà percorso. Luciano Curino mè III Bologna. Applausi di giovani tifosi per Maini che ha attraversato per primo la città (Ansa).

Persone citate: Bartali, Belloni, Ganna, Girardengo, Maini, Orlando Maini

Luoghi citati: Bologna, Italia, Milano, Pesaro, Roma, Romagna