Febbrile caccia al voto

Febbrile caccia al voto Nomi e Cognomi di A ndrea Barbato Febbrile caccia al voto A margine delle elezioni, e lasciando ad altri i commenti politici più. calzanti, vorrei annotare qualche impressione personale. Mi ha colpito, ad esempio, il tono febbrile, drammatico, che ha preceduto il voto di domenica scorsa: e non solo perchè esso risaltava ancor più su uno sfondo di generale scetticismo o quantomeno di diffusa indifferenza. Credo che la veemenza e la passionalità esasperata siano caratteri in netto contrasto con le pacate ragioni della democrazia. La campagna elettorale non mi è piaciuta per i motivi opposti a quelli che hanno suscitato le critiche dei commentatori: non l'Ito trovata né grigia né scolorita, ma al contrario, teatrale, accesa, aggressiva. Un delirio emotivo. I candidati più esposti o più impegnati imploravano il voto, lo reclamavano con impetuosa stizza, si difendevano, contrattaccavano. Solo il mutare dei tempi e della città ha impedito che tornassimo ai fervidi capannelli del dopoguerra, alle voci arrocchiti ai lanifesti insultanti, ma lo spirito era quello. Un immenso pubblico dubbioso s'affacciava ogni sera alle finestre azzurrine dell'elettronica domestica e assisteva allo spettacolo: non scontri laceranti, non dibattiti serrati e duri, ma la tensione dell'esame da superare, l'emozione a stento controllata, il grido d'allarme trattenuto. Ne va, insomma, del vostro destino e della vostra libertà, volete svegliarvi dal torpore? Partiti alleati fino a poche ore prima si sentivano divisi da distanze incolmabili; la conquista di un voto, anche di un voto solo, sembrava segnare il passaggio fra la felicità e la tirannia, fra il popolo e la corte. Ho assistito a molte campagne elettorali in altre nazioni, e premetto che non credo alla «psicologia dei popoli» né sono prigioniero del mito anglosassone. Tuttavia, mi sembra che nei Paesi di democrazia matura la ricerca del consenso non sia cosi fremente e viscerale. Lasciamo stare l'Inghilterra, dove la freddezza è persino eccessiva e studiata, una buona pronuncia conta talvolta più di un buon argomento, il leader nasconde con cura le proprie emozioni private e anzi ostenta distacco, e infine la politica è considerata un'arte minore, un accessorio del saper vivere, una qualità amatoriale e dilettantistica. Ma l'America non può dirsi un Paese introi -so e controllato. Una campagna elettorale americana contiene il fragore, l'enfasi, la retorica. La caccia al voto segue le regole del mercato pubblicitario, fa costruire immagini familiari e biografie fantasiose, provoca conflitti di personalità, mobilita mezzi e colori. Più che un sistema di forze, si sceglie un uomo, che avrà poi un potere immenso praticamente al riparo da crisi impreviste (a eccezione dell Impeachment/ Ci sono i gruppi di' pressione, i boss locali, le «stanze piene di fumo» dove i potenti prendono decisioni strategiche, la gara ad eliminazione, il folklore, i dibattiti diretti. E tuttavia il voto non viene implorato, né febbrilmente e concitatamente preteso. C'è severità, critica, durezza, oratoria, ma non tragedia. Il candidato più apprezzato sarà quello più freddo, disinvolto, brillante. Non sto facendo l'elogio di un metodo, che forse non è migliore del nostro: ma invidio la serenità politica che c'è dietro quel metodo, nella massa degli elettori, che non sono chiamati ad una scelta fra la vita e la morte, il coraggio e il tradimento, l'Oriente e l'Occidente/ Ricordo lo scontro televisivo fra John Kennedy e Richard Nixon. O quello, forse ancor più drammatico, fra due che non dovevano giungere poi alla presidenza: Eugene McCarthy e Bob Kennedy. Erano partite crudeli e certamente un po' ingiuste: un'incertezza poteva compromettere il serio lavoro di mesi o far naufragare le speranze di folle di milioni di persone. Non c'è dubbio che i due candidati venivano esaminati dal pubblico, e giudicati, per ragioni un po' futili: il modo di gestire, la prontezza nel ribattere, la dose di senso dell'umorismo. E tuttavia la cosa che entrambi, e tutto il pubblico con loro, avrebbero giudicato più stonata e sbagliata, sarebbe stata la perdita del controllo, l'aggressività immotivata, lo strip-tease emotivo. Perché in fondo a tanti difetti e a tanta commercializzazione, c'è però un metodo comune: il voto devi meritarlo per ciò che sei per i programmi che hai, per le scelte che fai, e per la tua capacità di raggiungere la ragione dell'elettore. I simboli contano poco, le bandiere dei partiti non sventolano, nessuno ricorre al passato, nessuno s'ammanta di Lincoln o di Roosevelt So bene che questo discorso è un po' decentrato rispetto a ciò che ci sto dinanzi: passioni talvolta sudamericane o studentesche. Più nei candidati, ormai, che nelle piazze. Sguardi inquieti volti emaciati, visibili sofferenze, soprusi denunciati notti insonni, oratoria fra il tropicale e il goliardico. Gli anglosajsoni, davvero, non sono fra noi. Cattivo segno.

Persone citate: Barbato, Bob Kennedy, Eugene Mccarthy, John Kennedy, Richard Nixon, Roosevelt

Luoghi citati: America, Inghilterra, Lincoln, Nomi