La Fallaci racconta: «Un uomo» di Sandra Bonsanti

La Fallaci racconta: «Un uomo» PARLA DEL SUO LUNGO ROMANZO SU ALEKOS PANAGULIS La Fallaci racconta: «Un uomo» La giornalista ricostruisce l'attentato a Papadopulos, l'arresto, la scoperta dei documenti contro il regime, l'assassinio - «Amarlo, amarci, fu anche una scelta morale e politica» ROMA — Questo romanzo glielo aveva quasi imposto lui, Alekos Panagulis, poco prima di essere ucciso in una via di Atene la notte del primo maggio di tre anni fa. « Morirò e scriverai un libro su di me», le diceva quel poeta e politico solitario. 'Morirò e allora si che mi amerai per sempre»: Oriana ha mantenuto la promessa che aveva fatto dentro di sé a quel giovane di 38 anni che era stato condannato a morte e torturato nelle carceri dei colonnelli, poi eletto deputato al Parlamento della Grecia libera e sepolto da eroe al grido di -Panagulis vive!». Oriana Fallaci ha finito, il libro lo ha dedicato a lui — "ghia sena" (per te) è scritto nel frontespizio—e lo ha intitolato »Un uomo». Nella prima pagina ha trascritto la fine dell'Apologia di Socrate: « E ' giunta l'ora di andare, ciascuno di noi, per la propria strada: io a morire; voi a vivere. Che cosa sia meglio Iddio solo lo sa». Ma il segreto che finora ha protetto questa sua fatica svanirà del tutto solo alla fine di giugno, quando il grosso volume sarà in libreria. Ci ha messo dentro tutta la sua grinta, mista alla rabbia e al dolore di una ferita che non si chiude, nel 'tentativo straziante di continuare il dialogo con lui». Per quasi tre anni ha imposto fra sé e gli altri un muro, sia che lavorasse nella vecchia casa di Greve in Chianti, sia che si rifugiasse nell'appartamento dello East Side a Manhattan. Nel romanzo si è travestita ora da Ismaele, il giovane marinaio di Moby Dick, il cui destino è di vivere per raccontare la storia del capitano Achab 'perché se Ismaele non racconta nessuno sa (o ricorda) che Acìiab è vissuto ed è morto combattendo il Male, la balena bianca». Poi si è trasferita nella parte di Sancho Pancha e si è rivolta ad Alekos-don Chisciotte col tono «complice» di un'amante. Alla fine il romanzo, «die non è affatto una biografia di Panagulis», e non è nemmeno un racconto storico-giornalistico, ha preso la struttura di un libro dell'800, ma forse è meglio dire di una fiaba antica: c'è l'iniziazione dell'eroe, il periodo delle grandi prove, il ritorno al villaggio, l'ultima sfida, la morte o l'apoteosi. Momenti costruiti sugli episodi drammatici di otto anni di vita di Alekos: l'attentato a Papadopulos, l'arresto, la scoperta del documenti contro il regime, l'assassinio. Un libro che farà parlare: ha alle spalle il successo di vendite della Lettera a un bambino mai nato (tradotto in venti lingue), è stato acquistato a scatola chiusa dagli editori più esigenti degli Stati Uniti, della Francia, Spagna e Germania. Un libro che la butterà nella mischia, perché «é un libro scomodo. La storia scomoda di un uomo scomodo raccontata da una donna scomoda. Si, è un libro che darà fastidio a molti e soprattutto agli ipocriti, ai fanatici, ai demagoghi, cioè ai mestieranti per cui far politica significa far carriera, ai prepotenti per cui far politica significa ammazzare, ai furbi per cui far polìtica significa imbrogliare la gente con l'alibi della parola Popolo o della parola Libertà. Per non dire i paurosi che si rifugiano sotto l'ombrello della rassegnazione o dell'impotenza. Questi ultimi tappeto di ogni dittatura, di ogni tirannia». ((Un lungo esilio» La giornalista, l'inviato nei posti più caldi, ha visto passare davanti a sé questi anni duri e tumultuosi senza mai intervenire, senza interrompere il silenzio. Non è stato facile. La Fallaci dice che si è trattato di «un lungo esilio, fatto di solitudine e di immobilità, di fatica. Perché vivere per me aveva sempre significato vivere affannosamente, saltando da un paese all'altro, da un lavoro all'altro, da un'avventura all'altra, tuffata nella folla e nella storia. Ho detto esilio? Dovrei dire pri¬ gione, una prigione dove ero carceriera di me stessa». Il racconto di Ismaele-Oria-, na si svolge dal 1968 al 1976, Ma lei dice e non dice, accenna e subito si pente, allude e poi smentisce: si, c'è la storia della bomba che doveva uccidere Papadopulos, c'è anche la descrizione minuziosa e terribile delle torture come lei sola l'ha sentita raccontare, c'è anche quel nido nel verde del colle del Poggio Imperiale, la loro casa fiorentina dal Natale '73 fino a quel terribile maggio del '76. Ma il libro non è solo questo. Ci sono anche i documenti segreti trovati da Panagulis, compromettenti, per alcuni... ma il libro è qualcosa di più. L'amore fra la giornalista e il giovane poeta greco scoppiò subito, appena si incontrarono il giorno che Panagulis fu rimesso in libertà. 'Senza esserci mai visti, neanche scambiati una parola scritta. Ci riconoscemmo perché ci conoscevamo già». Lui, dice Oriana, aveva letto i suoi libri e i suoi articoli anche durante cinque anni di carcere. Lei lo aveva incontrato 'mille volte in Bolivia, in Brasile, in Vietnam, nella mia infanzia, nella mia adolescenza, nella mia vita insomma, attraverso gli uomini e le donne che si battevano, come lui, per la loro libertà, la loro dignità. Avevano altri nomi, altri volti, ma erano sempre lui, Alekos». Adesso la Fallaci dice che quell'amore la terrorizzò. Lei, nel tentativo che non andasse perduto nulla di questo pezzo della sua vita, di far si che la forma letteraria non turbasse o stravolgesse i sentimenti e le idee, si è fatta ancora più minuta e sfuggente. Ha accumulato una dose di insofferenza che è sempre 11 U per scoppiare. Si trattiene al pensiero che questo libro «non è la fine di qualcosa ma il principio di molte altre». E le occasioni per essere se stessa, aggressiva, imprevedibile, accorta, burrascosa, corteggiata negli Stati Uniti più che altrove non mancheranno. Potrà ancora attaccare, in¬ tervistare, essere intervistata, accusare e essere accusata, potrà provocare e poi raccontare. Anche se dice di aver ormai perduto 'il fratello con c,ui dividevo i sogni e le rabbie» e di non riuscire a parlare con gli altri come parlava con lui, senza incrinature, dubbi o scontenti. Uscito di prigione Quel suo 'fratello» credeva ciecamente nella democrazia, ci credeva quando combatteva i potenti con le bombe e quando invece li avversava con la forza delle sue idee. «JVon dimenticherò mai la sera in cui gridò piangendo, dinanzi all'Acropoli, quel suo amore. Era appena uscito di prigione, la dittatura continuava con Papadopulos, e qualcuno ci aveva portato a mangiare in un ristorante della Plaka. Per tutta la sera era stato taciturno, triste. Tornando a casa passammo sotto l'Acropoli e l'amico che guidava fermò la macchina. Scendemmo e Alekos si mise a fissare l'Acropoli in silenzio. La fissava, la fissava e d'un tratto il suo volto si rigò di lacrime. "Alekos, perché piangi, Alekos?" gli chiesi. E lui "Perché quello era il simbolo della democrazia e lui se l'è rubato". Poi, con un singhiozzo: "Riavere un po' di democrazia! Una puttana di democrazia ma democrazia! Una mala democrazia ma democrazia!". Così quando penso a quelli che vogliono rubarcela questa puttana democrazia ma democrazia sento la voce di Alekos e mi viene voglia di piangere come piangeva lui» Quanti ritroveranno nel Panagulis di Oriana Fallaci il poeta che passava dalla malinconia al sorriso con la semplicità d'un ragazzo, il politico che non voleva lasciarsi incasellare, che frequentava socialisti e comunisti ma esitava a definirsi «di sinistra», l'esule che molti hanno incontrato? Oriana non ha paura. Un uomo è il suo uomo. Sandra Bonsanti