Quando l'orso era il nemico

Quando l'orso era il nemico PERCHE' POCHI NE SOPRAVVIVONO NELLE ALPI ORIENTALI Quando l'orso era il nemico Come finì di essere preda ambita e riservata ai signori medievali, divenne la vittima di stragi colossali condotte per secoli con fredda determinazione - Si fece ricorso alle taglie: la caccia alla «belva» fu insieme competizione e obbligo civile - Basterebbe oggi una frana, una valanga, per segnarne l'estinzione DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MADONNA DI CAMPIGLIO — Ladro, ghiottone, zingaro, capace di camminare eretto, provvisto di cinque dita e di un cervello che ha, con il peso corporeo, lo stesso rapporto del nostro, l'orso è il più antico compagno dell'uomo. Come il cane, di cui è cugino per la comune discendenza dai grandi meani-orsodella fine del Miocene e del Pliocene. L'uno rimasto al di qua della trincea, fedele servitore; l'altro al di là, libero e selvaggio, ma vicino alle capanne e al cuore del signore della natura. L'immagine dell'orso corrisponde, nelle più dimenticate profondità della coscienza, a una bonaria presenza paterna; gli indiani canadesi lo considerano erede della più antica e nobile razza umana e quando per crudele necessità devono ucciderlo, offrono sacrifici espiatori al grande spirito che dà vita a tutte le creature; non c'è culla di bimbo in cui un orsacchiotto di pezza non abbia suscitato affetto struggente. Un tempo anche le Alpi, specialmente le orientali, erano ricche di orsi Oggi sono ridotti a pochi individui, sull'orlo dell'estinzione: certamente sei, forse una dozzi-i no, nelle valli più impervie di quella regione che i funzionari napoleonici del Regno d'Italia chiamavano «dipartimento dell'orso»; il Trentino Alto Adige. Unici superstiti di una strage colossale, condotta con fredda determinazione durante i secoli. Nel mondo feudale, l'orso era preda ambita, riservata al signore. Un rescritto della contea principesca del Tirolo, nel 1414, comminava una multa di dieci marchi a chiunque, senza sangue blu nelle vene, avesse osato ucciderlo: ed era una pena severissima, se si tiene conto che una coppia di buoi costava sette marchi Ma le lamentele e le proteste dei contadini salivano al cielo, perché l'orso è o e à un grande predatore e distruttore. Si trascina, seduto, nei campi ancora verdeg-, gianti di grano, avena e segala, mietendo a destra e sinistra copiosi mannelli e succhiando golosamente gli umori lattiginosi delle spighe ancora verdi. I favi di miele che arraffa negli alveari distrutti sono per il suo palato di gourmet una irresistibile leccornia, e in un recinto di pecore ne sbrana una dozzina per portarsene via una sola, che seppellirà nel bosco, nutrendosene per parecchi giorni. Non c'è quindi da stupirsi se, a conclusione delle periodiche sollevazioni contadine contro balzelli e corvées, tra le richieste avanzate al principe compaia puntualmente anche quella di poter uccidere l'orso. Dovette finire col parere tanto legittima, che la caccia all'orso, prima vietata, diventò un obbligo civico. Nel 1525, si legge negli Acta tirolensia, l'arciduca Ferdinando I confermò ai suoi villici che si erano sanguinosamente rivoltati il diritto di uccidere l'orso. Un secolo dopo, a Kufstein, il diritto era già diventato un obbligo, e chi lo trascurava veniva punito; a Sonnenburg, presso Innsbruck, non si poteva avere considerazione di galantuomini se ogni tanto non si pigliava il fucile e non si andava in giro per i monti a caccia di orsi e lupi «per proteggere il bestiame della collettività». Era il caso di piangere per la troppa grazia, perché ammazzare un orso bruno delle Alpi non era impresa da prendersi alla leggera. Certo, non è un gigante come i suoi confratelli americani il grizzly delle Montagne Rocciose o il kodjak dell'Alaska, ma è sempre un rispettabile bestione che, ritto in piedi, può raggiungere i due metri d'altezza e supera i due quintali Benché goffo all'apparenza (cammina sollevando alternativamente le due zampe dallo stesso lato, e perciò ondeggia comicamente) è agilissimo e veloce, dotato di una forza prodigiosa. Un suo ceffone basta per uccidere un uomo, un fendente vibrato con gli artigli affilati può spaccarlo in due. E se è vero che non aggredisce mai l'uomo, è altrettanto vero che, come tutte le creature di Dio, minacciato si difende. Specialmente mamma orsa, abituata a lottare selvaggiamente per i piccoli fin dalla nascita, perché papà orso non rifugge dal cannibalismo e divorerebbe i propri nati che nemmeno conosce, avendo abbandonato la compagna subito dopo la breve estate degli amori Con i fucili a scarsa forza di penetrazione di quel tempo, abbattere un orso al primo colpo era del tutto improbabile e lo scontro finiva di frequente all'arma bianca, coltello contro artigli Un ex voto delle Valli Giudicarle ricorda l'avventura di quell'Antonio Pangrazzi che il 15 ottobre 1764 s'imbattè in un orso a trenta passi, sparò e gli si gettò addosso col coltello. Avvinghiati uomo e belva rotolarono in un crepaccio profondo venti metri, dove l'orso fu finito. Ma il cacciatore non riuscì a risalire: rimase tre giorni, nutrendosi del fegato crudo della preda, nella prigione di roccia, fin-, che i compaesani lo ritrovarono, mezzo impazzito. Malgrado l'ex voto, non si riebbe più e morì un anno e mezzo dopo. Si fece ricorso alle taglie, cercando di bilanciare la paura con l'avidità. Il giorno di Ferragosto del 1759, il »Comun general» della Val di Fiemme, cioè la periodica adunanza dei »capi-fuoco», dei padri di famiglia, decise che la taglia di dodici troni (cinque troni facevano un fiorino) non era sufficiente e t'aumentò di cinque troni affinché «11 Cacciatori impieghino maggior coraggio in ammazzare li orsi, che si ritrovano in grande quantità e assai pericolosi alli bestiami e campagne». Il 10 gennaio 1818 un decreto del governo austriaco, rimasto in vigore fino alla prima guerra mondiale, fissò le taglie in 30 fiorini per il ma¬ schio e 40 per la femmina. Nella Val Rendena, il 'Capitanato», che era all'incirca una sottoprefettura, allegava una zampa d'orso al giustificativo della spesa. Nacquero così autentici bounty killer, cacciatori di taglie. Alle quali andava aggiunto il valore della pelle, la parte più pregiata della preda, degli zamponi che affumicati costituivano un piatto prelibato' e del grasso, rimedio specifico e miracoloso per i reumatismi, secondo la farmacopea ufficiale. E le lusinghe alla vanità: gli uccisori erano autorizzati a inchiodare sulla porta di casa le spoglie della fiera, per riscuotere il doveroso tributo di ammirazione dalle fanciulle del villaggio. Ci sono fra questi cacciatori figure leggendarie, come quel Giovan Battista Zorzi, che uccise il suo primo orso il 26 aprile 1776 e riscosse, nella sua vita, 33 taglie. O come, quel Martino Fantoma, detto il Re della Val di Genova, la cui fama non è altrettanto ben documentata: ma si sa con certezza che uccise il suo' ultimo orso nel 1938, quando ne era già vietata la caccia. Scoperto, venne denunciato, ma al processo fu assolto per legittima difesa. Una sentenza che fa a pugni con le attuali conoscenze naturalistiche. L'orso bruno, fin dai primi del secolo, era diventato rarissimo su tutto l'arco alpino. Dal 1900 fino alla Grande Guerra, si susseguono gli epitaffi degli esemplari uccisi nelle valli più remote. Restava, abbastanza numeroso, nel Trentino, finché migliaia di uomini salirono, con spaventosi mezzi di distruzione, a uccidersi sui monti dove aveva eletto il suo ultimo rifugio. Tuttavia l'orso, benché decimato, sopravvisse alla guerra. Ma non alla caccia che, dopo la grande strage, riprese indiscriminata. Fu soltanto nel 1933, quando ormai pochi esemplari si nascondevano nei recessi più dimenticati sul gruppo del Brenta e dell'Adamello, che un naturalista, Oscar de Beaux, lanciò il primo allarme. Due anni dopo apparve il libro (ormai introvabile) del trentino Guido Castelli che per la prima volta descriveva i costumi e la vita dell'orso delle Alpi e chiedeva che fosse protetto in un parco naturale. Ma ormai questa varietà deHUrsus arctos era sull'orlo dell'estinzione: basterebbe, oggi un incidente naturale, una frana o una valanga che ne uccida un esemplare o due, per segnare la sua fine. I tentativi che si stanno facendo per scongiurare questa eventualità costituiscono un altro appassionante capitolo della storia romanzesca di un animale legato all'uomo da antichi e misteriosi vincoli. Giorgio Martina!

Persone citate: Antonio Pangrazzi, Castelli, Giorgio Martina, Giovan Battista

Luoghi citati: Alaska, Innsbruck, Italia, Tirolo, Trentino