Un sinistre «factotum» nel calvario di Cristina

Un sinistre «factotum» nel calvario di Cristina Ancora una dura arringa della parte civile Un sinistre «factotum» nel calvario di Cristina Dice l'accusa: Angelini (condannato all'ergastolo) preparò la cella, sorvegliò la ragazza, seppellì il cadavere, riciclò il riscatto TORINO — Decima udienza del processo alla banda che sequestrò Cristina Mazzotti. Parla il terzo difensore di parte civile, l'avvocato Gilberto Lozzi docente di procedura penale a Torino. Si occupa degli imputati: Giuliano Angelini, 41 anni (ergastolo), e il macellaio trentaquattrenne di Buguggiate Alberto Menzaghi (condannato a 30 anni di galera). L'udienza si apre con un lungo preambolo tecnico di Lozzi che ingabbia in una solida ed impenetrabile trama procedurale il processo celebrato a Novara, l'istruttoriache l'ha preceduto, il complesso intreccio degli atti preliminari. La strategia difensiva, in casi come questo dove tutto è scontato e sulla sostanza c'è poco da dire, si sa qual è: sparare sulle formalità, sul timbro dimenticato, sulla notifica giunta in ritardo, sull'avviso recapitato male. Una tecnica collaudata: cercare le crepe che possono distruggere una costruzione altrimenti inespugnabile. Nullità, stralci, rinnovazioni dibattimentali che significano condurre i processi in secca o nella palude. E' l'arma estrema, la più insidiosa, e anche in questa occasione le bordate sparate in nome della procedura sono state fitte. In parte le ha rintuzzate la Corte, a tutte ha risposto Lozzi citando sentenze della Suprema Corte, pagine di diritto, leggi, norme in nome delle quali, per lui, nulla è stato lasciato al caso e quindi ogni pagina del processo ha l'avallo della corretta interpretazione procedurale. Esaurito il preambolo, Lozzi aggredisce la «sostanza». Parla di Angelini «anche se i fatti non meriterebbero commenti, tanto sono inconfutabili». Ma riprende il discorso sullo squallido personaggio per definire meglio il ruolo del «gruppo del Nord», fiancheg¬ giato, più che guidato, dagli esperti del Sud. Angelini è quello che nel sequestro e nell'omicidio è sempre presente, non perde una battuta del doloroso calvario di Cristina. «C'è — commenta Lozzi — quando si ventilava di sequestrare uno qualunque e affitta la cascina di Castelletto Ticino; riceve poi i soldi da Menzaghi per preparare la cella», n particolare della cella fa ancora rabbrividire: «Lunga due metri e mezzo, larga un metro e sessantacinque, alta un metro e quaranta: Cristina era costretta a star seduta tutto il giorno; la fossa, una bara in cemento, restava aperta poche ore». Angelini, inoltre, coinvolge Rosa Cristiano, fa il primo turno di guardia all'ostaggio, litiga «perché gli hanno portato una donna, ma non per un sentimento di pietà, soltanto perché un uomo avrebbe resistito meglio al disagio fisico». Angelini somministra i sedativi, partecipa alla spoliazione del cadavere di Cristina e alla sua sepoltura. Alla fine vigila sul riciclaggio. Percorrere il calvario della ragazza è il pretesto per puntualizzare un altro argomento su cui si batterà la difesa: il dolo eventuale, la prevedibilità della morte di Cristina. «Non hanno fatto nulla per salvarla. Erano consapevoli dello sfacelo fisico di Cristina e non hanno mosso un dito. L'ultimo giorno hanno rincarato la dose dei sedativi, duecento, forse più, gocce di Valium». Tocca poi a Menzaghi. «I suoi difensori sostengono che il macellaio si è disimpegnato nella prima fase del sequestro. Non è vero. Menzaghi ha finanziato il rapimento, ha anticipato quattrini e uno avido di denaro come lui non butta via una lira per niente», dice il patrono di parte civile. E' infatti uomo di un cinismo assoluto, ha continuato a tenere i contatti con la banda (Achille Gaetano, il fiduciario dei calabresi, aveva detto agli altri: «Per quelli del Nord risponde Menzaghi») malgrado fosse sposato da un mese (la moglie, operaia tessile, ha già ottenuto la separazione). Dice Lozzi: «Se non compare cosi assiduamente è perché gli altri avevano capito che la moglie di Menzaghi, gelosa, poteva rappresentare un pericolo: lo controllava per darsi ragione dei suoi spostamenti, se fosse arrivata alla verità avrebbe parlato». Il processo continua oggi, quindi pausa fino a martedì. Pier Paolo Benedetto

Luoghi citati: Buguggiate, Novara, Torino