L'economia vista da sinistra di Mario Salvatorelli

L'economia vista da sinistra PARLANO EUGENIO PEGGIO E LUIGI SPAVENTA L'economia vista da sinistra Sui banchi della sinistra, nella Camera dei deputati, quella che in italiano si chiama comunemente «Montecitorio», dal nome della piazza dove sorge il palazzo che la ospita (e in realtà, si dovrebbe scrivere Monte Citorio, staccato, uno dei tanti «monti» di Roma, che sono appena rigonfiamenti del terreno), su questi banchi di sinistra, dicevamo, siedono anche numerosi economisti. Tra questi, due di cui si è parlato molto negli ultimi tempi sono Eugenio Peggio e Luigi Spaventa, il primo perché è presidente della commissione Lavori Pubblici della Camera, e tutti sanno di quanti di questi lavori avrebbe bisogno l'edilizia italiana, in crisi da quindici anni, e il secondo perché alla sua mancata nomina a ministro si attribuisce, da molte parti, la mancata soluzione della crisi di governo, l'anticipato scioglimento del Parlamento italiano, e il conseguente ricorso alle urne, nel giugno prossimo. Ma procediamo per ordine. Vorremmo dire, intanto, che si tratta di due economisti un po' «speciali». Eugenio Peggio, infatti, di economia si è sempre occupato, ma non l'ha mai insegnata, «pur avendo ricevuto—egli dice — varie offerte, anche dall'università di Roma:. Peggio ritiene, infatti, che sia difficile, per non dire impossibile, conciliare «seriamente», cioè con scrupolo professionale, l'attività politica con quella accademica. E' uno scrupolo che gli fa onore, anche perché in Italia non sono in molti a sentirlo, mentre sono innumerevoli i professsori che siedono in Parlamento, nelle redazioni dei giornali, nei consigli di amministrazione di società, e ben poco sulle cattedre universitarie. Cosi Peggio preferisce dedicarsi completamente al suo parti- to, quello comunista, dove milita da sempre, prima come appartenente alla sezione economica, poi come redattore capo e in seguito direttore della rivista «Politica ed economia», quindi come responsabile della commissione economica, trasformata poi in Centro di studi di politica economica, il Cespe, di cui è stato segretario e infine membro della presidenza, con i due grandi «Giorgio» del pei, Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano. Luigi Spaventa, invece, non è «speciale» come economista, in quanto ha tutte le carte in regola, anche come accademico, perché è professore ordinario di economia politica all'università di Roma. E' «speciale» come economista di sinistra, non solo perché fa parte del gruppo parlamentare degli indipendenti di sinistra, ma anche perché è keynesiano, e non marxista. «Come tutti gli economisti — ci precisa — riconosco la necessità di usare anche l'economia marxista come strumento d'interpretazione, ma la mia formazione culturale è keynesiana*. Sarebbe molto lungo da spiegare, a questo punto, e molto difficile da capire perché la democrazia cristiana non abbia ritenuto opportuno accontentare il partito comunista, che voleva andare al governo, ma si sarebbe ritenuto soddisfatto anche di essere rappresentato da Luigi Spaventa, come abbiamo visto non comunista e non marxista, e da Altiero Spinelli, l'ex commissario alla Comunità europea, non meno indipendente di Spaventa, tanto da votare a favore dell'immediato ingresso nel Sistema monetario europeo, quando il pei, e lo stesso Spaventa, si dichiararono contrari. Ma i misteri della politica italiana non basterebbe, a svelarli, un Eugène Sue nazionale, specialista dei «Misteri di Roma», come quello francese lo era dei «Misteri di Parigi». Tra l'altro. Luigi Spaventa tiene a precisare che, quando il suo nome correva su tutti i giornali, alla radio e in tv, nessuno l'aveva interpellato, e il fuoco incrociato tra de e pei passava sul¬ la sua testa ignara. Ma è bene, anche per ragioni di spazio, lasciare la politica e rientrare nell'economia. «A ine pare — dice Peggio — che sia assolutamente necessario ridurre al minimo l'incertezza degli operatori economici, e realizzare una programmazione a lunga scadenza, ma articolata an-t che nel breve e nel medio termine». Respinge le accuse al pei di volere una programmazione fortemente «vincolante», e precisa. Se per vincolante s'intende una programmazione che prometta incentivi e minacci disincentivi alle grandi imprese, in merito ai loro programmi d'investimento, e soprattutto alla localizzazione delle loro iniziative, allora, dice Peggio, ogni programmazione non può non essere vincolante. Ma si tratta di vincoli che non tendono a ridurre le responsabilità e l'autonomia delle imprese, e si prefiggono semplicemente l'obiettivo di metterle in guardia contro i rischi che corrono, se vogliono porsi fuori del quadro d'una programmazione nazionale. Oltre alla programmazione. Peggio si batte perché lo Stato sostenga lo sforzo di tutte le imprese, soprattutto di quelle minori, e perché la pubblica aministrazione si liberi da quella massa di norme e di leggi che prescindono da tutto ciò che riguarda l'efficienza, e molto spesso agiscono addirittura in senso contrario. Questo, della riforma della burocrazia, è il «chiodo fisso» di Eugenio Peggio, soprattutto da quando è presidente della commissione per i Lavori Pubblici, e non si può dargli torto. Per il resto, egli ritiene di poter parlare a nome del pei. quando afferma che «l'Italia deve fare i conti con un sistema mondiale nel quale è for¬ temente inserita, quindi non dev'essere fattore di disordine economico, né seguire un comportamento che possa mettere in discussione i suoi impegni internazionali». Per Luigi Spaventa, invece, il problema numero uno è l'inflazione, «di fronte al quale. — egli osserva — Keynes non si è trovato». Non si tratta, pertanto, di applicare ricette keynesiane che potevano essere valide negli Anni Trenta, e oggi non lo sono. Si tratta di risolvere problemi nuovi, di scarsità, provocati dal prezzo delle materie prime e delle fonti di energia, se non dalla stessa mancanza fisica di esse. Inoltre, in un'economia che possiamo chiamare di mercato, ma che forse è meglio definire «pluralistica», non si può sottovalutare il problema delle «aspettative». Secondo Spaventa, le difficoltà massime che dobbiamo combattere consistono proprio nello smobilitare uno stato psicologico, sottoposto a continui «chocs», che condiziona e determina i comportamenti degli operatori e delle famiglie e che rende molto difficile il «mestiere di economista». Di due cose, però. Luigi Spaventa si dichiara sicuro. La prima è che credere di poter abbassare il tasso d'inflazione tagliando la domanda e lasciando aumentare il numero dei disoccupati è una pericolosa illusione. La seconda cosa è che ormai entrano in piena attività le generazioni vissute sempre con un tasso d'inflazione più alto di quello nel quale le generazioni precedenti erano vissute, ma questo non ci deve rassegnare a «vivere con l'inflazione». Non sembra facile trovare le ricette più efficaci per far scendere la temperatura al di sotto di un certo minimo, ma occorre trovarle, e si troveranno. Mario Salvatorelli Luigi Spaventa Eugenio Peggio

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