«Gli Anni 80 saranno difficili il rimedio migliore è l'Europa»

«Gli Anni 80 saranno difficili il rimedio migliore è l'Europa» Pininfarina all'assemblea dell'Unione Industriale di Torino «Gli Anni 80 saranno difficili il rimedio migliore è l'Europa» ìgliore ò l'Europa» TORINO — Questa volta l'assemblea dell'Unione Industriale di Torino è stata un po' diversa dal solito, sia per l'ampiezza, diremo europea, dei temi trattati, sia per il clima elettorale italiano, una musica di sottofondo difficile da spegnere. Sergio Pininfarina, presidente dell'Unione, ha preferito fornire dati e proiettare diapositive, piuttosto che elencare lamentele. «Le cifre e i grafici- ha detto, «hanno uno forte eloquenza». Prima di passare ad esaminare i passaggi del suo discorso, molto europeo e per nulla «provinciale», conviene tentare una sintesi del suo intervento. Non illudiamoci, ha detto, gli anni Ottanta saranno difficili e la cura migliore ai mali del nostro Paese è l'Europa, o meglio il «metodo europeo» di affrontare e risolvere i problemi. Quello che conta è il rispetto delle leggi dell'economia, la considerazione che «in pratica la scelta economica è a monte di quella politica-: lezione, ha dichiarato Pininfarina, troppo spesso dimenticata dalla classe politica: «Più lo Stato interviene nell'economia, più si moltiplicano gli sprechi e le inefficienze». Il cittadino, ha aggiunto, è poco tutelato, a favore del 'lavoratore dipendente ufficiale: tutto questo in una nebulosa ideologica che riflette una cultura preindustriale. Tanto è vero, ha aggiunto, che «Za lista delle libertà negate alle imprese italiane è andata allungandosi a partire dalla svolta politica e ideologica del '62». La premessa dell'analisi di Pininfarina sta in questa affermazione: la libera impresa è lo strumento più efficiente per produrre ricchezza, per sè e per gli altri; all'impegno sociale dell'impresa (cosa che gli industriali non negano affatto) deve corrispondere l'attenzione sociale per i problemi del suo buon funzionamento. Pininfarina ha poi fatto «parlare» le cifre e i grafici. Primo dato: il tasso di sviluppo italiano fu del 6,8% nel neriodo '58-'62, scese al 4,8% nel '62-'73 ed è caduto all'1,9% ne. gli ultimi cinque anni. Secondo dato: l'inflazione italiana per molti anni è stata pressoché uguale a quella media della Cee (la Germania è rimasta sempre sotto la me¬ dia), col '73 i prezzi hanno avuto la impennata: da quell'anno al '78 l'aumento annuo è stato da noi del 17%, negli altri Paesi di circa il 10%. C'è un'aggravante: in Italia «si è curato molto spesso il termometro anziché il malato», ecco perché la nostra inflazione, per i cattivi interventi pubblici, è diversa da quella europea. Terzo dato: la conseguenza dei primi due dati è l'abbassamento del potere d'acquisto interno della lira: il risparmiatore italiano ha rendimenti reali «molto inferiori alla media europea». Ciò a sua volta porta ad un'altra considerazione: il nostro Paese «sta regalando all'estero una parte delle sue produzioni». Quarto dato: il prodotto pro-capite italiano ha perso terreno dal '62 in poi. La nostra competitività, ha ricordato Pininfarina. è comincia-: ta a cadere già prima della guerra del Kippur, la crisi petrolifera le ha dato poi un colpo definitivo. Quinto dato: il costo del lavoro dipendente indica un divario impressionante tra Italia e gli altri Paesi Cee. L'indice dei salari orari dell'industria, dal '58 al '77, è aumentato del 1000% in Italia, del 500% nel resto della Cee, del 350% in Germania. Gli altri dati citati da Pininfarina riguardano l'inve¬ stimento azionario (scoraggiante), gli investimenti (caduti bruscamente) e l'occupazione. Per quanto attiene a quest'ultima voce, si dovrebbe tener conto delle sacche di doppio lavoro e di lavoro nero: in ogni caso le conclusioni non sarebbero molto diverse. Il paragone con la Germania, punto fisso dell'analisi di Pininfarina, pone in luce la nostra situazione. Significativo è l'andamento occupazionale dal '73 in poi: negli altri Paesi la disoccupazione è aumentata in maniera più vistosa che da noi, ma, dice Pininfarina, «c'è poco da rallegrarci» dal momento che i «maggiori occupati in Italia sono in larga parte dipendenti pubblici che per una buona quota sostituiscono di fatto altre forme di sussidio». Dopo questa serrata analisi (della quale non possiamo dare che uno stralcio), il presidente degli industriali torinesi ha lanciato delle accuse. Ai politici, malati di «una cultura preindustriale, lontana dalla logica dell'impresa», attenti ai costi senza badare ai ricavi. «Il mondo politico italiano» ha detto Pininfarina «non è ancora riuscito a capire che l'efficienza delle produzioni è alla base della sua possibilità di governare». Il rimedio non è certo in «maggioranze che si sono distinte nel non fare». Per quanto riguarda i sindacati, Pininfarina ha registrato le delusioni del dopo-Eur ed ha puntato il dito contro la proposta della riduzione dell'orario di lavoro, formulata secondo schemi che ricordano un'economia pianificata. Ha preso poi la parola l'assessore regionale alle Finanze Claudio Simonelli, il quale non si è detto d'accordo con la «politica del laissez-faire» che vogliono gli industriali, ed ha ricordato che l'intervento assistenziale in certi casi è stato voluto proprio dagli imprenditori. Si è detto d'accordo con Pininfarina nel lamentare la mancanza di una guida politico-economica. Il sindaco di Torino, Diego Novelli, ha detto che dietro le cifre snocciolate da Pininfarina ci sono situazioni che andrebbero meditate meglio. «Ricordiamo pure lo sviluppo Anni 50» ha detto, «ma non dimentichiamo le condizioni degli operai di allora». Ed ha aggiunto: «Nel 1971, e non nel 1871, a Piossasco qualcuno propose un villaggio di baracche per sistemare i lavoratori». Novelli ha infine respinto l'accusa di cultura e ideologia anti-industriale: «affermazioni ad effetto non servono», piuttosto parliamo delle mancate riforme del centro-sinistra. Pier Mario Fasanotti