Tokyo: miracoli e vecchie virtù di Arrigo Levi

Tokyo: miracoli e vecchie virtù I SAMURAI SENZA SPADA E LO SCONTRO DI EGEMONISMI IN ASIA Tokyo: miracoli e vecchie virtù Sebbene meno prodigiosa che negli Anni Cinquanta e Sessanta, la velocità di sviluppo del Giappone è doppia di quella della Cee - Scomparsa l'arretratezza tecnologica, scomparsi i bassi salari -1 maggiori economisti del Paese attribuiscono questo successo a motivi economici, organizzativi, psicologici, sociali - Nessun «segreto», ma un forte impegno di lavoro DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TOKYO — Qual è il segreto del successo economico del Giappone? L'ho chiesto ad alcuni economisti giapponesi, sottoponendo loro questo ragionamento: negli Anni Cinquanta e Sessanta il prodotto lordo del Giappone è cresciuto circa del dieci per cento l'anno, contro il cinque per cento circa dei Paesi della Comunità europea. Negli Anni Settanta, anche per colpa della crisi energetica, questi tassi di crescita si sono dimessati: il Giappone è cresciuto a una media annua del sei e noi del tre per cento, e queste sono anche le previsioni per gli Anni Ottanta. La vostra velocità di sviluppo è dunque sempre doppia della nostra, mentre la differensa in punti percentuali è diminuita, diciamo dal cinque al tre per cento. A prima vista, il miracolo, giapponese è meno miracoloso di una volta. A me sembra invece che proprio oggi il caso giapponese sia diventato per noi particolarmente istruttivo. E'infatti scomparsa, nel frattempo, l'arretratezza tecnologica del Giappone e sono scomparsi i vostri bassi salari: oggi avete tecnologia e salari a livello europeo, siete insomma un'economia matura. Tuttavia, continuate a crescere il doppio più. in fretta di noi. Perché? Qual è il vostro segreto? I miei amici economisti(Motoo Kaij dell'università di Tokyo, Jsamu Miyakasi dell'Agenzia di pianificasione; Sueo Sekiguchi del Japan Economie Research Center; Katsuhisa Yamada del ministero del Commercio estero e Industria; Hideaki Okamoto dell'università Hosei; più alcuni altri che ho incontrato a un convegno euro-giapponese, organizsato a Hakone da Tadashi Yamamoto del Japan Center for International Exchange) non hanno respinto l'impostazione del quesito, anche se la risposta a più voci è complessa. Non ci sono, comunque, misteri, nell'attuale superiorità economica del Giappone (quanto ancora durerà, non sappiamo), bensì una serie di motivazioni economiche, organizsative, psicologiche, sociali, che rischiano di deludere chi speri di trovare in un semplice «segreto giapponese» il rimedio magico ai nostri mali. Alla fine, sono però giunto alla conclusione òhe certi atteggiamenti umani, i quali sono all'origine del persistente successo del Giappone, non ci sono affatto sconosciuti: erano, e in parte sono, presenti anche da noi; noti sono stranezze o visi, ma semplici vecchie virtù, non la «droga del lavorar, dei giapponesi Workaholics, ancora di recente irrisa da uno sciocco rapporto della Cee. Non vi è nessun segreto, soltanto un forte impegno di lavoro che appartiene, e più apparteneva, anche alla nostra esperienza storica e di vita: la verità è che noi siamo molto cambiati, loro assai meno. E poi non bisogna dimenticare che, nonostante i grandi progressi del Giappone, questo è ancora per tanti aspetti un Paese meno ricco delle società europee avanzate; t'è del vero in quanto mi ha detto uno dei miei interlocutori, e cioè che «i giapponesi lavorano tanto non perché siano dei maniaci, ma perché debbono, perché ne hanno bisogno». Veniamo a una sintesi del discorso economico che mi sono sentito svolgere a più voci. Anzitutto, le cause del rallentamento della crescita giapponese. Per Kaji, come per Sekiguchi, la ragione principale è tecnologica: fin dall'inizio degli Anni Settanta — mi dicono l'uno e l'altro — ci siamo accorti che stavano scomparendo i vantaggi della nostra arretratezza, non c'erano più i massicci trasferimenti tecnologici dall'estero, che ci consentivano grandi baisi produttivi. Era chiaro che, «essendo ormai giunti alla frontiera delle nuove tecnologie», la crescita sarebbe rallentata. , / La seconda ragione, che accelerò in modo traumatico il rallentamento (il Giappone era cresciuto negli Anni Sessanta alla media annua dell'll per cento; nel 1974 la produzione diminuì dello 0£ per cento; l'indice della prò- duzione manifatturiera e mineraria tornò ai livelli record del 1973 soltanto all'inizio del 1978), fu, ovviamente, la crisi energetica. Il Giappone, come l'Italia, è del tutto privo dì energia propria. Mi dice Miyasaki: «Il cambiamento dei terms of trade, in seguito all'aumento dei prezzi del petrolio, non è stato una tassa una tantum, come si sperava. Siamo di fronte a un cartello e i prezzi dell'energia continueranno ad aumentare rispetto ai prezzi delle altre merci». (Mi viene in mente una battuta che ho sentito, qui a Tokyo, daKissinger: «Il nostro problema è che dobbiamo convincere i Paesi produttori a scambiare una merce che aumenta di prezzo, il petrolio, con una merce che si svaluta, il dollaro»/ Vi sono altre ragioni del rallentamento, che derivano anch'esse dalla maturasione dell'economia giapponese: la scarsità di spazio per i nuovi insediamenti industriali, che spinge in alto i loro costi, e l'aumento dei salari giapponesi, lianno indotto molte imprese a investire all'estero; una serie di leggi approvate nel 1970 a difesa dell'ambiente aumentò ulteriormente i costi delle imprese; la concorrenza dei «nuovi Giapponi» (Corea, Taiwan eccetera) lw messo in crisi alcune industrie tradizionali come quella tessile e ha imposto lo sviluppo di industrie a tecnologia avanzata, che richiedono massicci investimenti di capitale; sono aumentate la domanda di beni sociali e la spesa pubblica per fini sociali, a danno della spesa per fini produttivi. Queste sono le cause principali del rallentamento dello sviluppo del Giappone. Il mio semplice quesito iniziale risulta dunque valido. Ossia: oggi che il Giappone è un Paese avanzato come gli altri fa meno «miracoli» di dieci o vent'anni fa, ed è giusto che sia cosi: ma fa pur sempre quello che altri Paesi altrettanto avanzati e spesso meno poveri di risorse non riescono più a fare. Quali sono, dunque, le differenze specifiche che spiegano perché mai il Giappone cresca ancora a una velocità doppia della Germania, dell'Italia e della Francia (o, se vogliamo, perché queste crescano a una velocità dimezzata rispetto al Giappone)? Gran parte della risposta consiste in un discorso sulle buone reiasioni tra imprese e lavoratori, sulla bassissima conflittualità, sulla coesione della società giapponese e su alcuni suoi istituti tipici: l'impiego «o vita», gli aumenti d'anzianità, i sindacati d'impresa. Questo tema, davvero centrale, richiede d'essere trattato a parte. Qui ho spazio per richiamare l'attenzione sull'efficienza della programmazione economica in Giappone, che è troppo spesso ignorata. La programmazione coincide con quello che viene chiamato «Japan Incorporateci... l'Impresa Giappone, ed esprime la capacità che i giapponesi hanno di coordinare le decisioni dei grandi complessi economici, del governo e dei sindacati, per ottimizzare la crescita e coordi¬ nare tutte le scelte di un sistema pluralista ai fini del raggiungimento di un obiettivo nazionale concordato. Questo coordinamento sì ottiene non per ragioni mistiche, attinenti alla «glapponesità», come talvolta s'insinua, ma per ragioni molto pratiche: per l'eccellenza e il pre-* stigio. anzitutto, della burocrazia giapponese; per l'esistenza di un fitto tessuto di relazioni tra le diverse élites, che ha radici in un sistema universitario altamente competitivo e selettivo; infine, per l'esistenza di meccanismi istituzionali di consultazione tra i centri decisionali pubblici e privati, che ha come centri motori l'Agenzia per la Pianificazione economica, il famoso Miti o ministero del Commercio Estero e Industria, il ministero delle Finanze e le grandi organizzazioni imprenditoriali. Questo complesso di istituzioni e l'intreccio programmato dei loro compiti formano davvero il cuore dell'Impresa Giappone. Non c'è nessun mistero e nessuna congiura: soltanto violta preparazione e buona volontà, un grande orgoglio professionale e un genuino spirito di servisio, qualità proprie di un Paese omogeneo e compatto. E' in questo ambiente che fiorisce un capitalismo aggressivo ed efficiente. «Il piano giapponese, mi dice Miyasaki, direttore generale alla Coordinazione déll'Agensia per il Piano, è indicativo come quello francese e non imperativo come quello sovietico. Abbiamo avuto otto piani a medio termine: il nuovo, che è incominciato nel 1979, sarà settennale, fino al 1985. Abbiamo presentato la prima proposta di piano a febbraio, ora è in corso una vasta discussione e il piano definitivo sarà promulgato a giugno o luglio. Esso è basato su un modello econometrico dell'economia giapponese e 1500 equazioni, una cosa immensa pesante come una corazzata e non molto manovrabile; ri¬ vediamo il piano ogni due o tre anni». «Prevediamo, precisa, una crescita annua del 6 per cento; un aumento dei trasferimenti di sicurezza sociale dal 12,3 al 14,5 per cento del prodotto lordo, un aumento del carico fiscale dal 19,6 al 26,5 per cento. Insomma, un mo-' dello di sviluppo corretto. L'organismo promotore del piano, che agisce su mandato del primo ministro, è il Consiglio economico, composto di trenta membri: funzionari, imprenditori, banchieri, economisti, sindacalisti. Esso lavora attraverso dei sottocomitati tecnici; noi fungiamo da loro segretariato. Le direttive generali del piano, riflesse nei dati sopraccitati," sono di natura politica». Come avviene il coordinamento tra questo piano nazionale e i piani delle industrie private? Mi spiega, al Miti, Katsuliisa Yamada: «La nostra è un'economia di mercato e il nostro un piano per obiettivi: non pianifichiamo le singole industrie, meno che mai le singole imprese. Ma durante l'elaborazione del piano discutiamo molto con le imprese, con gli economisti, perfino con i giornalisti. Il nostro scopo è di raggiungere il consenso sugli obiettivi nazionali. Le imprese fanno i loro piani conoscendo quelli del governo; noi non conosciamo in dettaglio i loro, né possiamo forzarle a fare o non fare certe cose: ma possiamo informarle, e dare delle g uidelines. «Il risultato è che in Euro-, pa o in America le industrie spesso decidono di investire "dopo gli eventi", in Giappone decidono gli investimenti in anticipo sugli eventi. Cosi, la capacità produttiva è generalmente un po'.superiore alla domanda: ma questo è un bene, stimola la concorrenza e spinge le imprese all'efficienza. Questo è il nostro sistema di mercatopiù-piano. Le decisioni spettano alle imprese. Ma agii imprenditori noi offriamo delle visioni». Arrigo Levi La Borsa di Tokyo. L'Impresa Giappone si avvale di un'efficiente programmazione economica

Persone citate: Asia Tokyo, Hideaki Okamoto, Kaji, Katsuhisa Yamada, Motoo Kaij, Sekiguchi, Sueo Sekiguchi, Tadashi Yamamoto, Yamada