I nuovi rapporti in fabbrica
I nuovi rapporti in fabbrica Dibattito a Torino con Romiti, La Malfa e Cola Janni I nuovi rapporti in fabbrica TORINO — In questo periodo elettorale sono in molti a fare la corte al ceto medio-alto (impiegatizio e dirigenziale), dando risalto a concetti come professionalità, merito e iniziativa individuale. Alcuni ripetono cose già dette, altri si affrettano a rivedere posizioni un po' invecchiate. Mercoledì sera a Torino si è svolto un dibattito sul tema •Impiegati, tecnici e dirigenti nella società di domani-, organizzato dall'istituto Gramsci e dal Ceep (centro studi politica economica). Hanno partecipato il sen. Napoleone Colajanni. pei, l'on. Giorgio La Malfa, pri. e il dr. Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat. Tutti d'accordo nel rivalutare professionalità e merito, un po' meno quando dai concetti si passa al modo con cui calarli nella realtà industriale italiana. La Malfa ha detto che è ora di valorizzare le capacità individuali, ma soprattutto di riconoscerle, evitando quell'appiattimento retributivo dovuto ad un eccessivo ricorso agli automatismi, che è stato per anni l'obiettivo dei sindacati, impegnati a «egualizzare» tutto. A questo punto l'esponente del pri si è posjto un interrogativo generale: scegliere il capitalismo e quindi un grande sviluppo, ma con alcune disuguaglianze sociali, oppure minor sviluppo con più uguaglianza? La risposta sta. dice La Malfa, in un'impostazione nuova del rapporto scuola-lavoro: la scuola -deve essere la condizione principale di uguaglianza (dare a tutti le stesse possibilità) mentre nella vita professionale si devono esaltare le capacità particolari: Parlando dei sindacati. La Malfa ha illustrato una posizione originale dal punto di vista politico: -Riteniamo-, ha detto. -che i sindacati debbano avere un grosso peso nella società, influendo nelle scelte di fondo della politica economica. Per far questo devono uscire dalle fabbriche ed entrare negli organi di programmazione-. Questa affermazione è stata criticata sia da Colajanni sia da Romiti. Il primo, citando il pericolo di un ritorno al velleitarismo di una volta in tema di autorità aziendale, ha detto che il sindacato -deve restare dentro la fabbrica-, anche perché altrimenti sarebbe un surrogato dei partiti. -Il confronto, e non lo scontro- ha detto il senatore comunista, -deve avvenire in azienda, in altra sede sarebbe solo teorico-. Romiti, attraverso un'analisi diversa, è giunto alla conclusione che grosse aziende, come per esempio la Fiat, «non possono non avere un sindacato in fabbrica-. Tornando al tema del dibattito. Colajanni na respinto le varie definizioni che alcuni danno agli impiegati, tecnici e dirigenti, tipo «piccola borghesia» o «nuova classe operaia» : -essi sono piuttosto l'espressione di un modo nuovo di essere dell'industria-, Colajanni ha aggiunto che sarebbe pericoloso e inutile accentuare la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale; piuttosto si dovrebbe imboccare la via del rapporto dialettico, da parte del ceto impiegatizio e dirigenziale, con la classe operaia, nel tentativo di superare tradizionali posizioni di contrapposizione. In altre parole la nuova figura industriale, quella del manager, deve essere l'espressione non già del capitale bensì della capacità professionale, in stretto contatto con le altre categorie aziendali con le quali operare una sorta di leadership. Romiti ha detto che il futuro dei tecnici, degli impiegati e dei dirigenti è lo stesso futuro della società italiana. Il tipo di scelta che faremo condizionerà la vita e il ruolo di questi intellettuali della produzione. «/ dirigenti industriali-, ha spiegato Romiti, «onci soffrono per la sensazione che il proprio ruolo sia gravemente minato dalla messa in discussione di regole che stanno alla base dell'economia di mercato-. Questa crisi può essere superata eliminando tre ostacoli principali: il livellamento egualitario, l'artificiale sottrazione dell'impresa agli stimoli della concorrenza, il tentativo di optare per sistemi diversi dall'economia di mercato, a favore di «nebulose» non meglio precisate. In polemica con Colajanni, Romiti ha sostenuto che in Italia gran parte delle difficoltà che affliggono l'industria derivano proprio dalla mancata applicazione del modello della divisione del lavoro e dall'attacco che si fa oggi all'autorità del manager. A questo proposito ha citato una frase di Engels: -Abolire l'autorità nell'industria significa abolire l'industria stessa-. E' chiaro, ha aggiunto Romiti, che l'autorità non va intesa come autoritarismo e come prevaricazione, -ma piuttosto come espressione di una funzione dirigenziale senza la quale viene meno non solo l'efficienza operativa, ma il concetto stesso dell'impresa come entità autonoma-. Pier Mario Fasanotti
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