Un fotografo forse ha ripreso l'agente che uccise Franceschi di Susanna Marzolla

Un fotografo forse ha ripreso l'agente che uccise Franceschi In tribunale però ha negato di possedere la foto Un fotografo forse ha ripreso l'agente che uccise Franceschi MILANO — Una foto ha ritratto la morte di Roberto Franceschi? Il dubbio si è insinuato ieri nell'aula della corte d'assise dove si sta svolgendo il processo per l'uccisione del giovane, freddato alla nuca da un proiettile sparato dalla polizia. A scattarla potrebbe essere stato Massimo Vitali, l'unico fotografo presente agli incidenti. «La sera del 23 gennaio del '73 — ha raccontato — mi trovavo a casa e ho ricevuto una telefonata die mi diceva di andare alla Bocconi perchè forse succedeva qualcosa. Quando siamo arrivati li c'erano degli studenti che stavano scappando. Ho sentito dei colpi di pistola, 7 o 8. Ho visto un ragazzo cadere davanti all'auto e attraverso i finestrini ho scattato una foto. Poi sono sceso, ho scattato altre foto (che sono agli atti, ndr). Ad un certo punto sono stato circondato da un gruppo di agenti che mi presero la macchina e il rollino. Riuscii a recuperarli dopo diverse ore di trattative». E la foto scattata in auto?, gli viene chiesto. «Non era riuscita». Però viene notato che manca anche il negativo. Vitali tenta una spiegazione tecnica: «Appena messo il rollino — dice in sostanza — le prime foto vengono bruciate per assicurarsi che la pellicola sia ben messa. In camera oscura i fotogrammi bruciati sono stati tagliati; tra questi c'era anclie quello scattato in auto». La spiegazione però non convince né la parte civile, né il presidente. «Non è che per caso il rollino le venne restituito solo a patto che quella foto sparisse?» gli chiede infatti il presidente. Vitali si schernisce: «Non ho condotto 10 le trattative in questura». Eppure ci sono delle «stranezze». Vengono fuori durante l'interrogatorio di Valentina Crepax, nipote del noto disegnatore e amica di Vitali, che quella sera guidava l'auto. In un primo tempo il fotografo, per «non tirarla in mezzo» aveva detto di essere lui solo in auto: ma questa non sembra essere stata l'unica bugia. «Voi avete dato un passagìo a due ragazze, vero?» le chiede 11 presidente. «Si». «Le conosceva?». «No». «Però una racconta che, dopo il vostro primo interroga torio, le raccomandaste di dire die in auto era stata scattata una sola foto e di non parlare del grandangolare. Perche?». «Non ricordo». «Signorina, non sia reticente...». «Non ricordo proprio». La situazione si fa tesa. Viene richiamato in aula Vitali, neppure lui ricorda del colloquio. Perché disse di non parlare del grandangolare e di altre foto? «Non so. io scattai una sola foto. Quella ragazza se lo sarà inventato». Quel che è certo è che spunti di chiarezza continuano a non venire certo dalla polizia. Ieri è ripreso l'interrogatorio di Matteo Gatta ed è continuata la penosa serie di «Non ricordo». L'agente in un primo tempo avallò la versione ufficiale della polizia: Gallo che spara in preda a «raptus», Puglisi che spara in aria. Poi il giudice istruttore lo fa arrestare per falsa testimonianza e, dopo una notte a San Vittore ritratta tutto: Puglisi lo aveva convinto a dire che lo aveva visto sparare in aria: durante una riunione, presenti lo stesso Puglisi e il capitano Savarese, venne deciso che lui avrebbe raccontato di aver consegnato due cartucce a Puglisi e due a Gallo. «Chi in specifico le diede quest'ultima indicazione?». «Non ricordo, forse Savarese». «Ma chi lo convinse a mentire durante i primi interrogatori?». «Non ricordo». Il pubblico ministero: «Gatta, sappiamo che non è stato lei a inventarsi la prima versione dei fatti. Da chi venne quell'indicazione?». «Non ricordo». «Insomma, risponda, per la sua dignità di uomo», lo esorta il presidente. Matteo Gatta, agente di polizia, «non ricorda» più niente. Susanna Marzolla