Riportato in Italia Leonardo David da 83 giorni prigioniero del coma di Gianni Menichelli

Riportato in Italia Leonardo David da 83 giorni prigioniero del coma Il giovane sciatore azzurro è da ieri ricoverato all'ospedale di Novara Riportato in Italia Leonardo David da 83 giorni prigioniero del coma Il 3 marzo, durante una gara negli Stati Uniti, era caduto a 100 metri dal traguardo - Ha subito due interventi chirurgici in una clinica di Burlington, gli hanno salvato la vita, ma non ha ancora ripreso conoscenza - Per il momento apre solo gli occhi □AL NOSTRO INVIATO SPECIALE NOVARA — Leo David aveva lasciato l'Italia il 23 febbraio, con gli occhi illuminati dalla vittoria e dal sorriso dei suoi diciott'anni. Vi ha fatto ritorno ieri, dopo tre mesi esatti, disteso su una barella, gli occhi e il volto coperti da un cellophane, la mente assopita nel lungo sonno del coma che da 83 giorni lo incatena. La storia di Leonardo David è ormai nota, nella sua fulminea crudeltà. Aostano di Gressoney, brucia in pochi mesi le tappe dell'affermazione nel cosiddetto «Circo bianco» dello sci di Coppa del mondo. Nello scorso inverno si piazza regolarmente fra i primi negli slalom, rinnova la stanca epopea dei Thoeni e dei Gros. vince infine il 7 febbraio, ad Oslo, la sua prima gara di Coppa, battendo Stenmark. Ma vincere in slalom non gli basta: per sperare di conquistare un giorno il primato assoluto di Coppa, David deve sapersela cavare anche nel pericoloso esercizio della discesa libera. Ci prova il 16 febbraio, a Cortina, nei campio- la testa, le mani, le gambe. nati italiani. Non ha paura. Leo: e paga con una caduta sul ghiaccio, a cento all'ora. Batte la testa, lo visitano in due (prima il dottor Ligabò, poi a Lecco il professor Dorizzi). Gli danno qualche giorno di riposo, iniezioni, pastiglie: e il «placet» per la tournée in America. Il 3 marzo, a Lake Placid, Leo David —pur sofferente di emicranie — si tuffa in un'altra discesa. A meno di cento metri dal traguardo, d'improvviso, perde il controllo dello sci destro. Cade, scivola fino al traguardo, si rialza, parla, poi crolla sulla neve. Da quel momento Leo è in coma. Ricoverato a Burlington, Vermont, nel centro neurologico diretto da Henry Schmiedeck, viene operato subito al cranio, poi di nuovo il 18 marzo. Rimuovendo ematomi e versamenti, gli salvano la vita. Ma il risveglio è drammaticamente lento per chi gli è vicino: il padre Davide, la madre Mariuccia. Il coma si fa via via meno profondo: Leo respira autonomamente, apre gli occhi, muove Viene nutrito con sondino gastrico: perde quindici dei suoi 64 chili. Si decide infine di trasportarlo in Italia presso l'attrezzato reparto di neurochirurgia dell'ospedale Maggiore di Novara, diretto da Enrico Geuna. Venerdì 18 maggio, David viene trasferito in elicottero da Burlington alla base aerea di McGuire, New Jersey. Da 11 un aereo militare americano decolla lunedi per Prancoforte. Dopo la trasvolata Leo ha bisogno di riposo e di controlli: è ospitato alla base Nato di Wiesbaden. Ieri mattina, infine, l'ultimo volo, verso Malpensa. Ad attenderlo, sulla pista, c'è una piccola folla: giornalisti, fotografi, parenti, pochi amici, dirigenti della Federsci, lo sguardo scuro del presidente Gattai, la maschera impenetrabile dell'allenatore Sepp Messner. Non c'è il direttore tecnico, Erich Demetz: ha disturbi cardiaci, è ricoverato per esami ad Innsbruck. Il jet speciale C 9 dell'Aeronautica militare americana tocca la pista alle 8,47. Si ferma vicino all'autoambulanza, che ha a bordo i medici Regalia e Verrua, più Finotti e Masnaghetti della Croce Rossa. S'apre il portello, s'intravede per un attimo Mariuccia David. Poi, sul fianco sinistro del velivolo-ospedale, si solleva un portellone di sei metri, cala una passerella a rotaia. Dalla scaletta scende un sergente, sul petto una targhetta col nome Smith. Lo segue un massiccio capitano Jones : assicura che il volo (un'ora) è stato ottimo. Poi scendono i David, mamma e papà. La commozione, da latente e contenuta, si fa straziante. Davide David è un uomo grigio e distrutto: l'abbronzatura e l'aspetto atletico del maestro di sci sono rimasti nelle foto d'archivio di tre mesi fa, cancellati da dodoci settimane di tortura. Sussurra qualcosa, papà David, poi urla il suo dolore e la, sua rabbia: -Basta, basta/i. Gli si fa incontro invano Gattai: -No, no, no!-. La stessa accoglienza è riservata a Messner. Abbraccia invece singhiozzando Mariuccia Besesti, una segretaria della Fisi: -Ricordatelo, Mariuccia, ricordatelo». Il lettuccio bianco di Leo viene calato fino all'ambulanza. Il viso è coperto da uno strano cencio di plastica turchese. Mamma David si curva su di lui, amorevole, poi singhiozza ai fotografi un dispe¬ rato -Andate via!-. I due David non piangono, non hanno più lacrime, solo occhi spenti, lamenti convulsi, senza speranza. Rigato di pianto è invece il volto di Daniela, 19 anni, sorella di Leo, arrivata da Gressoney, dove ha badato da sola al negozio di articoli sportivi. Alle 8,58, dopo undici minuti drammatici, la Wolksvagen bianca parte per Novara. La corsa verso l'ospedale viene però bloccata attorno alle 9,30 da un'incredibile quanto tragica circostanza. Tra Bellinzago e Cameri una «128» rossa esce di strada e si schianta contro un albero, pochi secondi prima che giunga l'ambulanza di Leo. Il conducente dell'auto (Dario Tosi, 41 anni, di Baveno) è ferito e va soccorso. La dottoressa Verrua lascia David ed assiste la vittima (frattura dell'omero sinistro e ferite al viso), mentre viene chiamata un'altra ambulanza. Leo per pochi attimi resta solo: ha gli occhi aperti, tristi, assenti, li muove, volta il capo. E' sudato, i capelli corti appiccicati. L'ambulanza arriva all'ospedale Maggiore poco prima delle 10. C'è qualche difficoltà per i giornalisti, poi il direttore sanitario Fumagalli convoca il professor Geuna — 55 anni, torinese, statura media, capelli brizzolati, baffetti ed occhiali — per una breve conferenza-stampa. Geuna parla chiaro, con rigore, prudenza: -David sembra aver sopportato bene il viaggio, le condizioni generali vitali sono soddisfacenti. Di più per ora non posso dire. Dagli Stati Uniti è arrivata una registrazione di 120 pagine in inglese sul decorso del coma, sugli interventi e sugli esami. Dovrò leggerla, poi, assieme ai colleghi Gualazzini Viscontini (recupero e fisioterapia) e Francia (rianimazione) vedremo il da farsi. Gli americani definiscono questo tipo di coma con l'aggettivo "vigile". Speriamo di poter at¬ tuare terapie idonee a procurare un graduale risveglio in tempi non troppo prolungati. Ogni sabato daremo notizie-. Cosi dice Geuna, serio, ma sereno. Sono le 11 passate. Le parole del medico, tranquille se non proprio ottimiste, sciolgono un po' i groppi in gola, diluiscono l'atmosfera di dramma dello sbarco della Malpensa. Leo David se ne sta con gli occhioni spalancati verso il soffitto di una stanzetta a tre letti all'ammezzato di una palazzina a due piani, abbastanza nuova, rivestita di lucide piastrelle marrone. Gli sta accanto, per un po', la mamma. Gli altri se ne vanno. Anche papà Davide rientra a Gressoney, col suo carico di dolore. All'Ospedale Maggiore di Novara torna la calma di ogni giorno e per David riprende l'attesa. Soltanto qualche ora dopo si saprà che Geuna, d'improvviso, ha deciso di sottoporre Leo alla sua terza trapanazione cranica. Gianni Menichelli Aeroporto della Malpensa. La barella sulla quale è disteso Leo David appena scaricata dall'aereo. La madre dell'atleta solleva un lembo del telo di plastica per vedere in volto il figlio (A. Bodo)