I rapitori di Cristina ripetono «No», «Non so», «Sono innocente»

I rapitori di Cristina ripetono «No», «Non so», «Sono innocente» Una monotona sfilata alla Corte di Torino I rapitori di Cristina ripetono «No», «Non so», «Sono innocente» Oggi verranno interrogati anche gli ultimi quattro imputati - Forse, in giornata, potranno già incominciare le arringhe della parte civile TORINO — Processo per la morte di Cristina Mazzotti, anche gli imputati dicono «no». Dopo i «no» dei giudici che hanno respinto, martedì, la serie di eccezioni sollevate dai difensori per rinnovare in parte il dibattimento (o annullare, addirittura, il processo) sono venuti i monosillabi negativi dei primi imputati interrogati dalla corte. La parola era a loro, ci si attendeva, onestamente, qualcosa in più. Che sia un segno di rassegnata resa? Soltanto a Giuseppe Milan, l'uomo che accompagnava il «telefonista» Spadaro alle cabine pubbliche di Varese per comunicare e minacciare la famiglia Mazzotti, è sfuggita un'intera frase. Quando il presidente, dottor Conti, gli ha chiesto se confermava o no le dichiarazioni rese al processo di primo grado, Milan ha detto: «Confermo-, ed ha aggiunto: «Sono innocente-. Milan è l'uomo che avrebbe fatto da «palo» la sera del drammatico rapimento di Cristina, lo hanno riconosciuto in tanti: gli amici che erano con la vittima al momento del sequestro e i carabinieri che fotografarono il «telefonista» durante le fasi cruciali delle trattative. Milan è anche indiziato di complicità in altri rapimenti, sarebbe l'uo- mo-chiave a cui si legano i nomi di persone rapite e scomparse. Luigi Gnemmi, a piede libero, una comparsa che si defila nella triste storia di denari e morte, un imputato che va e viene a seconda dei propri umori (ieri c'era) non ha aggiunto parola e si è limitato al laconico: «Confermo-. E' quindi la volta di Alberto Menzaghi, il macellaio che avrebbe, per l'accusa, organizzato e finanziato le prime fasi del sequestro di Cristina: ha confermato l'interrogatorio del 7 gennaio 1976 e non gli altri. Quello riporta una ritrattazione, una modifica che tuttavia non gli è giovata al momento della sentenza di primo grado: non ha avuto l'ergastolo ma trent'anni sono sempre tanti e dicono che la sua partecipazione al delitto è stata piuttosto rilevante. Antonino Giacobbe. il «boss» della 'ndrangheta di Lamezia, l'uomo che dalla Calabria avrebbe manovrato le fila del sequestro, conferma e poi sbotta: «Il sequestrato sono io. Io sono stato sequestrato dalla polizia-. Vuol fare intendere che è vittima di un equivoco, che il suo riconoscimento è una forzatura voluta da qualcuno per incastrarlo, che l'accusatore Angelini gli avrebbe — volontariamente o involontariamente — fatto del male. Aggiunge: «Sono estraneo al sequestro-. La sua voce è irata, lo sguardo è saettante. Eppure qualche attimo prima sedeva composto e quasi indifferente al cerimoniale dello spiccio interrogatorio. H suo difensore, l'avvocato Allegra, di Novara, deve intervenire: «Si sieda, Giacobbe-. Non rispondono Rosa Cristiano, né Abramo, né Achille Gaetano e nemmeno Vittorio Carpino: i loro difensori hanno chiesto la proroga di un giorno. Se oggi dovessero limitarsi a confermare si è perduta inutilmente un'udienza. Pare tuttavia che Rosa Cristiano abbia qualcosa di nuovo e «misterioso» da spiegare alla corte. Vedremo. L'impressione è però che già da stamane cominceranno le arringhe dei difensori di parte civile. Il primo a parlare sarà il professor Smuraglia. I patroni della famiglia Mazzotti dovrebbero terminare i loro interventi mercoledì (o giovedi, al massimo) della prossima settimana. Poi il calendario riserva due udienze al pubblico accusatore, il dottor Buscaglino-Strambio; infine le arringhe-fiume dei difensori. Pier Paolo Benedetto

Luoghi citati: Calabria, Novara, Torino, Varese