Psicoterapia per aiutare l'anziano che rimane solo di Ezio Minetto
Psicoterapia per aiutare l'anziano che rimane solo Il «crepacuore» dopo la morte del coniuge Psicoterapia per aiutare l'anziano che rimane solo Dell'ormai storica «insufficienza della coppia» — considerata «malattia» tipica del nostro tempo — è abitudine sottolineare (giusto a metà, strada tra verità e gusto dissacrante) la sua multiforme «patologia da cronico conflitto familiare», tanto costosa, in prolungati effetti-stress, per la salute degli interessati e dei figli. Ulcere, ipertensioni, accidenti cerebrali, nevrosi, depressioni sono i modelli della patologica risposta al legale cronico disaccordo. Solo raramente, e in sordina, si osa rispondere che c'è anche l'altra facciata, silenziosa e positiva, della difficile storia attuale della famiglia: con infiniti esempi a favore del risultato della lunga compagnia reciproca. Adesso qualcuno si è domandato se non esiste — dimostrazione forse stantia ma esistenzialmente valida — anche un pesante costo concreto (di diminuita sopravvivenza) da «perdita del coniuge». Una recente indagine inglese, compiuta su 488 soggetti, ha accertato che, entro l'anno dalla data della vedovanza, la frequenza di morte del coniuge superstite è dieci volte più alta di quella in coppie conviventi di uguale età e sesso. Sta a vedere, dice lo scettico, che adesso vogliono rivalutare la romantica e decrepita storia della «morte da crepacuore», ricorrente argomento di cronaca e di empiriche osservazioni. La risposta è che non si può non dar retta — visto che lo si fa. giustamente, per tante altre analoghe condizioni (per la «terza età» in genere e. in special modo, per il «pensionato») —allamoderna e sacrosanta teoria del duro costo in salute da «carenza di obbiettivi» e da critico stress esistenziale. Numerosi studi, negli ultimi anni — compreso quello del Journal of the American Medicai Association — confermano quanto sia alto il prezzo di un brusco ingresso nella solitudine a seguito della perdita del partner. Una indagine del Montefiore Medicai Center — uno degli istituti piti attenti, nel mondo, ai problemi di psicologia e dello stress psichico — rivela che, nei 15 mesi dalla morte del coniuge, è tipico —e vien detto «inspiegabile» — il peggioramento delle cardiopatie, del diabete e di altre «malattie maggiori». L'autrice del rapporto —la notissima Anne Somers, specialista in medicina di famiglia e di comunità alla Rutgers Medicai School in Piscataway — aggiunge che, tra uomini e donne di ogni età, vivono in media più a lungo i coniugati che i non coniugati, vedovi/e o divorziati. Frequenze significativamente elevate di malattia con «resa senza condizioni» si registrano tra le persone, anziane, vedove o separate o divorziate o, più semplicemente, rimaste sole. Lo studio del National Center for Health Statistics del '76 ha calcolato una media annuale di 5,4 visite mediche e di 20,2 giorni di malattia per le persone sposate. 6,4 visite e 28,2 giorni di malattia per vedove/i di quella stessa età, di 7 e di 38,8 per i separati e di 6,5 e di 30.7 per i divorziati. E' lo speciale punto di vista degli attuali rivalutatori del «crepacuore» che fa tornar bene le statistiche: oppure c'è del vero, come la credenza popolare suggeriva? Nel suo libro «The broken heart: the medicai consequences of loveliness». il dr. J. Lynch, psicologo della University of Maryland School of Medicine di Baltimora fa osservare che la malattia, per chi è solo, è anche il modo per attirar l'attenzione — altrimenti indifferente —degli altri. Non tanto di «crepacuore», quindi, si tratterebbe, quanto di condizione «precipitante»: perché chi resta solo, specie se anziano (e se di sesso maschile, visto che questi risulta più sprovveduto di fronte alla solitudine) perde capacità e convinzione a sopravvivere. Sarà pura coincidenza, allora — ma le recenti conclusioni della University of Rochester School of Medicine vengono a collimare con il senso di antiche annotazioni di cronaca — quella dei non pochi casi di decesso che puntualmente avvengono nell'anniversario della morte del coniuge? Il dr. Th. Holmes, dell'University of Washington in Seattle, in base all'osservazione di migliaia di persone, è giunto ad elencare una lista di fattori di «stress di vita» (capaci di determinare o precipitare malattia o «resa») con, al primo posto, la morte recente del coniuge. Di fronte a questi fatti i dr. A. Weimer e I. Gerber, dell'equipe di Montefiore, vedono nella psicoterapia — iniziata subito e proseguita per mesi, là dove occorre, con tutto l'amore e l'attenzione che la giusta prevenzione richiede — il giusto aiuto per diminuire, nei rimasti soli al mondo, la necessità di troppo tardive cure mediche ed il rischio vitale della soli tu- dine Ezio Minetto
Persone citate: Anne Somers, Gerber, J. Lynch
Luoghi citati: Baltimora, Maryland, Medicine, Rochester, Seattle, Washington
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