L'agghiacciante delitto Mazzotti rivissuto nella relazione in aula

L'agghiacciante delitto Mazzotti rivissuto nella relazione in aula Gli imputati, impassibili, ascoltano dalla gabbia L'agghiacciante delitto Mazzotti rivissuto nella relazione in aula Illustrati dal giudice i motivi di appello presentati dalle difese e le richieste per nuovi testimoni - Forse entro due settimane si saprà se Gattini è pazzo o simulatore —I preliminari di un processo — soprattutto se si tratta di un dibattito complesso come questo d'appello alla banda che rapi per denaro e uccise Cristina Mazzotti — sono lunghi, monotoni e danno pochi spunti alla cronaca. E ieri, dopo la prima apparizione a sorpresa, anche l'ergastolano Francesco Gattini ha deluso. E' arrivato conciato sempre come un matto (asciugamano-turbante in testa, sacco delie immondizie a mo' di sciarpa, vocabolario-bibbia tra le mani) ma dopo una decina di minuti ha fatto capire che voleva andarsene: nessuno si è opposto. Vìa lui sono rimasti in gabbia Giacobbe, Milan, Menzaghi, Abramo, Carpino e, oltre le sbarre, Rosa Cristiano. Gli imputati a piede libero Russello e Gnemml — che erano, presenti alla prima udienza — ieri non si sono visti. A mezzogiorno hanno giurato i due psichiatri che dovranno sottoporre a perizia («Possibilmente entro due settimane» è l'invito del presidente Conti) il presunto folle Gattini. Sono il professor Gustavo Gamna e il professor Mario Portigliatti Barbos, docente di antropologia criminale. Dovranno dire se l'imputato simula o no. La difesa Gattini (rappresentata dall'avvocato Minni In sostituzione dell'avvocato Chiusano) ha nominato perito di parte il professor Luigi Ravizza e le parti civili (famiglia Mazzotti) il professor Gian Luigi Ponti, di Milano. Per il resto la mattinata (quattro ore abbondanti) è stata assorbita dalla relazione del giudice a latere dottor Padovani. Il magistrato, con certosina precisione, ha ripercorso la storia del sequestro, delle indagini e degli arresti spiegando ai giudici popolari perché la Corte di Novara ha condannato otto imputati all'ergastolo, perché altri sono sfuggiti alla massima pena e altri ancora hanno avuto clemenza. Una storia che ancor oggi agghiaccia e si inizia e finisce di notte, tra luglio e settembre: la notte sul 1" luglio Cristina Mazzotti è sequestrata; la notte sul 1" agosto muore e i Mazzotti (ignari) pagano un miliardo e 50 milioni di riscatto; la notte sul 1" settembre mani pietose scavano nella discarica del Varallino di Galliate e recuperano i poveri resti della ragazza. Su questa cadenza di orrore si innestano le biografie degli imputati e la ragnatela delle connivenze tra gli uomini che dentro la gabbia ascoltano senza muovere un muscolo, senza un cenno di fastidio o di rimorso. C'è però tra le righe che il giudice legge qualcosa che va oltre la vicenda di Cristina, oltre, se cosi possiamo dire, il «privato» di cui si discuterà in quest'aula a partire da oggi o domani (appena conclusi gli obblighi procedurali), qualcosa che scende nel «pubblico» che coinvolge, in altre parola, tutti. Perché la morte di Cristina, il suo rapimento, il cinismo che ha impregnato le trattative, segnano il lento ma inesorabile affermarsi della criminalità mafiosa nel Nord, il salto di qualità dell'accomandita criminale, l'abbraccio tra Sud e Nord nel segno di una «unità» raggiunta e consolidata dietro gli sportelli dell'Anonima sequestri e di una infinità di altre attività illecite. Da un lato ci sono i «milanesi», Menzaghi, Ballinari, Angelini, Milan che sull'onda della crisi del contrabbando guardano al nuovo Eldorado dei rapimenti a scopo estortivo, dall'altro i «calabresi», Giacobbe, Gattini, Gaetano, pronti a gestire il business con mano esperta. Manovali e «ingegneri» del crimine organizzato al Nord, ce ne sono di fidati, emigrati volontari dalla Calabria o «confinati», i quali dentro il «triangolo» che macina lavoro e guadagni, tra le fabbriche e le «coree» hanno messo radici profonde. Nelle carte' che legge il giudice Padovani non si parla soltanto di Cristina ma anche di Riboli e Stucchi, altri giovani mai restituiti alle famiglie malgrado il pagamento del riscatto e i nomi delle vittime ancora una volta si intrecciano a quelli di molti imputati presenti a questo processo. Gattini il matto (o simulatore?) è sospettato di un sequestro compiuto durante la sua latitanza, ossia dopo la fuga di due anni fa: Giacobbe, il «padrino» che sembra un remissivo pensionato, è accusato di aver fatto uccidere il magistrato Perlaino, freddato tre giorni dopo il sequestro di Cristina Mazzotti. Oggi, sempre Padovani, informa la Corte sui motivi d'appello interposti dalle difese e subito dopo cominceranno le preannunciate richieste di rinnovare, almeno in parte, il dibattimento con citazioni di testimoni: comincerà cioè l'ultima schermaglia per smuovere le pietre angolari su cui poggiano gli otto ergastoli e i complessivi 150 anni di galera degli altri imputati. Pier Paolo Benedetto Torino. Alberto Menzaghi e Antonino Giacobbe ieri durante una pausa dell'udienza

Luoghi citati: Calabria, Galliate, Milano, Novara, Torino