Pietà per Woody Allen di Giovanni Arpino

Pietà per Woody Allen Figure e fatti di Giovanni Arpino Pietà per Woody Allen Quando Woody Alien dice a una ragazza molto giovane: «Per te sono solo una deviazione sull'autostrada della tua vita», il sorriso è obbligatorio, l'applauso meritato, la partecipazione ironica e amarognola risulta compatta e gravida di ammiccamenti. Siamo veramente al «tutto okay», al « tutto in», allo sfavillio meticoloso di una «intelligenza» che supera i confini, ridona slancio al clan del salotto celebre, riporta in voga la psicanalisi, sorvola le tristizie del mondo come un satellite ben oleato. Amo Woody Alien, dai libri ai film, dagli aforismi alle scenette in cui cerca di fingersi seduttore, dalle storielle sui rabbini (lui ebreo) al visceralismo newyorkese. Lo amo anche se non appartengo alla conventicola di coloro che anni fa lo volevano per sé soli, e si scambiavano letture, informazioni, pettegolezzi, sempre con l'intento di tesaurizzare il personaggio Alien e la filosofia Alien, sottraendolo agli altri. Oggi però mi dà fastidio — e penso che infastidisca ancora di più lui, Woody Alien — l'incensamento programmato. Lo hanno fatto diventare un genio, anzi «il» genio, a cavallo tra Einstein, Freud, Picasso, Charlot, il precettore carico di massime morali e il disincantato voyeur dei comportamenti umani, metropolitani. E' un'operazione d'omaggio che sa tanto di vecchi climi hollywoodiani e di abili manipolazioni per fornire un piedistallo al fenomeno: tutto si basa su facili etichette, mentre il «fondo» di Woody Alien, la sua cultura newyorkese di stampo ebraico, nostalgica dell'Europa, capace di darsi un linguaggio proprio — da Isaac Singer a Barbra Streisand — viene abilmente allontanata o dimenticata. E'difficile essere un genio o quantomeno un talento vero, quando tutti ti si abbarbicano addosso e te lo urlano negli orecchi. I veri geni furono tali solo da morti, per loro fortuna. Il povero Woody Alien subisce questa marea di elogi, di affetti, di «comprensione», e forse vorrebbe tanto non essere compreso, così alla svelta, così all'unanimità. Si leggono cose, scritte da pennini italiani su Alien, che fanno venire i brividi. Il mondo è morto, ma Woody lo salva. La vita è uno schifo, ma Woody la riscatta. Il cinema è una cloaca, ma Woody rivendica la potenza della cosiddetta «settima musa» e grazie a lui saremo interpretabili nei secoli dei secoli. Queste esasperazioni criticlie mi sembrano più indigeribili di un panino imbottito fatto di due mattoni e un po' di calcina nel mezzo. Ma le leggiamo su riviste, fogli di ogni genere, le ascoltiamo pronunciare da cinici «operatori filmici» di mezz'età, e c'è da stupirsi che un notissimo sociologo con basette non abbia già fornito la sua opinione a otto colonne (è quello che in due soli giorni ci trasmise, da Milano, una lezione sull'innamoramento e un'altra sulla crisi petrolifera: come non applaudirlo, visto che riesce a compiere il triplice salto mortale dopo essere stato sparato da un cannone? Gli eredi Togni stanno già per contrattarlo). Woody Alien è un finissimo. amabile, scettico e romantico interprete di umanità. Vola in qualche sua scena filmica come gli amanti o l'asino di Chagall. E' carico di «zembo». Mi piace usare questo termine, che deriva dal latino «gimbus» e significa, in vari dialetti (dal piemontese al calabrese) colpo di fianco, colpo ad effetto. Saper imprimere «zembo» a una biglia, ad una boccia, ad un pallone, è segno di classe innata. Nessuno può insegnarlo a nessun altro. Woody Alien possiede «zembo» a pie sospinto. Ma nessuno «zembo» dimostrano di avere nel loro bagaglio culturale e dialogico i vari battaglioni di professori che si occupano di lui. Si copiano, si ripetono, si riflettono l'un l'altro, con invidia e preoccupazione, con tenacia e livori, per aggiungere un aggettivo in più all'apologia di Alien. Lo «zembo» di Woody lascia un segno sullo schermo e nella memoria, i suoi apologeti sparano traccianti e bombe fumogene, alla perenne ricerca del servilismo, alla disperata conquista di una poltrona nell'ideale salotto di «color che sanno» e naturalmente «c'erano». Cortigiani si nasce. Nella storia della filmografia — questa ossessiva, blaterante e caotica confessione secolare che tutto sommerge e stravolge — chissà come sarà capito tra ventanni Woody. Forse il suo delizioso talento è una roccia, forse è fragile come un gelato. Ma ha già prodetto inflazione critica: potremmo riempire un'antologia di giudìzi su di lui. Gusci vuoti? Parole appassite come petali? Certo: ma fondamentali per lo studio dell'idiozia storica nostrana.

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