L'oro e il petrolio spie di inflazione di Renato Cantoni

L'oro e il petrolio spie di inflazione L'oro e il petrolio spie di inflazione Il nuovo balzo della quotazione internazionale dell'oro, che martedì, con 244, e ieri con 256,50 dollari per oncia, ha superato il precedente primato di 254,50 dell'8 febbraio, è la diretta conseguenza degli avvenimenti e degli interventi degli ultimi tempi nel settore dei cambi e delle principali materie prime, petrolio in testa. I provvedimenti presi a fine ottobre 1978 dall'amministrazione Carter per impedire la caduta verticale del dollaro hanno avuto come risultato un sensibile recupero della valuta americana nei confronti delle altre più importanti monete. Un suo eccessivo apprezzamento però era pericoloso perché rendeva gli tati Uniti meno competitivi nel commercio internazionale e accelerava l'inflazione in quanto molti prodotti di base sono calcolati in dollari e la corsa al rialzo del petrolio creava già gravi preoccupazioni in questo senso. II Tesoro americano decideva allora di dimezzare i quantitativi mensili di oro ceduto all'asta sul mercato libero (da 1,5 milioni a 750 mila once). Quasi contemporaneamente il Pondo monetario internazionale preparava il programma di vendita degli ultimi 5,3 milioni di once residue dei 25 milioni che dovevano essere liquidati in quattro anni a partire dal maggio 1976. Nell'ultimo anno saranno mensilmente cedute 440 mila once, anziché 470 mila o 525 mila" once come avveniva in precedenza. In sostanza affluisce meno oro sul mercato mentre, per una serie di ragioni, la richiesta rimane elevata. Già da qualche settimana una forte richiesta di oro a premio o a scadenza lasciava chiaramente intendere che la speculazione stava ritornando agguerrita al rialzo. Quello che ha stupito non pochi operatori è la contemporanea fermezza del dollaro nei confronti delle valute europee dello Sme. Il motivo più plausibile va ricercato nelle mutate aspettative dei finanzieri internazionali. Scontata per un certo periodo di tempo la stabilità del dollaro e una sia pur limitata ripresa dell'inflazione in tutti i Paesi industriali, è in corso il trasferimento di ingenti capitali da Germania, Belgio, Olanda, Svizzera verso gli Stati Uniti e altri Paesi assimilabili che offrono remunerazioni assai più elevate, in alternativa agli investimenti in oro e agli altri classici beni rifugio. Un rafforzamento del dollaro, però, come è già sopra accennato, accelera l'inflazione e cosi si è raggiunto oggi il lamentevole risultato di una grande confusione fra cause ed effetti che si accavallano e si scavalcano, complicando il già spinoso problema dell'energia. Il rialzo dell'oro inoltre può avere deprecabili ripercussioni inflazionistiche a medio termine negli Stati Uniti, arginabili solo mediante una stretta monetaria e il contemporaneo innalzamento del già elevatissimo costo del danaro. Continuando di questo passo, perciò, potrebbe darsi che gli Usa ritornino sulle loro decisioni e riportino le vendite mensili di oro ai quantitativi precedenti. Ancora una volta però è evidente che i timori monetari sono tutt'altro che debellati nel mondo e che è in atto una vera e propria fuga dalle monete fiduciarie. Rimanendo nell'ambito nazionale, è da osservare che le quotazioni dell'oro fino si sono prontamente allineate in Italia a quelle di Londra e di Zurigo, superando ampiamente le settemila lire al grammo, e cosi quelle delle monete auree. Non vi è stato però eccessivo nervosismo e.| la richiesta non è stata di molto superiore alla normalità. Unico riflesso, l'agitazione nei centri come Valenza Po, Vicenza, Arezzo, dove prospera l'industria orafa che è una delle maggiori del mondo, se non la maggiore, per la difficoltà di fissare i prezzi delle consegne scaglionate nel tempo. Riflessi indiretti però vi potrebbero essere sui prezzi di molti prodotti, considerata l'importanza psicologica del valore dell'oro, su una lunga serie di beni patrimoniali e di consumo. Renato Cantoni