Erotica burla per voci e orchestra di Massimo Mila

Erotica burla per voci e orchestra "IL GRAN MACABRO,, DI LIGETI AL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA Erotica burla per voci e orchestra Dominata dagli spiriti pittorici di Ensor, Bruegel e Bosch, è una specie di pazza «kermesse» che tenta di esorcizzare l'antico terrore della morte - Tra realtà e sogno, canto e recitazione parlata (che qui ha toni di sinistra ferocia) si rifa al «Flauto magico» - Splendida l'esecuzione con una schiera di bravi e spericolati cantanti - Abile regia tra scene spiritose DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BOLOGNA — Preceduto da una fama quasi scandalosa di porno-opera è approdato al Comunale di Bologna, che se l'era assicurato da molti anni, Il gran macabro, cioè l'opera che l'ungherese Gyórgy Ligetì, con la collaborazione librettistica di Michael Meschke, direttore del Teatro delle Marionette di Stoccolma, ha tratto da La balade du grand macabre di Michel de Ghelderode. Nonostante le modificazioni a cui l'originale è stato sottoposto, la componente fiamminga resta un carattere determinante dell'opera, che si presenta come una specie di passa kermesse, dominata dagli spiriti pittorici di Ensor. di Bruegel e di Hyeronimus Bosch, nel «tentativo di esorcizzare l'antico gotico terrore della morte», come scrive Giorgio Pressburger in un'accorta nota di regìa. Ciò dà luogo a una «ferocia sinistra nel linguaggio» e a una brutale, ridanciana corposità che a tutta prima può sembrare lontana dalle immagini di finezza aristocratica e di rarefazione atmosferica connesse con lo stile di questo alto maestro della musica contemporanea. Ma, a pensarci bene, il gusto musicale della burla c'è già. e come, nei suoni strambi di Aventures et nouvelles aventures, e d'altra parte la trama del Grand macabre, con la sua ambiguità tra realtà e sogno, si addice alla tecnica di quel quintessenziato pulviscolo timbrico con cui Ligeti si è aperto la sua via originale in mezzo agli altri superatoti dello strutturalismo seriale, quali Moderna e Stockhausen, Kagel e Berio. Il nucleo del Gran macabro, la sua ragion poetica è infatti la reverie, tra essere e non essere, di una fine del mondo che forse non ha luogo: forse è soltanto l'allucinazione di una sbronza dell'ubriacone Piet-la-Botte, che «potrebbe essere» una specie di borgomastro del paese di Breughelland, atterrito dall'apparizione di Nekrotzar, il Gran Macabro, che «potrebbe essere» la Morte e irrompe in scena proclamando di essere venuto per distruggere il mondo. Nella seconda delle quattro scene in cui sono ripartiti i due atti dell'opera assistiamo alle miserie familiari dell'a- strologo di corte Astradamors, afflitto da una tirannica e volgarissima moglie Mescalina. una specie di felliniana Saraghina, che lo fustiga e sevizia sadicamente e •tra l'altro gli impone («Ed ora il saluto al culo! ») di baciarle il voluminoso sedere: poi si •addormenta e ha in sogno l'apparizione di Venere. Irrompe vociferando il solito Nekrotzar, seguito da Piet-la-Botte, ha un selvaggio corpo a corpo sessuale con laridesta megera, poi i tre uomini se ne vanno alla corte del principe Go-Go. Questi è un goloso ragazzotto di dodici anni, alle prese con le perenni liti del Ministro Bianco, 'e del Ministro NerOj. Il capo del Sisifar — la polizia segreta — in forma d'una specie di piumato struzzo nero, arriva trafelato ad annunciare la prossima caduta d'una cometa che distruggerà il mondo. In una scena che ne ricorda una del Ratto dal serraglio, il truce Nekrotear viene completamente sbronzato da Piet-la-Botte e Astradamors, facendogli scambiare il vino rosso per sangue umano, e ancììe il gio¬ vane principe è belle andato quando cade la fatale cometa con una tremenda esplosione atomica. Tutti cadono a terra tramortiti e nel dormiveglia d'una crescente oscurità si passa all'ultima scena, che ripete l'ambiente della prima: qui tutti a poco a poco si risvegliano credendo di essere nell'ai di là. Ma no, che dopo una poco comprensibile incursione di tre lestofanti, emergono trasognati dalla cripta in cui avevano trovato rifugio nella prima scena Clitoria e Spennando, i due giovani innamorati che hanno passato piacevolmente tutto questo tempo, additando nel trionfo dell'eros la morale positiva della storia. Nella fantasmagoria allegorica e nella mescolanza alterna di recitazione parlata e di canto (abilissima specialmente nel primo atto) l'opera si rifa chiaramente al modello illustre del Plauto magico, ma la forza della musica sta \principalmente nel discorso \orchestrale (pur non dovendosi dimenticare la truculeniza vocale di personaggi come Mescalina e Nekrotzar, e la vasta espansione lirica affi¬ data all'apparizione di Venere in un palco di proscenio), perciò accade che i due momenti culminanti sono ì due intermezzi dalla prima scena alla seconda, e dalla terza alla quarta: quest'ultimo, con la sua funzione di veicolo tra sogno e realtà, sbronza e risveglio, allucinazione e sobrietà, vera e propria chiave di volta dell 'opera. Questa si pone dichiaratamente come una «anti-antiopera», cioè rifiutando l'eredità del dramma espressionistico ricupera, sull'esempio strawinskyano della Carriera del libertino, le forme del melodramma (per esempio, la fine del primo atto si può intendere come uno stravolto concertato rossiniano). Ma l'elemento parodistico della citazione (da Offenbach, da Strawinsky stesso, da Schubert da Biancaneve e i sette nani, dal Dies iraeL è infinitamente più dissimulato entro la realtà d'un linguaggio post-tonale avanzatissimo. ■ «Ligeti rimacina molte volte, fino a polverizzarlo, il materiale musicale già esistente».- to scrive molto a proposito il direttore d'orchestra Zoltàn Peskò. il quale adaita pure l'essenza dell'opera nella «apoteosi del blodeln», intraducibile termine tedesco per indicare la gioia dello scherzare, il gusto del gioco di parole, il piacere di dire sciocchezze e commettere assurdità. Sarebbe difficile, a un primo e unico ascolto e senza conoscenza dello spartito, spiegare perché tutti questi ele'menti funzionino a dovere nel primo atto, che con la sua efficacia di allegorica carnevalata quasi si propone come una via di possibile sopravvivenza dell'opera lirica, e si vadano scompaginando nel secondo (pur dotato dello splendido intermezzo orchestrale): forse un eccesso di formule ripetitive (timbriche o ritmiche), forse la prevalenza del parlato sul canto, fatto sta che quanto nel primo atto divertiva, nel secondo comincia a generare sazietà. La realizzazione del Comunale è stata splendida e. a detta dell'autore, la migliore delle tre finora avvenute. Elemento determinante le scene di Roland Topor, spiritoso cartoonist francese, d'origine polacca, dotato di humour noir e di senso del colore. Sono scene ad locum: gli edifici del primo ed ultimo quadro in forma di enormi bottiglie storte, di mortadelle, prosciutti e uova sode, evocano la grassa Bologna. L'enorme fallo che funge da telescopio di Astradamors, oscillando impettito sulla seconda scena, termina in un faccione roseo e paffuto che coi suoi occhiali a stanghetta richiama agli spettatori italiani — sia caso o malizia — la fisionomia d'un noto uomo politico. Dentro al variopinto caleidoscopio di queste scene e utilizzando ogni altro spazio teatrale la regìa di Pressburger muove abilmente le file della strampalata azione, cosi come Zoltàn Peskò governa con sicurezza tecnica pari alla penetrazione interpretativa l'esecuzione musicale, a cui dà vita una fotta schiera di bravi e spericolati cantanti. Non se l'avranno a male se nomino per prima l'incredi bile Deborah Browne nella parte grottesca di Mescalina, e le associo Mario Basiola come ■truculento Nekrotzar. Elena Zilio è il capriccioso principe Go-Go, un'esperta del canto ultramoderno come Dorothy Dorow è il capo del Sisifar: a Slavka Taskova sta a pennello il personaggio di Venere. Gli infaticabili amatori Clitoria e Spennando sono — ohimè! — due donne: la Laghezza e la Pediconi. Oslavio di Credico è Piet-la-Botte, Ugo Trama Astradamors; Montanaro, Rovetta e Sarti i tre improbabili lestofanti. Tutti bravi, come pure altri cantanti e recitanti nelle parti minori, e il coro istruito da Leone Magiera. Accoglienze giustamente contrastanti aita fine. Durante l'esecuzione ascolto diligentissimo. con brevi interventi salaci, più in uno spirito di allegra cooperazione, che di ostilità. Massimo Mila La grassa Bologna nel bozzetto di Roland Topor, spiritoso «cartoonist» francese, per il primo atto de «Il gran macabro»

Luoghi citati: Biancaneve, Bologna, Montanaro, Rovetta, Stoccolma