Se in classe c'è un alunno cieco

Se in classe c'è un alunno cieco RIMEDI LOCALI E PRIVATI ALLA CRISI DELLO «STATO ASSISTENZIALE» Se in classe c'è un alunno cieco In una scuola media della provincia di Torino, nell'ottobre dello scorso anno è arrivato un bambino cieco. Secondo la legge, egli doveva essere assistito non solo dal suo insegnante «normale», ma anche da uno speciale insegnante «di sostegno», con il compito di facilitare il suo inserimento nella classe. Sono passati sei mesi e l'insegnante «di sostegno» non si è ancora visto (né il Comune né il Provveditorato hanno pensato alla nomina): durante le vacanze di Natale, comunque, l'insegnante «normale» si è armato di pazienza e in quindici giorni ha imparato i fondamenti dell'alfabeto Braille: cosi, a gennaio, il piccolo cieco ha potuto cominciare a seguire le lezioni come gli altri. Un episodio, simbolo di un problema incredibilmente vasto e spinoso, quello dell'inserimento del «diverso» nella società. Lo Stato ha sancito astrattamente un principio (in questo caso l'abolizione delle scuole speciali, delle scuole «ghetto», e l'integrazione degli alunni handicappati nelle scuole normali), ma le strutture locali che avrebbero il compito di metterlo in atto non possiedono, spesso, l'elasticità burocratica per farlo. Questo della scuola è — dopo quello dell'abitazione — un altro aspetto fondamentale del «viaggio» che stiamo compiendo, attraverso i servizi sociali alternativi in Italia. Solo dove le amministrazioni locali hanno saputo dare corpo a interventi «de-burocratizzati» (alternativi, appunto, rispetto alla rigidità burocratica tra¬ dizionale) l'astratto principio del legislatore ha potuto essere messo in pratica senza traumi. La già citata ricerca della Fondazione Agnelli sta cercando di far luce anche in questo settore e di inventariare le esperienze più significative. Molte amministrazioni (sulla scia di quelle di Lucca e Pavia) hanno scelto la strada di una sensibilizzazione «a tappeto» dell'opinione pubblica e dei genitori, attraverso incontri, dibattiti, gite e giochi comuni a bambini normali e handicappati. Con risultati definiti «eccezionali»: alla fine infatti, gli stessi genitori dei ragazzi normali, che avevano contestato l'avvio dell'esperimento, ne hanno riconosciuto l'utilità e la necessità. Fuori della scuola In altre città si è invece preferita la via direttamente operativa. A Firenze, ad esempio, in ogni scucia in cui sono inseriti handicappati, prestano servizio uno o due insegnanti specializzati, che forniscono indicazioni ai colleghi per il trattamento degli handicappati lievi e seguono personalmente i casi più gravi. Specialisti occorrono anche per i bambini abbandonati: a Parma, alla chiusura del brefotrofio e dell'annessa scuola speciale, il personale addetto è stato Inquadrato, parte in «équipes di prevenzione» e parte in «nuclei di servizio», con il compito di assistere, nella vita di tutti i giorni e nella scuola, i minori dati in affidamento a famiglie. Ma la scuola non è il solo canale di inserimento sociale, specie per gli handicappati. Che futuro gli è riservato nella società, anche quando si trovano in possesso di un titolo di licenza elementare o media inferiore? Di qui l'importanza fondamentale della formazione professionale, al cui proposito, però, l'assistenza di tipo burocratico è del tutto inefficiente. Come alternativa, in molte città si sta cercando di creare il maggior numero possibile di «laboratori protetti», gestiti in cooperativa dagli stessi handicappati, dai loro genitori, da istruttori specializzati, secondo un modello sperimentato largamente e con successo a Bologna. La funzione di questi laboratori consiste nell'agire da filtro tra la scuola e la fabbrica: per favorire ancora di più l'integrazione degli handicappati nel futuro ambiente di lavoro, sono state spesso stipulate convenzioni con le mense o con i circoli ricreativi aziendali. Ma in altre città — come ad esempio Torino — l'esperienza di questi «laboratori protetti» è considerata superata, soprattutto a causa della scarsità di sbocchi professionali concreti, nella crisi del momento. Si cercano perciò altre soluzioni. Un'esperienza di rilievo è quella realizzata dalla Regione Liguria e dalla Provincia e dal Comune di Genova, in collaborazione con l'A.A.I.I. (Attività assistenziali italiane e internazionali), per la assegnazione ad handicappati di borse di addestramento professionale direttamente in azienda: provvedimento innovativo proprio perché coinvolge imprese, organizzazioni sindacali e territoriali. Il che non è sempre facile, come ha dimostrato l'esperienza di Firenze, dove i sindacati si sono a lungo opposti ad una convenzione con le organizzazioni degli industriali, dei commercianti e degli artigiani, che permettesse a giovani handicappati di essere inquadrati come «apprendisti liberi», cioè senza diritto di assunzione. Per gli emarginati Altrove si è preferito puntare ad un'attività lavorativa vera e propria degli emarginati. Nel 1977 Siena ha varato, ad esempio, un nuovo programma terapeutico per alcuni degenti dell'ospedale psichiatrico, che vengono impiegati, per periodi relativamente brevi, in mansioni quali pulizia delle strade, sistemazione di giardini e aiuole, potatura degli alberi, raccolta di frutta e verdura, vendemmia, ecc. Qualcosa di simile, ma solo per la risistemazione delle strade, avviene anche in provincia di Grosseto: e una esperienza analoga è stata realizzata a Padova, dove si è creata una cooperativa di lavoro (costituita da una trentina tra genitori e figli handicappati) per la coltivazione delle piante destinate ai parchi comunali. L'esperienza più notevole, tuttavia, sembra essere quella realizzata a Trieste, dove già nel 1974 è stata istituita una cooperativa, denominata «Lavoratori Uniti», per la pulizia e la manutenzione dell'ambiente sia cittadinosia rurale. Ha ben presto riunito quasi duecento soci, prima tutti handicappati fisici o mentali, poi anche persone sane. Ha ricevuto in affitto dalla Provincia macchinari vari (tipografici, agricoli, da falegnameria, per la riparazione delle auto. ecc.). nonché locali e appezzamenti di terreno coltivabile. Accanto alla cooperativa, e in contatto con essa, operano delle «squadre di lavoro», composte in prevalenza da persone sane che fanno da guida professionale ad altre handicappate: si occupano della manutenzione di apparecchi elettrici o realizzano lavori di tipo artigianale- artistico. E' ovvio che molti degli interventi di assistenza alternativa ricordati sono sostenuti da contributi e sussidi vari. Talvolta essi raggiungono anche cifre considerevoli: a Terni e a L'Aquila, ad esempio, per facilitare al massimo l'affidamento o l'adozione di minori in stato di abbandono, si arriva a dare alle famiglie fino a 200 mila lire al mese: e la provincia di Alessandria distribuisce fino a 100 mila lire mensili a cittadini che si offrono di svolgere una serie di servizi (pulizia, vitto, assistenza, educazione) presso famiglie bisognose di aiuto. Ma si tratta di un costo pur sempre inferiore a quello previsto da un'astratta assistenza burocratizzata (in taluni casi sono stati calcolati risparmi di centinaia di milioni, o addirittura di qualche miliardo). E in più. aiuta a ridonare ai servizi sociali quel «volto umano» che oggi il cittadino giustamente pretende. Carlo Sartori

Persone citate: Carlo Sartori