Gli anni del Littorio di Indro Montanelli

Gli anni del Littorio Montanelli: dopo ''L'Italia in camicia nera,, Gli anni del Littorio Indro Montanelli e Mario Cervi, «L'Italia littoria (1925-1936)», ed. Rizzoli, pag. 368, lire 9000. La storia d'Italia raccontata da Montanelli è lunghissima (siamo sulle 6000 pagine, dai «secoli bui» a oggi), ma cosi fortunata che comincia già ad uscire a dispense mentre sulla scena del libro sono appena apparsi Mussolini e le camicie nere. Poiché, da questa fatica, s'è ritirato Roberto Gervaso, che ha ormai «messo su bottega per conto suo», Montanelli è ricorso a un altro collaboratore, Mario Cervi, ch'è scrittore di storia anche in proprio e ne ricordiamo quella, bella, della guerra di Grecia. n nuovo duo affronta l'impegno dell'Italia littoria con puntualità e tratto sicuro, seppur senza grande smalto, e sembrano lontanissimi i tempi in cui Montanelli, polemizzando con l'accademia, faceva storia raccontando i fat¬ ti e descrivendo i protagonisti; quando paragonava l'Inquisizione a Stalin, spiegava •che Galla Placidia era arrivata alla politica passando dal letto all'idea, anziché dall'idea al letto: che suo marito, Costanzo, somigliava un po' a Krusciov e che l'imperatore Genserico fece, millicinquecento anni prima, quello che I avrebbe fatto il suo compatriota Hitler nei paesi occupati. n tema odierno dell'accoppiata Montanelli-Cervi è quello del decennio 1925-1936 il cui fulcro andrebbe cercato nell'anno 1932 quando per Mussolini si compie il passaggio —lentamente maturato — dall'uomo al simulacro, dalla realtà al mito, dalla dittatura alla tirannia: non c'è più l'onorevole Benito Mussolini ma il duce (anzi, DUCE, tutto maiuscolo, come lo scriveranno, d'ora innanzi, i giornali) e l'Italia diventa littoria. n 25 ottobre di quell'anno Mussolini, parlando a Milano, proclama («con temeraria futurologia» notano con arguzia gli autori) che «il secolo ventesimo sarà il secolo del fascismo (...) durante il quale l'Italia torneràperla terza volta ad essere la direttrice della civiltà umana». ' Invero, nel '32, il fascismo offre, all'interno e all'estero, una immagine abbastanza soddisfacente del Paese: la pace sociale, seppur imposta, un costume tronfio ma sostanzialmente pacifico, un vasto piano di opere pubbliche (dalla bonifica dell'agro romano alla costruzione dell'autostrada Torino-Milano) a fronte della crisi economica che travaglia tutto il mondo occidentale e affermazioni di prestigio sul piano della tecnica e dell'industria (il Rex sta per conquistare il «nastro azzurro» mentre Balbo ha appena guidato i «Sorci verdi» nella crociera aerea transatlantica). Ed è nel '32 infine che, nei colloqui con Ludwig, Mussolini fa il bilancio di dieci anni di potere e spiega le proprie idee per il futuro: «Sono venuto a questo posto — gli dice — per rimanervi il più a lungo possibile». Attorno a tale nucleo Montanelli e Cervi ricostruiscono l'arco di tempo che va dalle leggi speciali del '25 (quando Mussolini, rompendo gli indugi forte dell'appoggio della monarchia, si assume «la responsabilità politica, morale, storica» del delitto Matteotti e da buon dittatore si trasforma in dittatore tout court) alla conquista dell'Abissinia dove lo spettro della guerra coagula attorno a sé lo spirito (d'avventura delle nuove generazioni — che su questa strada, di 11 a poco, saranno avviate al macello dei fronti della Russia e della Grecia — e il rimpianto dei non più giovani che nella mente, se non nel cuore, conservano ancora quei nomi di Adua e di Amba Alagi. Con l'Etiopia — e questo, a, parer nostro, bisogna dirlo — il consenso al regime, già corale a cavallo degli Anni Trenta, diviene totalitario: Benedetto Croce dona la sua medaglietta di parlamentare per la raccolta dell'oro contro le sanzioni e anche Nenni, pur fuoriuscito a Parigi, sembra approvare l'espansione coloniale del fascismo se è vero che, come dirà più tardi, nel '44, si rammarica solo che Mussolini voglia ottenere con la violenza ciò che gli si darebbe per contratto: «Se a quel momento Mussolini avesse voluto negoziare la penetrazione italiana in Etiopia avrebbe trovato il consenso di tutte le democrazie». L'imprèsa di Abissinia è il culmine» dell'Italia littoria: quando nel maggio 1936 Badoglio entra ad Addis Abeba —sottolineano Montanelli e Cervi — mancano soltanto nove anni a piazzale Loreto. Giuseppe Mayda