Predica e grida l'Apocalisse di Carlo Carena
Predica e grida l'Apocalisse Rozanov, profeta visionario, e le contraddizioni dell'uomo Predica e grida l'Apocalisse Vasilij Rozanov: «L'Apocalisse del nostro tempo», ed. Adelphi, pag. 137, lire 3800. Se, come diceva Bainville, l'ottimismo è la fede delle rivoluzioni, mai una rivoluzione cadde in un gruppo di intellettuali meno disponibili, nel fondo vero, di quella russa, quando si guarda a figure come Rozanov o Sestov: che, pur nella diversità dei loro caratteri, sentono più profondamente le contraddizioni dell'uomo e del mondo, anziché nutrire un saldo entusiasmo ideale. E dietro di loro, ancora, l'ombra di Solovev, la sua concezione mistica dell'esistenza, il suo vagheggiamento dell'eterno femminino, la sua apocalittica storica. Il problema religioso è in realtà al centro del pensiero e dell'opera di Vasilij Rozanov. Di lui — in una traduzione chiara, anche se per buona metà curiosamente priva, nelle domande, del punto interrogativo — Adelphi ci propone a un'ardua lettura l'estremo scritto: qucll'Apocalisse del nostro tempo su cui si esaurirono, nel '18, le forze creative e vitali del tormentato autore. C'è in Rozanov un fanatismo di tipo religioso, che se dapprima lo lancia in speranze rivoluzionarie, poi gli fa accomunare nelle direzioni sbagliate della storia anche quest'ultima esperienza. Una sorta di sadismo mistico lo respinge se mai all'indietro, ancor prima della Grecia e di' Roma: verso la grande concezione della Dea Madre, principio fecondatore e inebbriante della natura creatrice, e verso il paradosso funerario degli Egiziani. Render conto di questa Apocalisse, che segue nella| Piccola Biblioteca dell'editore milanese a Foglie cadute, è' come farlo per La gaia Scienza o per lo Zarathustra di Nietzsche: Rozanov ne condivide il frammentismo intuitivo e apocalittico, il profetismo oscuro e visionario. Ridotto alla miseria più nera dalla rivoluzione, tormentato dalle sventure familiari, egli stese la sua opera in dieci quaderni affidati alla generosità di pochi sottoscrittori. Ve lo muoveva, oltre alla necessità, il bisogno di proclamare come una riprova trionfante del suo ostinato pensiero il fallimento di quel moto rivoluzionario che i deboli mistici del primo ventennio avevano pur' atteso spasmodicamente co¬ me una palingenesi totale del mondo e della storia. Di questo fallimento, come di tutta l'infelicità umana degli ultimi due millenni, Rozanov indica responsabile il cristianesimo, lui già ateo e poi divenuto non un credente, ma un «creatore di Dio». Dopo l'Antico Testamento, regno ancora dell'empito vitale e di un Dio vigoroso della rivolta, il Cristo è apparso come il negatore della vita e ha svuotato il mondo del suo gusto — lo ha reso «un pasticcio senza ripieno» —, sovrapponendo la negazione all'affermazione e importando il razionalismo pedante di un «due più due fanno Dio». La cosa essenziale, dice invece Rozanov nel suo entusiasmo fallico, sono invece le opere della carne: quelle dello spirito non sono che parole vuote, «campate in aria». Il Cristo ne ha disseminato, come di spine e di rovi, il nostro cammino; ci ha caricati di un fardello che rende la vita intollerabile, sostituendo la «pienezza» del Padre e la sua perenne saldezza con «un qualcosa di flaccido...». Di fronte al gelido eunuchismo parabolaio del Vangelo, lo scrittore gemente ripensa con furiosa nostalgia al canti¬ co odoroso della bella Sulamita, all'Arpa di Davide e alla lira di Apollo. O mira più avanti, verso un oltretomba che deve restituire la libertà dell'anima-farfalla dal peso del corpo-bruco: non l'incubo del ricatto cristiano della morte sulla vita, ma la gioia di una promessa d'eternità, fascino della vita stessa. E' la religione dell'Apocalisse, di popoli avviati ancora «cantando un cantico nuovo» verso l'Albero della vita. Rozanov intona come Schiller un inno alla Gioia mentre tutto intorno a lui crolla nel e per il vuoto colossale aperto dal cristianesimo nell'umanità europea, privata del suo «contenuto antico». La sua Divina commedia, contenuta nell'ottavo e nono fascicolo dell'Apocalisse, suona cosi: «Una cortina di ferro code sulla Storia Russa, stridendo, cigolando, sbattendo. - La rappresentazione è finita. - Il pubblico si alza. - E'ora di infilare la pelliccia e di rientrare' a casa. - Ci si volta. Non vi sono più pellicce, né case». Mentre invoca un pugno di polenta e cinque uova sode per salvare la sua giornata, Rozanov mira spuntare di lontano «qualcosa soffuso d'oro nel futuro della Russia». Negli ultimi giorni della sua vita stremata intravvede «qualcosa di decisivo» per l'Europa e lascia indietro la Croce odiato-amata per il sarcofago della mummia egizia, dove riposa la crisalide destinata a essere l'uomo-farfalla. Carlo Carena
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