La città sul divano dello psicoanalista
La città sul divano dello psicoanalista Ottieri guarda con la lente del paradosso La città sul divano dello psicoanalista Ottiero Ottieri: «Di chi è la colpa», ed. Bompiani, pag. 165, lire 5000. La strategia creativa di Ottiero Ottieri ha attraversato con bella mobilità molti generi: il romanzo, il saggio, la commedia, il diario, il poema narrativo, per approdare ora a questi dialoghi, dieci per l'esattezza, e tutti omogenei. Coerentemente con le sue inclinazioni di osservatore del costume, goloso di «tutte le visioni del mondo», Ottieri non vi dibatte astratte questioni universali sulla natura umana, come vuole la illustre tra-' dizione dell'operetta morale, ma parte ancora una volta per una ricognizione di quel garbuglio di nevrosi vere e simulate, esibizionismi e angosce, rovelli e scioccherie, smarrimenti e inganni in cui siamo abituati a muoverci. Abolendo le descrizioni ambientali e i tempi morti dell'azione, sottendendo le psicolo-, gie al gioco quasi elettronico delle battute, Ottieri vuol concentrarsi sul puro piacere di inseguire qualche verità, sia pure provvisoria e sgradevole. Lo strumento rivelatore sarà la lente del paradosso, con le sue aggressioni verbali, le sottigliezze sofistiche, gli affondo ironici e autoironici. Le voci recitanti sono quelle della Milano ricca e colta che ama ancora esibirsi nelle Capannine versiliesi e affolla i divani degli analisti con stizza crescente: il playboy patito del footing, la pittrice concettuale che in cambio di velleità. di suicidio cerca la rissa con un Telefono Amico, il giovane artista e la giovane sindacalista che sublimano un amplesso mancato con una partita di scherma sull'impegno dell'intellettuale verso le masse, varie coppie di scrittori ansiosi che cercano di armonizzare arte e vita. Tutta una società senza padri, che invano si affanna a spremere certezze e consigli da quelli che per professione fanno finta di avere capito tutto; e che invece, delusa nelle sue aspettative, si aggrappa disperatamente alle tavole ormai fradice del monologo radical-chic. E' diffici-, le che tra i sicuri e gli insicuri si instauri un dialogo autentico: tutti stanno catafratti nel loro ruolo. Il poeta-scrittoresociologo nel suo masochismo di imbranato, gli altri, gli uomini di mondo, i maestri di traffici e di concretezza, gli psicoanalisti e gli amministratori, non arrischiano mai il loro potere e il loro sapere in un soccorso autentico: lo vendono, e subito lo ritraggono con feroce impassibilità corporativa. Il privato non si sai-, da mai nel collettivo: di qui il continuo rincorrersi e lasciarsi di queste monadi. Nel gran ciarlare che qui si fa di Dio, Marx e Freud, di viaggi frenetici, metropoli inabitabili, amori precari. ideologie ed economie, di coazione a ripetere, istinto di morte e psicosomatica, è il dramma dell'insicurezza che si recita malgrado ogni possi-, bile lusinga del discorso. E tuttavia il piacere dell'intelligenza conferisce all'intreccio delle voci un sostanziale otti-mismo, l'allegria di una indagine in perpetuo divenire. Ot-; tieri sa bene che l'unica salvezza consiste proprio nel continuare a osservare e rap-, presentare questa -società turbolenta e statica». Ci sono più intuizioni in questa sua effervescente musica da camera che nei marchingegni colossal di una sinfonia. Ernesto Ferrerò
Persone citate: Ernesto Ferrerò, Freud, Marx, Ottieri, Ottiero Ottieri
Luoghi citati: Milano
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