Carli «predica» la libertà dì scelta e attacca lo strapotere del Palazzo

Carli «predica» la libertà dì scelta e attacca lo strapotere del Palazzo Il discorso all'assemblea annuale della Confindustria Carli «predica» la libertà dì scelta e attacca lo strapotere del Palazzo ROMA — Ieri, all'assemblea della Confindustria, Guido Carli ha assunto ancora una volta il «compito di predicatore», per parlare a favore della «libertà legale di scelta»: del lavoro per il lavoratore, dei consumi per i consumatori. Ha parlato a un Paese «maturo», sempre più insofferente, egli ha detto, dei vuoti verbalismi, per ammonire che, se non s'invertisse il corso d'una legislazione che ha spinto incessantemente verso l'estensione del potere pubblico, «sarebbe impossibile mantenere intatti i connotati d'una società nella quale sopravvivano le libertà individuali». Il presidente della Confederazione degli industriali privati italiani ha toccato molti temi, di cui si parla ampiamente in prima pagina, ma tutta l'ultima, e direi più sonante, parte della sua relazione, è stata un atto d'accusa a quella che egli definisce una continua, sempre più estesa e allarmante appropriazione da parte dello Stato dei «meccanismi rivelatori della domanda», per sostituirsi ai singoli nella formulazione dei loro desideri. Non c'è, in questo atto d'accusa, un ripensamento della necessità, riconosciuta, d'una programmazione dell'economia. C'è, invece, una netta distinzione tra una politica economica, di cui il Paese ha bisogno, e una programmazione disarticolata, che non persegue alcun intento di coerenza con le risorse e gli interessi del Paese, delineati nel piano triennale, non tenta neppure di risolvere i problemi del Mezzogiorno, dell'occupazione, del disavanzo pubblico, e finisce per sostituire, alla libertà di concorrenza e alla stessa eguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi, lo strapotere del «palazzo» e l'arbitrio dell'interprete, di fronte alle contraddizioni e all'inde¬ terminatezza delle leggi. In quella «seconda Repubblica» che Carli sembra aver tratteggiato nella sua «predica» di ieri (il ricordo delle «Prediche» di Luigi Einaudi è palpabile, come la speranza che non siano altrettanto «inutili»), c'è una caratteristica di fondo: l'invito, che vale per tutti, a riconoscere che la nostra economia «non soffre di troppo mercato, ma di troppo potere pubblico». E l'invito è sorretto da molti dati di fatto : dall'accentramento nel settore pubblico del potere di decidere la destinazione di due terzi del credito disponibile (la quota affluita direttamente al settore privato scenderà nel 1979 ad appena il 34 per cento del totale), alla mancanza di qualsiasi elemento di concorrenza nella conduzione degli enti che esercitano pubbliche funzioni. Guido Carli si rende conto, ovviamente, che il suo intervento potrebbe essere interpretato come un tentativo di contrapporre, «astrattamente», una economia in cui è lecito tutto ad una nella quale nulla è lecito. E precisa, su questo punto, che si tratta, invece, di adattare l'ordinamento giuridico alle mutate condizioni d'una società, «nella quale l'evoluzione della tecnologia spinge in direzione opposta a quella del dispotismo burocratico». Oggi, egli aggiunge, siamo, o crediamo di essere, in un'economia mista, dove accanto all'impresa privata esiste l'imprenditore pubblico. Ma la sopravvivenza di quest'economia mista diventa impossibile, sottolinea Carli, se non c'è parità di trattamento per l'imprenditore pubblico e per quello privato, quando essi svolgono attività in concorrenza tra loro. «L'aspirazione a cambiare è diffusa nel nostro Paese», ha detto ancora Carli, autorizzando, a questo punto, i commentatori a parlare di un'aspirazione a una «seconda Repubblica», di tipo più occidentale, più in linea con quelle scelte che gli industriali privati hanno accettato negli ultimi tempi, e che il loro presidente non ha esitato, ieri, a identificare con quella «strada maestra della libertà commerciale», che sessant'anni fa esatti, nel maggio 1919, Antonio Gramsci indicava, dalle colonne del giornale «Avanti!». La citazione può apparire, e in effetti è, un po' audace. Carli l'attualizza ai tempi nostri, indicando, di questa strada maestra, le varie corsie : aumento delle esportazioni, anche nei mercati più difficili, per compensare la flessione della domanda interna; adesione immediata al Sistema monetario europeo; sostegno dei principi ispiratori del piano triennale 1979-1981: difesa del margine di autonomia necessario, affinché le aziende possano svolgere la loro funzione economica e sociale. Carli non ha fatto un discorso elettorale, per la consultazione nazionale del 3 giugno, né per quella europea del 10. Ha detto soltanto, convinto di parlare a un Paese maturo, che il compito di ricondurre gli ordinamenti giuridici alla coerenza con i principi della libertà può essere assolto, con maggiori prospettive di successo, da maggioranze parlamentari d'ispirazione comune, e che, al fondo di quella strada maestra da seguire, ci sono l'Europa, il benessere e la libertà. Non c'è dubbio che la meta sia interessante. Ma per una predica può essere sufficiente indicare una meta, un mondo migliore. La realtà, come sempre, è più articolata, e meno facile da plasmare. Mar-o Sa,vatorelli

Persone citate: Antonio Gramsci, Carli, Guido Carli, Luigi Einaudi

Luoghi citati: Europa, Roma