Salvi dopo due notti gli alpinisti bloccati dalla bufera sulla Brenva di Renato Rizzo

Salvi dopo due notti gli alpinisti bloccati dalla bufera sulla Brenva Hanno trascorso ore drammatiche in un crepaccio del Bianco Salvi dopo due notti gli alpinisti bloccati dalla bufera sulla Brenva Ricoverati con sintomi di assideramento - I tre scalatori di Genova sono stati soccorsi sul ghiacciaio, all'alba, da un elicottero francese e trasportati all'ospedale di Chamonix DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CHAMONIX — E' finito ieri alle 12 l'incubo per i tre alpinisti genovesi bloccati da lunedi mattina sullo sperone della Brenva nel massiccio del Bianco mentre stavano tornando a valle dopo una scalata. Un elicottero della gendarmeria francese, approfittando di una breve calma di vento nella bufera che da giorni imperversa sulle montagne, li ha salvati quando già i giovani (uno è anche ferito a una spalla) presentavano segni di congelamento alle gambe e temevano di essere stati abbandonati sul ghiacciaio. Ora Lino Calcagno, Serafino Grisoni e Sergio Casaleggio sono ricoverati all'ospedale di Chamonix: le loro condizioni non sono gravi ma, sui volti bruciati dal vento, si legge ancora la paura che li ha attanagliati in queste tre notti passate prima in un crepaccio, poi in una specie di igloo scavato con le piccozze. Ecco il loro racconto, il film del dramma appena concluso. Ricorda Casaleggio: «Siamo arrivati a Courmayeur domenica. Con noi c'erano anche Ferdinando Dotti, 29 anni, e il fratello di Lino Calcagno, Gianni, dì 39 anni, che ha già partecipato a importanti spedizioni sull'Annapurna e nell'Indukush: un veterano». I cinque alpinisti volevano compiere la scalata per verificare le loro condizioni d'allenamento in vista di un impor- tante impegno che dovranno sostenere tra qualche mese su una montagna pakistana. Ancora Casaleggio: «Il tempo era splendido, quando, a mezzanotte di domenica, abbiamo incominciato l'ascesa sotto le stelle. Alle dieci del mattino successivo eravamo in vetta: un percorso relativamente facile anche se compiuto in condizioni quasi invernali per il ghiaccio e l'abbondante neve fresca». Le condizioni meteorologiche, però, peggiorano improvvisamente proprio quando gli alpinisti decidono di tornare a valle: raffiche di vento rabbioso, nebbia, «Un inferno — ricorda ora Casaleggio —. Brancolavamo come ciechi in un mulinare di neve, non si vedeva a più di un metro». Legati l'un l'altro, ombre nere dentro la bufera, i cinque compagni genovesi raggiungono un crepaccio poco profondo e si calano. E proprio in questo momento Gianni Calcagno scivola sul ghiaccio per tre-quattro metri trascinan- o e o l e i a — . n i e e n r - r o e e e o i , o e e e e ra el ne n do nella caduta anche il fratello: un urlo, la corda strazia una spalla di Lino. Arriva la notte e nella fessura della roccia i cinque uomini tentano invano di dormire attanagliati da un freddo feroce. Il mattino, una leggera schiarita. Il gruppo vuole riprendere la discesa, ma' Lino Calcagno non è in grado di camminare. «La spalla gli doleva — spiega oggi Serafino Grisoni —, aveva la vista annebbiata». Il tempo, intanto, peggiora a poco a poco e Gianni Calcagno, in compagnia di Dotti, decide di tentare ugualmente di raggiungere l'Aiguille du Midi: i due si liberano degli zaini e di tutta l'attrezzatura da roccia per poter camminare più rapidamente. La bufera li coglie ancora una volta, terribile e violenta: impiegheranno sette ore per scendere al rifugio Torino. I tre alpinisti rimasti sulla Brenva incominciano a vivere la loro seconda notte all'addiaccio. Casaleggio e Grisoni con le piccozze scavano nel ghiaccio e, dopo ore di lavoro, riescono a ricavare una specie di piccolo igloo in cui ripararsi: «C'erano solo il freddo e l'ululato del vento. Lino si lamentava per il dolore. E'stato duro fargli coraggio e. nello stesso tempo, fare coraggio anche a noi stessi. L'alba ci ha colti con gli occhi spalancati in attesa di qualcosa che non arrivava: un richiamo, il rombo di un elicottero». II cielo resta plumbeo per tutto il giorno mentre i tre si massaggiano vicendevolmente: il freddo incomincia ad attanagliare le gambe e le mani, è sempre più difficile muoversi. Sono i momenti in cui chiunque conosca la montagna teme di addormentarsi e non svegliarsi più. Nella minuscola capanna di neve ci si incoraggia: «Appena si schiarisce un po' arriveranno a salvarci, è una questione di ore». Ma le ore si sommano alle ore e scende un'altra notte: Calcagno, Casaleggio e Grisoni riescono, fondendo la neve in un pentolino, a farsi un brodo, mangiano qualche tavoletta di cioccolato. Nessuno riposa, ora anche la speranza comincia a vacillare. E' mattina, ancora. Casaleggio, il più in forze, esce sul ghiacciaio, stende a terra teli colorati e corde: «Voterò in quel modo — spiega ora nel suo letto d'ospedale — facilitare il compito dell'eventuale elicottero che ci fosse venuto a cercare». Le 12: la bufera si è un po' placata, si riesce a scorgere l'azzurro fra i turbini di neve. Ecco un ronzio lontano che diventa a poco a poco più forte: gli alpinisti si sbracciano per attirare l'attenzione del velivolo della gendarmeria che viene a recuperarli. Sale nell'abitacolo per primo Lino Calcagno, con la spalla fasciata alla bell'e meglio, seguito, da Serafino Grisoni. Un secondo volo, dieci minuti più tardi, porta a Chamonix anche Sergio Casaleggio. E ora? «Tra pochi giorni — dicono gli alpinisti genovesi con le fleboclisi nell'avambraccio — saremo di nuovo a casa. Quest'avventura ci ha confermato che siamo ben allenati. Se fossimo partiti in altre condizioni fisiche, forse, non ne saremmo usciti vivi». Si guardano l'un l'altro: c'è da scommettere che pensano a quella cima del Pakistan che dovranno scalare fra qualche mese. Renato Rizzo

Luoghi citati: Courmayeur, Genova, Pakistan, Torino