I pittori jugoslavi guardano all'Europa di Francesco Vincitorio

I pittori jugoslavi guardano all'Europa IN RASSEGNA A ROMA OPERE DEGLI ULTIMI VENT'ANNI I pittori jugoslavi guardano all'Europa ROMA — Approda a Roma, alla Galleria nazionale d'arte moderna, dove è aperta fino al 20 maggio, la mostra «Arte jugoslava d'oggi». E' già stata presentata in varie città europee, andrà poi a Genova e a New York. Rientra nell'ambito dell'accordo culturale italojugoslavo e, come ogni manifestazione ufficiale, ha molti pregi e molti difetti. I pregi sono il buon livello delle opere (quasi tutte di proprietà di musei) e la serietà e competenza dei curatori. I difetti: l'obbligo della rappresentatività, vale a dire la necessità politica di dosare presenze e tendenze. Inconveniente tanto più sensibile in una Repubblica composita qual è la Jugoslavia. Bilanciare scelte rigorosamente critiche e l'esigenza di non trascurare nessuna «nazionalità» non è stato facile. Comunque è. senza dubbio, una buona occasione per conoscere una interessante pagina di arte contemporanea. Dove, per prima cosa, risaltano i collegamenti strettissimi con le ricerche svolte nel re¬ sto d'Europa. Specialmente con quelle portate avanti nel nostro Paese. La mostra è limitata agli ultimi due decenni e. quindi, tali legami sono documentati soltanto a partire dagli inizi degli Anni 60. Tuttavia balza evidente —basti citare Marino Tartaglia, un anziano pittore di Zagabria, vissuto a lungo in Italia, vicino ai futuristi — come questi contatti siano profondamente radicati. Si avverte, cioè, una specie di consonanza che, in certi momenti, diventa intensissima. Come, per esempio, durante quell'esperienza che fu chiamata «Nuove tendenze», subito dopo l'ondata «informale». Purtroppo la quantità limitata delle opere esposte per ciascun artista (un paio a testa) non consente di approfondire bene questo momento. Ma. con un po' di attenzione, è possibile cogliere l'importanza di questa posizione neo-costruttiva che accomunò vari gruppi europei e. soprattutto, italiani e jugoslavi. Zagabria era diventata luogo d'incontro abituale e lo scambio di esperienze si protrasse per alcuni anni. Fontana, Manzoni. Castellani e i gruppi T e Enne divennero familiari in Jugoslavia. E altrettanto accadde da noi per Picelj. Knifer e il gruppo OHO. Senza contare le altre occasioni di contatto, quali il Morgan's Paint a Rimini e le Biennali veneziane che fecero conoscere al nostro pubblico Olga Jevric e Dzamonja, Murtic e Gliha. Oppure il Premio Marzotto e le rassegne «alternative» di L'Aquila che rivelarono il lavoro di Stupica, Srnec e Velickovic. In definitiva un fitto intreccio di relazioni che. però, non divenne mai appiattimento e indefinito internazionalismo. Anzi forse servi a mettere in luce una particolare, specifica connotazione, sia pure nella diversità dei singoli artisti. Potremmo definirla un'assorta gravità, tangibile, per esempio, nelle pitture di Protic, di Bernik e di Damnjan ma. a mio parere, comune a parecchi altri artisti jugoslavi. Una minore irrequietezza ed effervescenza rispetto ad altre situazioni europee ma una ricerca forse più grave e pensosa. Che è poi, mi sembra, una caratteristica anche delle ultime tendenze, ossia quelle delle aree comportamentistiche e concettuali. Valgano i nomi, noti pure in Italia, di Dimitrijevich e della Abramovic o quelli dei giovanissimi Trbuljak e Todosijevic. In tutti, più o meno, questa particolare gravità e pensosità, questa disposizione alla meditazione. Probabilmente, anche per questo, più difficile a capirsi attraverso una rassegna antologica. Troppe le tentazioni alla scorsa superficiale, mentre il rapido susseguirsi di opere di autori diversi impedisce quel contatto profondo che queste ricerche richiederebbero. Sennonché, per far ciò. occorrerebbero altri strumenti, altre strutture. Proprio quelle di cui una manifestazione ufficiale non è e non può essere che l'introduzione. Francesco Vincitorio

Persone citate: Abramovic, Castellani, Fontana, Manzoni, Murtic, Olga Jevric, Velickovic