Amarena e protesta tra gli agenti in prima linea contro i brigatisti

Amarena e protesta tra gli agenti in prima linea contro i brigatisti Amarena e protesta tra gli agenti in prima linea contro i brigatisti «Non vogliamo morire», hanno gridato ieri gli equipaggi delle volanti nel cortile della questura di Roma - «Alle vittime danno una medaglia alla memoria e tutto resta come prima» ROMA — «Tutto quello che faranno sarà mandarci un'altra corona», «Ci ammazzeranno tutti», «Basta, non vogliamo morire» — gridano gli equipaggi di alcune volanti allineate nel cortile della questura. Da poco è morto un altro poliziotto, il brigadiere Antonio Mea; un secondo, l'agente Piero Ollanu, sta morendo e un terzo, Vincenzo Ammirata, è grave. Di fronte alle vittime di un nuovo criminale attentato esplode la rabbia di un corpo dello Stato che sta pagando al terrorismo un tributo di sangue sempre più alto. E' la rabbia impotente di oltre ottantamila uomini provati dalla sfida di un terrorismo che è tornato a colpire assumendo le forme dì una vera e propria guerriglia urbana, davanti alla quale tutti si sentono indifesi. Le «reazioni sdegnate», la «commossa solidarietà per le vittime innocenti», «l'alto prezzo pagato dalle forze dell'ordine nell'adempimento del loro dovere», le «espressioni di cordoglio» che piovono a valanga in questi frangenti vengono respinte, cosi come gli inviti a mantenere la calma che i dirigenti della questura e dei commissariati rivolgono agli agenti. Il feroce attentato di ieri ripropone in termini drammatici lo stato di esasperazione di migliaia e migliaia di poliziotti. «Ora il Presidente ci manda una corona e tutto finisce», si sfoga un appuntato. « Una medaglia alla memoria, tante corone, un bel funerale dì Stato e poche decine di migliaia di lire di pensione alla vedova — incalza un sottufficiale —. Poi, fra un paio di giorni, dì Antonio Mea non si parlerà più. Dal governo ci verranno le solite promesse di maggiore tutela delle forze dell'ordine e tutto rimarrà come prima». Nello scoramento dei poliziotti emerge una crescente sfiducia verso le istituzioni. «Da oltre dieci anni ci promettono la riforma della polizia — ricorda un vicequestore —. Abbiamo chiesto una riforma del corpo di pubblica sicurezza come avvio di una riforma generale e, quindi, come avvio di una strategia diversa nel- l'intero settore della politica dell'ordine pubblico. E, invece, la riforma è stata circoscritta, con il rischio di esaltare soltanto la prospettiva rivendicativa. Stiamo tornando a norme che legittimano prassi autoritarie, si levano barriere per evitare che il contagio sindacale passi dalla pubblica sicurezza agli altri corpi di polizia». Per la maggior parte, i poliziotti sono figli del Sud. Spesso si sono arruolati per fame. Di questi, oltre la metà è provvista soltanto della licenza elementare: quando nei bandi di concorso, con l'avvento della scuola dell'obbligo, il ministero dell'Interno ha preteso il titolo di scuola media, le domande d'ammissione si sono bruscamente ridotte. E hanno cominciato poi ad aumentare di nuovo di pari passo con la crisi economica di questi anni. Forse perché chi sceglie di vestire i panni scomodi dell'agente si ricorda bene del milione e seicentocinquantamila disoccupati ammessi ufficialmente dal ministero del Lavoro. Da sola, la Campania, la regione in cui era nato Antonio Mea, 35 anni, napoletano, padre di due bambine di dieci e sette anni e di un maschietto di tre, ha riempito oltre un quarto delle caserme e degli uffici dei nostri tutori dell'or-, dine, cosi come la Sardegna, di cui è originario Piero Ollanu, 26 anni, e la Sicilia in cui è nato — a Palermo 25 anni fa — Vincenzo Ammirata, sposato e padre di una bimba di un anno. Soltanto l'un per cento dei poliziotti proviene dalle zone maggiormente industrializzate come la Liguria e il Piemonte (due per cento). Cosa si può dedurre da questo quadro d'insieme? Che arruolarsi nella polizia è ancora — e anzi sempre di più —il rifugio da una vita fatta di stenti. Nel Meridione, le cifre ufficiali affermano che al di sopra dei quindici anni il tasso di analfabetismo è superiore al dieci per cento e un'indagine svolta tra un vasto campione di agenti di pubblica sicurezza ha accertato ■ che il quarantuno per cento è figlio di operai, il ventiquattro di contadini, il dodici di pensionati; impiegati, piccoli commercianti e artigiani hanno dato i natali al rimanente ventitré per cento. Dunque, già per loro natura i tutori dell'ordine costituiscono il prodotto della classe più povera del Paese. Secondo il direttore di Nuova polizia. Franco Fedeli, uno dei più appassionati protagonisti della battaglia per la sindacalizzazione della Ps, il problema dell'incolumità del tutore dell'ordine «non può essere ancora impunemente sottovalutato». «Occorre — ha detto — che egli sia messo in grado di espletare la sua funzione dopo avergli garantito quelli che si definiscono come i limiti della sicurezza. Vogliamo denunciare, con forza e rabbia insieme, tutti quei ritardi che in questi tre anni hanno determinato l'attuale situazione di pericolo per la sicurezza pubblica. Occorre rimuovere prontamente le cause di questa grave crisi che coinvolge tutte le forze di polizia, per garantire la sopravvivenza della Repubblica» Giuseppe Fedi - Roma. Colleghi del brigadiere Antonio Mea e dei due feriti sul luogo dell'attentato (Tel. Ansa)

Luoghi citati: Campania, Liguria, Palermo, Piemonte, Roma, Sardegna, Sicilia