Così Elio Vittorini scoprì il vetriolo di Mastronardi
Così Elio Vittorini scoprì il vetriolo di Mastronardi LO SCRITTORE CHE SI E' TOLTO LA VITA Così Elio Vittorini scoprì il vetriolo di Mastronardi VIGEVANO — I funerali di Lucio Mastronardi sono stati celebrati ieri pomeriggio. Il feretro è stato tumulato nella tomba di famiglia, dove già riposano i genitori dello scrittore. n riconoscimento ufficiale della salma di Mastronardi. recuperata domenica pomeriggio nelle acque del Ticino, era avvenuto all'obitorio del cimitero, alla presenza della vedova, Lucia Lovati, della sorella Letizia e di due nipoti. «Sono un giovane di 25 anni, e da almeno dieci mi interesso di letteratura... Verga, Pirandello, lei. Hemingway. Steinbeck, VAmericana... Da cinque anni scrivo e leggo, leggo e scrivo. Scrittori si nasce, ma bisogna anche diventarlo, dicono. La settimana scorsa sono venuto a cercarla, e non l'ho trovata. Avevo con me sette racconti Cosi scriveva a Vittorini nel 1956 Lucio Mastronardi, insegnante elementare a Vigevano, e spiegava i motivi per cui sollecitava un incontro: la funzione maieutica del Politecnico e dei Gettoni eìnaudiani. l'affinità che sentiva con l'esperienza letteraria dell'autore di Conversazione in Sicilia, e con passata militanza comunista. A Vittorini più di quei racconti ancora grezzi piacevano le lettere che li accompagnavano e narravano con freschezza la frenetica città dei calzolai, formicaio di traffici e di frustrazioni, nuova frontiera di un boom ingordo. Proprio da quelle lettere, e dalla pedagogia rude e affettuosa di Vittorini prese corpo Il calzolaio di Vigevano, cut nel 1959 toccò aprire il primo numero del Menabò, «quadro della letteratura in movimento». Vittorini lo presentò con entusiasmo come «caso più unico che raro in cui una situazione locale e sociale si trasforma in ritmo narrativo, in un linguaggio, nella invenzione di un mondo grottesco, infernale»; gogoliano. tanta era la virulenza di quella allegria caricaturale. Nel gran discutere che si faceva allora di lingua e dialetto, di Gadda. Pasolini e Testori, Mastronardi divenne immediatamente cavia e pioniere. Piaceva «lo straordi¬ nario brio, fisiologicamente ottimistico» (Contini) del suo «barbarismo» linguistico, il risentimento provocatorio che agitava la rappresentazione di quel brulichìo di talpe e castori, di burocrati e di piccolo-borghesi assatanati dal miraggio del guadagno. Toccò poi alla scuola, di cui aveva una diretta e fin rancorosa esperienza, fare le spese del vetriolo di Mastronardi (1\ maestro di Vigevano, 1962), che completava il trìttico col Meridionale di Vigevano. uscito sempre da Einaudi due anni dopo. Qualcuno cominciò a dire che il successo aveva annacquato la rabbia genuina dello scrittore, che doveva già fare i conti con l'ambiente cittadino, un po' invido e malevolo verso il dissacratore. «Sono pieno di paura e di catrame»/ Il grido del maestro Mombelli non abbandonerà Mastronardi. costretto a cercare nuovi temi, come il grigiore alienante del ménage coniugale, il difficile rapporto con i figli (A. casa tua ridono, 1971). Insofferenze e scaramucce hanno segnato malinconicamente la parabola di uno scrittore che si sentiva dimenticato, o guardato con l'imbarazzata compassione che si porta agli «ex». Dicono che a dettargli il suicidio sic stata la consapevolezza di una grave malattia. Può darsi, ma forse c'entra anche l'onestà dell'adolescente ansioso che era rimasto in lui e che alla fine, per non tradirsi. Ila prolungato l'opera letteraria in un ultimo gesto di sfida a suo modo esemplare. Ernesto Ferrerò
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