I tre russi e l'Occidente di Frane Barbieri

I tre russi e l'Occidente L'enigma dell'Unione Sovietica I tre russi e l'Occidente Gli economisti americani avevano pronosticato tempo fa un collasso dell'economia sovietica. Cifre alla mano sostenevano che il mastodonte sovietico, privo di meccanismi adeguati (tecnologia e mercato), avrebbe dovuto ingolfarsi nello sforzo di tenere il passo della vertiginosa gara strategica. Politologi e sociologi prevedevano allo stesso tempo una crisi morale e civile della società sovietica intravedendone germi nel dilagante fenomeno della diffidenza. Occorre tempo per verificare quanto simili pronostici fossero esatti. Sta di fatto, tuttavia, che finora ben pochi indizi li stanno confermando. L'Unione Sovietica è in crisi da quando esiste. E su questo tutti i sovietologi avevano ragione. Mai però la crisi è andata a sfociare secondo le loro previsioni. Cosi a tutt'oggi rimane irrisolto l'enigma dell'effettiva potenza sovietica. Sempre più vicina e ancora tanto sconosciuta: potenza sottosviluppata, gigante dai piedi di argilla o dominatrice del futuro? Sta per espandersi, sfruttando le contraddizioni del resto del mondo, o sta per essere travolta dalle sue proprie contraddizioni? Nel cercare una risposta si applicano per io più le formule di giudizio vigenti nella civiltà occidentale. E si arriva alla conclusione che il modo sovietico di vivere e di svilupparsi non potrebbe essere accettato in Occidente, senza essere imposto con la forza. Un giudizio scontato che confonde però le risposte al quesito fondamentale: è sempre per l'Urss debolezza tutto quello che per l'Occidente risulta inaccettabile? C'è per esempio un parametro caratteristico delle civiltà industriali, usato come misura della potenza economica, il quale, se assolùtizzato, porta a conclusioni errate. Si tratta del cosiddetto prodotto prò capite. I sovietici non Io denunciano pubblicamente, ma ormai risulta appurato e stabilito che un cittadino sovietico riesce a produrre circa tre volte meno di quanto producono i cittadini dei Paesi occidentali più industrializzati. E' da considerarsi con ciò la potenza sovietica tre volte più debole di quelle occidentali? Qui sta il problema e qui spesso sta anche l'inganno. La potenza strategica e la potenza politica non sempre sono proporzionali al volume del prodotto lordo o della produttività prò capite. Il ritardo sovietico riguarda le tecnologie e l'organizzazione dell'economia. La macchina industriale occidentale risulta tre volte più veloce. Dove lavora un occidentale, i russi devono stare in tre. Però c'è anche il fatto che i sovietici si prendono un salario da quattro a cinque volte più basso e che il loro consumo corrente è di almeno quattro volte minore rispetto a quello occidentale. La macchina tecnologicamente sofisticata «che fa tutto», pili un lavoratore occidentale, contro la macchina rudimentale che non sa fare tutto, più tre lavoratori sovietici danno come effetto strategico risultati che non si differenziano esattamente di tre volte. Non si equivalgono nemmeno, ma sarebbe un errore ed un rischio concludere meccanicamente che la potenza sovietica sia di tre volte più debole. Tutto dipende dalla disponibilità dell'uomo, che deve rinunciare a tre quarti dei propri consumi per garantire il pareggio strategico. Se il cittadino sovietico fosse disponibile al sacrificio quanto lo è oggi quello occidentale, il distacco probabilmente sarebbe ancora di tre lunghezze. Ma è proprio a questo punto che il parametro dell'efficienza prò capite viene sconvolto. L'occidentale produce tre volte di più mentre il sovietico lo compensa sacrificandosi quattro volte di più. Tra una società in cui ciascuno chiede di avere più di quanto offre, come quella occidentale, ed un'altra società che per regola dà al suo cittadino molto meno di quanto da lui chiede e riceve, come quella sovietica, è impossibile stabilire una simmetria. C'è da constatare soltanto che per un sovietico risulta accettabi: le quello che un occidentale non è disposto ad accettare e che in questo divario finiscono per equipararsi le potenze che. meccanicamente giudicando, potrebbero apparire tanto differenti ed ineguali. La potenza russa, piuttosto che in base agli indici di efficienza, va misurata in base agli indici di resistenza e disponibilità al sacrificio del cittadino sovietico. E questi meno che mai possono essere indici occidentali. Qui arriviamo a dimensioni pili astratte, quasi metafisiche, non commisurabili agli, esatti termini aritmetici (benché per un altro paradosso fossero proprio i dirigenti sovietici a cercar di esprimere tutto in cifre del piano). Molto spesso, anche in base ad una lettura troppo sillogistica degli scritti di Solzenicyn ed altri esponenti del dissenso spirituale russo, in Occidente si è arrivati a identificare la debolezza del sistema sovietico nella forte carica mistica tuttora dominante nell'anima e nella conformazione psicologica dei russi. La spiritualità, la religiosità, la componente mistica di tutta la tradizione, russofila e slavofila, per molti versi estranea al marxismo, vengono intese come altrettanti fattori di logoramento del sistema sovietico: sorgenti inesauribili di una opposizione interna strisciante. Anche qui, quello che sembra logico in Occidente diventa meno logico nell'Unione Sovietica. Il regime, infatti, è riuscito ad assorbire nella sua dottrina pratica tanto di marxismo quanto di misticismo russo. Il partito si è sostituito alla chiesa ortodossa come potere temporale e spirituale, anzitutto in quanto anch'esso rappresenta l'incarnazione della potenza nazionale storica. La chiesa ortodossa nella Russia è nata e si è rafforzata diventando chiesa nazionale, espressione della grande patria. Il partito comunista, nella sua liturgia propagandistica, nelle sue insegne, negli idoli, nelle icone, nell'architettura non ha fatto che ricalcare l'armamentario con cui la chiesa coltiva il subcosciente russo. I testi del partito vengono letti come vangeli, le assemblee sembrano funzioni religiose, la coreografia delle manifestazioni e dei cortei è quella delle processioni. Al centro del mistero sovietico non sta una cattedrale, un «sabor», sta un mausoleo. La roccaforte del potere sta ancora dietro alle antiche mura del Cremlino. L'arma più forte e drastica del potere della chiesa è passata nelle mani del partito: la scomunica. Anche da qui prende lo spunto la capacità, del regime a chiedere e strappare sacrifici necessari per compensare l'inefficienza tecnica. Una visione europea del marxismo si sarebbe scontrata per forza con il misticismo russo. Dall'interpretazione russa è scaturita invece una confluenza che senz'altro indebolisce il socialismo ma rafforza il regime sovietico. Succede cosi anche con il nazionalismo. Il potere sovietico si sarebbe trovato in conflitto con le profonde spinte nazionalistiche, tuttora dominanti nel grande Paese, se non le avesse in buona parte assorbite. La potenza sovietica non rinnega la grande potenza russa, anzi è riuscita ad esaltarla. Il tradizionalista russo, anche quando è intimamente avverso al sistema, lo appoggia nel momento in cui identifica nell'Urss il veicolo delle aspirazioni storiche della madre Russia. E questo gli succede sempre più spesso. Anzitutto quando si trova confuso nelle masse, materialmente e culturalmente frustrate, ma dominate ancora di più da un nazionalismo istintivo e viscerale. Il dissenso ha poche probabilità di prendere piede in un simile contesto. La civiltà europea si è trovata tante volte sconvolta da civiltà di cui non ha saputo valutare la forza, applicando meccanicamente i criteri di un angusto eurocentrismo. Poi magari è successo che l'Europa ha finito con l'europeizzare le civiltà che l'hanno travolta. Difficile dire se stia per essere sommersa da quella sovietica: ad ogni modo si può constatare che le mancano parametri adeguati per valutarla e sostenerne debitamente il confronto. Frane Barbieri

Persone citate: Solzenicyn

Luoghi citati: Europa, Russia, Unione Sovietica, Urss