Il nudo? E' un corpo con vestiti invisibili di Angela Bianchini

Il nudo? E' un corpo con vestiti invisibili SIMBOLI E MISTERI DELLA MODA Il nudo? E' un corpo con vestiti invisibili Dopo la decapitazione di Luigi XVI, andò di moda un cappellino ornato da velo, che era giulivamente definito «alla morte del re»: creato a Parigi, lo importarono in Italia le nobildonne milanesi. Erano le stesse che, per seguire un'altra moda, «alla ghigliottina», si cingevano il collo nudo con un nastro rosso, così muovendo a sdegno il Parini: «Lascia, mia Silvia ingenua. I Lascia cotanto orrore I all'altre belle, stupide I E di mente e di core". Ma non sempre le milanesi meritarono simili rimbrotti: mezzo secolo dopo, le ballerine della Scala sfoggiavano una medaglia con il ritratto di Pio IX. simbolo di sentimenti italiani e liberali. In quella occasione, quando per l'influenza della prima ballerina. Fanny Elssler la medaglia fu proibita. le ragazze avvertirono i loro ammiratori, e questi, sfidando il furore delle centi, naia di ufficiali austriaci presenti in sala, salutarono «con sonorissimi fischi» la comparsa della celebre danzatrice La moda è dunque politica, e lo è sempre stata: come oggi gli eskimo, in altri tempi, barbe e baffi erano i «segni» di un codice comprensibile a tutti, e pregno, perciò, di pericoli. Ma la moda è anche geografia, commercio, scambi, economia: dal Medioevo in poi. praticamente da quando i veneziani e gli amalfitani, i genovesi e i lucchesi si assicurano la produzione di alcune manifatture della seta e poi ne impiantano altre in Italia, i tessuti hanno un nome legato, anche se non sempre in forma chiarissima, alla loro origine. E si va dalla scaranza lucchese, dal panno d'oro veneziano, al ciambellato (tessuto con pelo di camrrrello) al taffetà del XVI secolo (il tafta persiano) al percalle (anch'esso persiano) allo schantung cinese al surah indiano, di dannunziana memoria. L'enumerazione è affascinante; ha della poesia, e forse la moda è davvero poesia, perché condensa, impensatamente, le vicende, conturbanti e illogiche, passionali e passeggere degli uomini e delle donne Era già stato Balzac, a osservare, nel 1839. che il vestito di una donna «è manifestazione costante del pensiero intimo, è un linguaggio, un simbolo». Per secoli, il vestito fu risultato della complicità, quasi della comprensione amorosa stabilitasi tra la dama e il suo sarto e il parrucchiere: ad esempio, nel Settecento, quando l'abbigliamento femminile sembra iscriversi: in un ovale ritto, tutto slancio1 verso l'alto, si appesantisce poi. dopo la metà del secolo, per ['«influsso personale di Maria Antonietta, infelice regina di Francia, che si fa imporre dal parrucchiere Léonard una pettinatura pesante e alta, creata, dicono, in stato di ebbrietà». Ma anche quando si spezza il filo diretto tra creatore e persona, (e avremo allora i «tessuti poveri» e il «prèt-àporter» di Coco Chanel) la moda non perde mai il suo carattere di linguaggio; discorso che ogni persona porta avanti secondo la propria personalità, non soltanto con le vesti, ma con la pettinatura e il trucco, nel caso delle donne, oppure di costume teatrale quando si tratti di attori. II grande merito del libro della Rosita Levi Pisetzky, // costume e la moda nella società (Einaudi, pp. 367, Lit. 20.000), massima esperta della moda in Italia e autrice della «voce» sul «costume» nella Enciclopedia Einaudi, è. a parer mio, l'aver dato, fin dalla prima pagina della sua grande opera le chiarificazioni necessarie ai profani. E cioè, che la storia del costume, per la sua «avvincente vastità d'indagini», può considerarsi «come il tessuto connettivo della storia sociale, politica ed economica, in cui affonda le sue radici». Secondariamente, per aver posto ben chiara la distinzione tra «costume», termine che, nel suo significato di «modo di vestire», appare in italiano già nel Cinquecento ed ha l'implicazione di durabilità, e «moda» Quest'ultimo, introdotto in Italia verso la metà del secolo seguente, offre subito e mantiene tuttora la connotazione di fugacità, variabilità e novità, come dice bene la Levi Pisetzky Sembra niente, ma questa prima distinzione serve ad ad¬ dentrarci in una materia che è tra le più complesse, proprio, vorrei dire, per la sua apparente frivolità. Poche cose sono meno frivole della moda e poche altrettanto misteriose. La Levi Pisetzky compie un lavoro che è eminentemente culturale, e attinge a piene mani dalla storia, dalla sociologia, dalla politica e dall'arte, e sfiora, ma senza addentratisi, il discorso strutturalista, secondo cui appunto la moda è un linguaggio che ha per elemento basico il segno. Leggere il volume della Levi Pisetzky è inoltrarsi in un terreno che è ignoto e no. e del quale, comunque, vorremmo a tutti i costi sapere di più. Per esempio, nel Duecento compaiono in Italia dei bottoni che permettono di aprire la manica per infilarla e poi abbottonarla stretta. La manica, pezzo simbolico e importantissimo dell'indumento, rimane comunque staccata dal vestito per secoli. Il problema di renderla, per cosi dire, agibile, secondo la piegatura del braccio, non si risolve fino alla prima metà dell'Ottocento, con l'invenzione dello scalfo. che è in apparenza ornamentale, ma in realtà stupendamente pratica. Pochi anni più tardi, un generale inglese, che comandava il corpo combattente in Crimea, e si chiamava Raglan inventa il taglio che da allora porta il suo nome: e anche questo per ragioni pratiche, cioè per aver fatto un buco in una coperta che serviva da mantellina ai soldati, non approvvigionati in tempo dei cappotti regolamentari. Alcune anzi moltissime vicende della moda trovano la loro spiegazione, ma altre rimangono tuttora oscure. La moda è dunque ancora mistero e. inoltre, contraddizione: ad esempio, in secoli severi, si sfoggiano metraggi di tessuti sfarzosi che tendono ad accentuare, anche nell'iconografia. la ricchezza degli interessati e dei raffigurati. Ma la moda è. oggi, soprattutto di moda. Se questo sia dovuto al bisogno intenso che proviamo, nella nostra epoca tormentata, di capirci o per lo meno di vederci riflessi con una qualche chiarezza, non si sa. Certo è che. specie nei paesi anglosassoni, le esposizioni di moda del passato fanno ormai parte integrante dei musei, e i libri sulla moda, spesso collegata con la raffigurazione fotografica, si seguono e si succedono con sorprendente velocità. Da un'opera recentemente comparsa in America, il volume di Anne Hollander, Seeing Through Clothes. (Vestiti in controluce) Viking 1978 pp. 504 dollari 25. estraiamo una ossrvazione che ci è parsa di grande interesse. Secondo l'autrice, il nudo vero, in arte, non esiste e ogni corpo cambia forma per seguire i cambiamenti della moda della sua epoca: «L'immagine del corpo nudo assolutamente priva di una controimmagine di vestiti è virtualmente impossibile. Perciò tutti i nudi in arte, dall'epoca in cui è iniziata la moda moderna, indossano i fantasmi di vestiti assenti — qualche volta fantasmi visibilissimi». Vi pare poco? Il nudo non c'è. è sempre vestito, anche se a noi appare nudo: proprio come diceva la fiaba dei Vestiti dell'Imperatore. E allora? Allora non esiste neppure la pornografia, con buona pace del pretore antisesso di Palermo. Angela Bianchini

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