Un detenuto vuole il matrimonio religioso La curia si oppone: «Non può consumarlo»
Un detenuto vuole il matrimonio religioso La curia si oppone: «Non può consumarlo» Un caso che suscita polemica: un carcerato ha diritto o no al rito in chiesa? Un detenuto vuole il matrimonio religioso La curia si oppone: «Non può consumarlo» Francesco Tuninetti, detto «la primula rossa», una lunga serie di condanne, vuole regolarizzare la sua posizione con la donna che l'ha sempre amato - In Arcivescovado: «Ci sono già i presupposti per un futuro annullamento» Un detenuto per reati comuni, con una lunga serie di condanne sulle spalle, che decida di regolarizzare con il matrimonio la sua storia d'amore (antecedente all'arresto) ha o non ha il diritto a consacrarlo con il rito religioso? La domanda — che non è di scarso peso, per i risvolti di ordine etico, sociale e umano che propone — nasce dalla vicenda di cui sono protagonisti in questi giorni Francesco Tuninetti, 42 anni, l'ex «Primula rossa» di Giaveno, bloccate dai carabinieri nel febbraio '77 dopo otto anni di latitanza, e Ines Righetti, 37 anni, la donna che ha divìso con lui l'esistenza incerta della clande¬ stinità e che, pochi mesi dopo l'incarcerazione dell'uomo, gli ha dato una figlia. Recentemente i due, un po' per coronare col matrimonio il sentimento che li unisce da dieci anni, un po' per facilitare le visite in carcere da parte della donna (la moglie ha più diritti della «sospetta» convivente), hanno decìso di sposarsi. Un diritto che le leggi italiane riconoscono anche agli ergastolani, come dimostrano casi di cui periodicamente si occupano quotidiani e rotocalchi, ultimo quello di «Francis» Turatello, alias «Faccia d'angelo», convolato a nozze con la ventiduenne Maria Mazzullo il 25 settembre scorso nel «supercarce¬ re» di Cuneo. Nozze celebrate però civilmente, nell'occasione dallo stesso sindaco di Cuneo, Guido Bonino. Francesco Tuninetti e Ines Righetti, entrambi religiosi, vogliono invece di più, chiedono di salire all'altare. Ma la Curia torinese ha detto loro di no, negando la concessione del necessario nullaosta. Perché? «Non riesco proprio a capire. Non pensavo ci fossero difficoltà, mi ero già procurata i documenti. Francesco è stato un bandito, ha scelto una strada sbagliata, ma io gli voglio bene oggi come negli anni duri che abbiamo trascorso insieme, sempre col terrore che lo arrestassero — dice Ines Righetti, nel negozio di abbigliamento che ha aperto in Borgo San Paolo intitolandolo a «Bonnie & Clyde», «non casualmente», «Mi hanno detto di pensarci bene — continua —, invitandomi a lasciar perdere, perché rischio di trovarmi unita per tutta la vita a un uomo che potrebbe tornare in libertà fra vent'anni. Ma l'unica condanna definitiva di Francesco, per ora, è quella a otto anni per un conflitto a fuoco con la polizia nel 1969. Le altre sono tutte in appello, potrebbero essere ridotte o addirittura annullate, come quella a 7 anni e mezzo per una rapina in banca a Chieri. Al processo i testimoni non l'hanno riconosciuto, ma i giudici l'han-' no condannato lo stesso, forse per la fama di "inafferrabile " che si porta dietro come una maledizione. Comunque, anche dovesse restare in prigione fino al duemila, lo sposerei ugualmente. Nessuno mi costringe, è una mia scelta». In Arcivescovado, il responsabile dell'Ufficio matrimoni, monsignor Filippel-' lo, non è così drastico: «In verità il nostro no non è definitivo. Ci sono alcune circostanze ancora da verificare. Francamente, però, abbiamo molte perplessità. Il matrimonio, per la Chiesa, è un sacramento fondato su una serie di valori ben precisi: vita comune, procreazione, indissolubilità, ad esempio, che la futura coppia si impegna a rispettare. Nel caso in questione, coinè potrebbero gli sposi garantire il rispetto dello spirito del sacramento? E' un matrimonio che nasce già con i presupposti dell'eventuale annullamento: una condizione negativa che non possiamo non considerare, prima di dare il nostro avallo alla creazione di una possibile "vedovw.bianca"». Inés Righetti è tutt'altro che convinta: «Mi è stato detto, tra l'altro, che il nostro matrimonio non potrebbe mai essere consumato. Ma se abbiamo perfino una bambina, che Francesco ha anche riconosciuto e che porta il cognome Tuninetti. E poi, fra cinque o sei anni potrebbe ottenere la semilibertà. Chi può ipotecare il destino?». «Il matrimonio non è un fatto giuridico e basta — di-, ce ancora monsignor Filippello —. Le norme cui ci ispiriamo non sono matematiche, quindi è sovente il buon senso ad aiutarci per una serena valutazione dei fatti, che consenta di incanalare la norma generale nelle vicende dei singoli. Quando però insorge il sospetto che il sacramento possa servire soprattutto a coprire machiavellicamente banali esigenze "pratiche", allora il nostro dubbio appare giustificato». Il riferimento è alla possibilità che Tuninetti e la Righetti «strumentalizzino» il matrimonio per potersi incontrare più facilmente nel parlatorio del carcere (ora l'ex «Primula rossa» si trova a Torino in attesa di giudizio' per oltraggio, ma la sua «residenza» normale è nel penitenziario di Pianosa) o garantire alla donna l'impunità nel caso il marito tenti o realizzi nuove evasioni. Certo lo scopo è anche quello di ottenere, per la donna, una maggior tranquillità: «Quando hanno arrestato Francesco — dice — hanno preso anche me e mi hanno denunciata per favoreggiamento. Tutto perché ero solo la sua "convivente" e non sua moglie (il coniuge non può essere incriminato per aver aiutato la moglie, o il marito, a sfuggire all'arresto, cosi come può rifiutare di testimoniare in suo sfavore, n.d.r.). Ma questo lo possiamo ottenere con il semplice matrimonio civile. La verità è che vogliamo sposarci in chiesa per coerenza con le nostre idee religiose. Soprattutto Francesco, che è sempre stato cattolico convinto». Secondo la donna, il nullaosta le sarebbe stato negato in modo definitivo, a parere della Curia, invece, il caso deve ancora essere esaminato a fondo («Il matti-, monio non è un sacramento' da mettere allo sbaraglio, occorre sempre approfondire la natura delle motivazioni addotte dai futuri sposi», dichiara monsignor Filippello, che tra l'altro non ha ancora potuto incontrare il detenuto). Spiegazioni che non soddisfano il difensore di Tuninetti, l'avvocato Aldo Perla. «Non posso credere che per la Chiesa i detenuti siano uomini "diversi". Maurizio Spatola La «primula rossa» Francesco Tuninetti il giorno dell'arresto Ines Righetti, 37 anni'
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